GENNAIO 2012
Scalfaro: ha difeso la dignità del Governo
della Repubblica
di Senator
Caro Direttore, ieri hai ricordato Oscar Luigi Scalfaro
con poche parole testimoniando di un tuo incontro che ha
dato conto della sua attenzione per le magistrature.
D’altra parte era stato, sia pure per poco, magistrato e
quel giuramento lo aveva portato nell’animo tutta la vita.
Io intendo, invece, soffermarmi su un episodio che tutti i
giornali oggi ricordano, l’opposizione alla nomina di
Cesare Previti a Ministro della giustizia. A mio giudizio
sta il quella proposta, formulata da Silvio Berlusconi
all’atto di costituire il Governo nel 1994, il vizio di
fondo di questa stagione della politica italiana del quale
forse ci siamo accorti un po’ tutti in ritardo,
entusiasti, com’eravamo, della vittoria del centrodestra.
Intendo la concezione privatistica del potere pubblico per
cui il Presidente imprenditore, che sapeva di essere
oggetto di accertamenti giudiziari, non si perita di
proporre quale Ministro della giustizia il suo avvocato. E
ciò a prescindere le successive vicende giudiziarie che lo
avrebbero portato ad abbandonare il seggio parlamentare.
La sola proposta del Cavaliere dimostrava, quel che
sarebbe apparso palese successivamente, che l’uomo non ha
ben in mente il confine tra pubblico e privato, tra carica
istituzionale e legittimi affari di famiglia, in un
colossale, permanente conflitto d’interessi che è nelle
cose, perché un imprenditore i cui interessi spaziano
dalle televisioni all’editoria, alle assicurazioni, alle
banche, una volta impegnato in un ruolo istituzionale
decisivo, come quello di Capo del Governo, si trova quasi
quotidianamente ad effettuare delle scelte che in qualche
misura giovano o danneggiano gli interessi propri e/o
della sua famiglia.
Non voglio passare per puritano. Il Parlamento è pieno di
soggetti esponenti di una corporazione, dagli avvocati (a
proposito siamo tanti ma facciamo leggi incomprensibili!!)
ai medici, ai farmacisti, agli ingegneri, ai notai, e via
dicendo. Ci sarebbe stato bene anche un ricco
imprenditore, portatore di interessi sicuramente
meritevoli di tutela, taluni dei quali anche di interesse
generale, nel senso che una grande impresa nazionale è
patrimonio della comunità.
Ma una cosa è la politica, che può atteggiarsi come
espressione di interessi di parte, altra è la gestione del
potere nell’interesse generale. La Costituzione parla
all’art. 97 di imparzialità e tutto il testo della nostra
legge fondamentale è permeato di norme che richiamano il
principio di legalità.
Scalfaro che nella Costituzione credeva come faro della
vita pubblica non poteva consentire che l’avvocato di
Berlusconi diventasse Ministro della giustizia. Aveva
ragioni da vendere e gli anni successivi l’avrebbero
confermato.
30 gennaio 2012
Morto Scalfaro
Un Presidente tra Prima e Seconda Repubblica
di Salvatore Sfrecola
È stato il Presidente che si è trovato a gestire sul piano
istituzionale il difficile passaggio tra la Prima e la
Seconda Repubblica, tra lo stato dei partiti che avevano
gestito il potere dal dopoguerra, travolti dall’inchiesta
“mani pulite” e le nuove formazioni nate sulle loro
ceneri, in un rimescolamento di ideologie e di esperienze
che hanno minato fin da subito le nuove maggioranze.
Oscar Luigi Scalfaro, morto in mattinata, 93 anni, ex
magistrato, Capo dello Stato dal 1992 al 1999, è stato al
centro di aspre polemiche per certo modo di esercizio
delle sue funzioni che è parso a molti “presidenzialista”,
fatto di intromissioni soprattutto nella vita del Governo.
Democristiano ortodosso, rigido nelle sue idee e nella
visione garantista del ruolo di Capo dello Stato, Scalfaro
è entrato ripetutamente in contrasto con Silvio Berlusconi
del quale non apprezzava il tentativo di dittatura della
maggioranza e del Governo. Guidato da un senso della
legalità che, in alcuni casi, è apparso formalista
Scalfaro, si è opposto al tentativo di risolvere alcuni
problemi per decreto-legge, lo strumento eccezionale che
la Costituzione riserva ad esigenze “straordinarie”
connotate da “urgenza”. E così il Presidente
“imprenditore”, che riteneva, giustamente, che il Paese
dovesse essere modernizzato, sceglieva scorciatoie che
Scalfaro, nel suo ruolo di garante della legalità, gli ha
costantemente sbarrato.
In questi giorni si dirà di tutto di questo uomo pio,
cultore di studi mariani, duro come lo sono molti
piemontesi (era di Novara), poco incline al compromesso. A
lui sarà sicuramente rimproverata la celebre frase “non ci
sto”, pronunciata la sera del 3 novembre 1993 a reti
unificate, per difendersi dalle accuse di avere gestito
fondi neri ad uso personale nell'epoca in cui era stato
Ministro dell'Interno. Quella sera Scalfaro parlò di
“gioco al massacro” facendo intendere che lo scandalo
Sisde fosse un tentativo di infangare la Presidenza della
Repubblica come ritorsione della vecchia classe politica
che le inchieste di “Mani Pulite” avevano in parte mandato
a casa.
L’ho conosciuto nel 1998 quando, da Presidente
dell’Associazione Magistrati della Corte dei conti, andai
da lui per segnalare alcuni tentativi di prevaricazione
delle attribuzioni della Corte da chi voleva “mani
libere”, in pratica i sopravvissuti da “Mani Pulite” che
avevano in uggia il controllo di legalità. Fu un
interlocutore attento. Quella toga incollata alla pelle,
come disse in un’occasione ci garantiva la sua
comprensione per il ruolo della nostra Istituzione che,
non a caso, è stata, come disse Quintino Sella il 1°
ottobre 1862 nell’inaugurare, a Torino, la Corte dei conti
del Regno d’Italia il “primo magistrato civile ad
estendere la sua giurisdizione” su tutto lo Stato. Il
primo perché l’esigenza della legalità e della correttezza
nella gestione del denaro pubblico è la prima
preoccupazione di un governo serio. E quello era un
governo serio. Morto Cavour, il Presidente del Consiglio
era Bettino Ricasoli, ed il nuovo stato si trovava a
gestire una difficile situazione finanziaria
caratterizzata da un pesante debito pubblico.
Allora come oggi. Solo che quel debito era conseguenza
delle guerre del Risorgimento e dei debiti degli stati
preunitari, in qualche modo, dunque, di nobili
motivazioni, mentre oggi il debito pubblico è conseguenza
di una sistematica violazione del principio costituzionale
della necessaria copertura di ogni legge che preveda una
nuova o maggiore spesa (art. 81, comma 4, Cost
29 gennaio 2012
Le decisioni del Consiglio dei ministri
Semplificazioni al via
di Salvatore Sfrecola
Commenti a tutto campo oggi sul decreto legge approvato
ieri sera dal Consiglio dei ministri in tema di
semplificazione di molti adempimenti delle pubbliche
amministrazioni fin qui previsti per i cittadini e le
imprese. I più si dichiarano favorevoli, altri esprimono
riserve o aperte critiche.
Il fatto è che i provvedimenti vanno letti nei particolari
delle singole norme delle quali va valutata la congruità
rispetto agli obiettivi dichiarati, ovvero la loro
immediata applicazione. Solo leggendo le norme sulla
Gazzetta Ufficiale sarà possibile, infatti, capire se le
norme sono immediatamente applicabili ovvero richiedano
disposizioni di attuazione o solamente la provvista di
strumentazione informatica, di programmi e di
addestramento perché le amministrazioni possano provvedere
agli adempimenti richiesti.
Rinvio, dunque, alla pubblicazione del decreto una più
approfondita valutazione delle norme, limitandomi oggi ad
una riflessione d’insieme sui titoli.
Partiamo dalla prima dichiarazione del Premier Monti. “È
la terza iniziativa di spessore in due mesi – ha detto il
Presidente del Consiglio – per dare all’Italia un’economia
più produttiva e competitiva e dunque più forte, liberando
il suo potenziale di crescita e di occupazione. Questo
pacchetto di misure – continua il Premier - intende
modernizzare i rapporti tra pubblica amministrazione,
cittadini e imprese, puntando sull’agenda digitale e
l’innovazione. I cittadini in particolare avranno grandi
benefici dalla semplificazione della burocrazia. Il
provvedimento dimostra, ancora una volta, l’impegno
dell’Italia nelle riforme, in linea con le raccomandazioni
dalla Commissione Europea e di altre istituzioni
autorevoli, semplificando la burocrazia amministrativa,
compreso l’uso delle nuove tecnologie per stimolare la
produttività e la crescita”.
Le misure del decreto riguardano i cittadini, le imprese e
le pubbliche amministrazioni che, con l’entrata a regime
delle disposizioni del provvedimento, si troveranno un
minor numero di leggi che non si giustificano più in
un’economia moderna, chiamata a crescere e a creare
occupazione.
“Le misure di semplificazione per i cittadini – si legge
nel comunicato stampa di Palazzo Chigi -si propongono di
migliorare la qualità dei rapporti che ciascuno di noi ha
quotidianamente con le strutture pubbliche. Non più,
dunque, lunghi tempi di attesa per ottenere un documento,
moduli amministrativi complicati e uffici pubblici
inaccessibili”.
Nel dettaglio, sarà possibile ottenere attraverso il web
con pochi e semplici passaggi:
• il cambio di residenza;
• l’iscrizione nelle liste elettorali;
• i certificati anagrafici o il rinnovo dei documenti di
identità
• partecipazione ai concorsi pubblici.
Le persone affette da disabilità potranno usare il verbale
di accertamento dell’invalidità (anziché le attuali
attestazioni medico-legali) per ottenere i contrassegni
per parcheggiare nel centro storico. Godranno inoltre
dell’esenzione dal bollo e di un regime agevolato di IVA.
Viene previsto anche un nuovo programma di sperimentazione
della social card nei Comuni con più di 250mila
abitanti. Il programma è finalizzato alla eventuale
estensione come strumento di contrasto alla povertà. Con
questa finalità, dovrà coinvolgere attivamente soggetti
pubblici e no-profit e favorire l’inclusione attiva
dei beneficiari.
Particolarmente importanti, sia per le imprese che per i
cittadini, in particolare i giovani, le misure riguardanti
l’università. Con l’approvazione del decreto-legge si
introduce il Portale unico delle università: la
verbalizzazione e la registrazione degli esiti degli esami
di profitto e di laurea sostenuti dagli studenti
universitari si effettuerà esclusivamente per via
telematica.
Grande spessore è dato all’agenda digitale. Quest’ultima è
stata finora uno dei punti deboli delle politiche di
governo. “Semplifica Italia” la rende obiettivo
prioritario. Le misure del provvedimento intendono
aumentare l’efficienza dell’azione amministrativa,
potenziare gli strumenti informatici di negoziazione,
alleggerire le procedure di contrattazione per il mercato
elettronico della pubblica amministrazione e incrementare
la trasparenza, la regolarità e l’economicità della
gestione dei contratti pubblici.
L’agenda digitale consta di quattro punti fondamentali:
- Primo, la costituzione di una cabina di regia per lo
sviluppo della banda larga e ultra-larga. Ancora oggi,
quasi 8,5 milioni di italiani si trovano in condizione di
“divario digitale” e più di 6000 centri abitati soffrono
un “deficit infrastrutturale” che rende più complessa la
vita dei cittadini.
- Secondo, apertura all’ingresso dell’open data,
ossia la diffusione in rete dei dati in possesso delle
amministrazioni, nell’ottica della totale trasparenza.
- Terzo, utilizzo del cloud, ovvero la
dematerializzazione e condivisione dei dati tra le
pubbliche amministrazioni.
- Quarto, gli incentivi alle smart communities, gli
spazi virtuali in cui i cittadini possono scambiare
opinioni, discutere dei problemi e, soprattutto, stimolare
soluzioni condivise.
“Semplificazione per le imprese – si legge nel comunicato
stampa - vuol dire anzitutto crescita. Ci sono
agevolazioni per chi intende avviare un’attività
imprenditoriale. Si riduce radicalmente il numero di
controlli e verifiche per costituire un’impresa. Quelli
che, invece, sono già titolari di un’attività
imprenditoriale potranno acquisire tutte le informazioni
utili per la loro attività accedendo alle nuove banche
dati consultabili attraverso i siti degli sportelli unici
comunali”.
Una parte consistente delle semplificazioni a favore delle
imprese riguarda gli appalti pubblici. Oggi, in media, la
stessa impresa presenta 27 volte la stessa documentazione.
Con “Semplifica” Italia tutti i documenti contenenti i
requisiti di carattere generale, tecnico-organizzativi ed
economico-finanziario delle aziende vengono acquisiti, e
gestiti, dalla Banca dati nazionale dei contratti
pubblici. In questo modo, si risparmia due volte. Le
amministrazioni avranno la possibilità di consultare
rapidamente il fascicolo elettronico di ciascuna impresa
ed effettuare i controlli necessari, con un risparmio
stimato di circa 1,3 miliardi l’anno. Le piccole e medie
imprese risparmieranno sui costi vivi della gestione
amministrativa. Il risparmio, per loro, è stimato in oltre
140 milioni di Euro all’anno.
Per le pubbliche amministrazioni, l’obiettivo principale è
quello di accelerare i tempi medi di conclusione dei
procedimenti amministrativi, attraverso due strumenti:
1) Il primo interessa i manager pubblici. I ritardi e gli
inadempimenti incideranno direttamente sulla valutazione
della performance individuale dei dirigenti (oltre che
sulla responsabilità disciplinare e contabile dei
funzionari).
2) Con il secondo strumento si affida ai fruitori dei
servizi pubblici – i cittadini e le imprese – il ruolo di
“controllori” del buon operato delle amministrazioni.
Chiunque, a fronte di un ritardo ingiustificato, potrà
rivolgersi a un dirigente diverso da quello responsabile
dell’inadempimento. Quest’ultimo avrà il compito di
portare a conclusione il procedimento nel minor tempo
possibile
Il Governo è consapevole del fatto che la riduzione degli
oneri burocratici non può essere realizzata efficacemente
in tempi brevi. “Semplifica” Italia lavora sul lungo
periodo. Per questo motivo si crea un nuovo sistema di
monitoraggio: tutte le amministrazioni dovranno inviare
ogni anno alla Presidenza del Consiglio dei Ministri una
relazione dettagliata sulle semplificazioni introdotte e
sul rispetto dei tempi per i procedimenti. La valutazione
negativa da parte del Governo – svolta con la
partecipazione delle associazioni di imprenditori e
consumatori – determina il taglio automatico degli oneri
aggiuntivi per l’amministrazione.
Ecco, in sintesi, i principali punti del provvedimento,
suddivisi per tipologia:
SEMPLIFICAZIONI PER I CITTADINI
1. CAMBI DI RESIDENZA IN TEMPO REALE – Le disposizioni
hanno il duplice obiettivo di consentire l’effettuazione
del cambio di residenza con modalità telematica e di
produrre immediatamente, al momento della dichiarazione,
gli effetti giuridici del cambio di residenza in modo da
evitare i gravi disagi e gli inconvenienti determinati
dalla lunghezza degli attuali tempi di attesa. I cambi di
residenza tra Comuni diversi sono circa 1.400.000 all’anno
(dati Istat).
2. PROCEDURE ANAGRAFICHE E DI STATO CIVILE PIU’ VELOCI –
Oltre 7 milioni di comunicazioni verranno effettuate
esclusivamente in via telematica. I cittadini avranno
tempi più rapidi nella trascrizione degli atti di stato
civile, essenziale a fronte dei fondamentali eventi della
vita (nascita, matrimonio e morte), nella cancellazione e
iscrizione alle liste elettorali e nei cambi di residenza.
Inoltre, con la medesima modalità sono previste le
comunicazioni tra Comuni e Questure relative ai cartellini
delle carte d’identità e alle iscrizioni, cancellazioni e
variazioni anagrafiche degli stranieri. Le comunicazioni
telematiche consentiranno un risparmio per le
amministrazioni quantificabile in almeno 10 milioni di
euro all’anno (tenendo conto solo delle spese di
spedizione).
3. DOCUMENTI DI RICONOSCIMENTO (SCADRANNO NEL GIORNO DEL
COMPLEANNO) – la norma intende evitare gli inconvenienti
che derivano spesso dal non avvedersi della scadenza.
4. TEMPI PIÙ BREVI PER IL RINNOVO DELLE PATENTI DI GUIDA
DEGLI ULTRAOTTANTENNI – Sarà più semplice e veloce, per i
guidatori ultraottantenni, rinnovare la patente. Il
rinnovo, di durata biennale, potrà essere effettuato
direttamente presso un medico monocratico e non più presso
una commissione medica locale.
5. BOLLINO BLU – Il “bollino blu”, che oggi deve essere
rinnovato annualmente, sarà contestuale alla revisione
dell’auto che avviene la prima volta dopo quattro anni e
poi con cadenza biennale, con evidenti risparmi di tempo e
denaro.
6. PERSONE CON DISABILITÀ – Verranno eliminate inutili
duplicazioni di documenti e di adempimenti nelle
certificazioni sanitarie a favore delle persone con
disabilità. Il verbale di accertamento dell’invalidità
potrà sostituire le attestazioni medico legali richieste,
ad esempio, per il rilascio del contrassegno per
parcheggio e di accesso al centro storico, l’IVA agevolata
per l’acquisto dell’auto, l’esenzione dal bollo auto e
dall’imposta di trascrizione al PRA.
7. ASTENSIONE ANTICIPATA DAL LAVORO DELLE LAVORATRICI IN
GRAVIDANZA – la norma modifica l’articolo 17 del decreto
legislativo 26 marzo 2001, n. 151 in materia di
interdizione dal lavoro delle lavoratrici in stato di
gravidanza prevedendo diverse fattispecie di astensione
obbligatoria in presenza di determinate condizioni
8. PRIVACY – eliminato l’obbligo di predisporre e
aggiornare il documento programmatico sulla sicurezza (DPS)
che, oltre a non essere previsto tra le misure di
sicurezza richieste dalla Direttiva 95/46/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995,
rappresenta un adempimento meramente superfluo. Restano
comunque ferme le misure di sicurezza previste dalla
normativa vigente. Il risparmio stimato per le PMI è di
circa 313 milioni di euro all’anno.
9. IMPIANTI TERMICI – Si elimina una inutile duplicazione
nelle certificazioni di conformità, con un risparmio
stimato in oltre 50 milioni all’anno.
10. DISPOSIZIONI DI SEMPLIFICAZIONE IN MATERIA DI
AGRICOLTURA E PESCA – fra le altre quelle in tema di
fascicolo elettronico dell’impresa agricola e delle
imprese di pesca e la semplificazione, rilevante anche ai
fini della lotta all’illegalità diffusa nel settore
11. SEMPLIFICAZIONE NELLE ASSUNZIONI DI LAVORATORI EXTRA
UE – la norma riduce gli oneri amministrativi connessi
alla stipula del contratto di soggiorno per lavoro
subordinato per lavoratori stranieri extra comunitari.
12. SEMPLIFICAZIONE ALL’ACCESSO ALLA PROFESSIONE DI
AUTOTRASPORTATORE – viene semplificato l’accesso alla
professione di autotrasportatore, esentando dall’obbligo
dell’esame di idoneità professionale chi ha superato un
corso di istruzione secondaria o chi ha diretto in maniera
continuativa, per almeno dieci anni, un’impresa del
settore.
SEMPLIFICAZIONI PER IMPRESE, INFRASTRUTTURE, TRASPORTI:
1. ADEMPIMENTI PIÙ CELERI DALLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE –
La nuova norma prevede l’obbligo della trasmissione alla
Corte dei Conti delle sentenze che accertano
l’inadempimento dell’amministrazione all’obbligo di
attuare un determinato provvedimento. All’interno di ogni
amministrazione viene inoltre prevista una figura di
vertice a cui saranno attribuite funzioni sostitutive per
la conclusione dei procedimenti, nel caso di inerzia da
parte dell’amministrazione stessa.
2. BANCA DATI NAZIONALE DEI CONTRATTI PUBBLICI E
AFFIDAMENTO SERVIZI FINANZIARI – Con la nuova normativa,
la verifica dei requisiti di ordine generale e speciale
richiesti per la partecipazione alle gare di affidamento
dei contratti pubblici avverrà attraverso la Banca dati
nazionale dei contratti pubblici, istituita presso
l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di
lavori, servizi e forniture. In questo modo saranno
fortemente semplificate le procedure di verifica.
3. MODIFICHE DELLE PROCEDURE AMMINISTRATIVE RIGUARDANTI
GLI IMPIANTI PRODUTTIVI – La norma prevede che, dopo un
periodo di sperimentazione volontaria in determinate aree
del territorio, le procedure amministrative che oggi fanno
capo agli sportelli unici per le attività produttive siano
radicalmente semplificate tramite decreti del governo.
Tutti gli adempimenti dovranno dunque essere aboliti
oppure unificati in una procedura unica, rapida e
soprattutto semplice, facendo ampio ricorso ad una nuova
Conferenza di servizi telematica ed obbligatoria. Grazie
ai nuovi strumenti telematici ed alla sinergia fra
pubblico e privato le imprese saranno, inoltre, messe in
grado di conoscere in modo trasparente gli adempimenti e
le opportunità, anche economiche e finanziarie, connesse
alle proprie scelte. La norma, proposta dal Ministero
dello sviluppo economico e dalla Funzione pubblica e già
condivisa dall’Anci e da molte Regioni e associazioni
imprenditoriali, mira a creare un clima favorevole alla
nascita e allo sviluppo delle iniziative imprenditoriali
sul territorio, in un nuovo clima di “amministrazione
amica” e di leale cooperazione fra tutti i soggetti
coinvolti a livello centrale, regionale e comunale.
4. MODIFICHE DEL TESTO UNICO DELLE LEGGI DI PUBBLICA
SICUREZZA E SEMPLIFICAZIONI DEI CONTROLLI – I controlli
della pubblica autorità diventano più efficaci e le
procedure meno farraginose. Con le modifiche apportate al
Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, inoltre,
molti controlli sulle imprese diventano successivi e non
preventivi rispetto all’inizio delle attività. In questo
modo sarà possibile avviare subito l’operatività
dell’impresa, sapendo che i necessari controlli di legge
saranno effettuati ex post, secondo una tempistica e
scadenze congrue. Il governo emanerà appositi regolamenti
di delegificazione per far sì che tutti i controlli siano
ispirati a criteri di semplicità e proporzionalità. Ogni
amministrazione sarà obbligata a pubblicare sul proprio
sito (così come su www.impresainungiorno.gov.it) la lista
dei controlli a cui è assoggettata ogni tipologia di
impresa.
5. AUTORIZZAZIONE UNICA IN MATERIA AMBIENTALE PER LE PMI –
Viene introdotta un’unica autorizzazione in materia
ambientale, così da concentrare in un solo titolo
abilitativo tutti gli adempimenti – al momento di
competenza di diverse amministrazioni - cui sono
sottoposte oggi le Pmi. L’autorizzazione sarà rilasciata
dunque da un unico soggetto attuatore, riducendo di molto
le tempistiche e gli oneri che attualmente gravano sulle
imprese.
6. PROCEDURE PIÙ SNELLE PER LE IMPRESE AGRICOLE – Per
garantire una sempre più ampia liberalizzazione delle
attività imprenditoriali, la nuova norma semplifica gli
adempimenti amministrativi necessari per l’esercizio
dell’attività di vendita diretta da parte degli
imprenditori agricoli in forma itinerante. In particolare,
l’imprenditore agricolo potrà iniziare l’attività
contestualmente all’invio della comunicazione.
7. IMPRESE DI PANIFICAZIONE APERTE NEI GIORNI FESTIVI –
Niente più vincoli per le chiusure domenicali e festive
per le aziende di panificazione, in modo da consentire
loro di rifornire le altre imprese ed esercizi commerciali
che già beneficiano di questo tipo di apertura.
8. CIRCOLAZIONE DEI MEZZI PESANTI E TARATURA DEL
TACHIGRAFO – i Divieti di circolazione per i mezzi pesanti
potranno riguardare, oltre che le giornate festivi, anche
ulteriori giorni individuati contemperati con le esigenze
di sicurezza e traffico stradale e gli effetti che tali
divieti possono avere sul sistema economico-produttivo nel
suo complesso. Inoltre, la taratura del tachigrafo sui
veicoli adibiti al trasporto su strada passa da uno a due
anni, in linea con gli altri Paesi europei.
8. SCIA – Il Governo, entro il 2012, individuerà in modo
tassativo le autorizzazioni da mantenere, le attività
sottoposte alla segnalazione certificata di inizio di
attività (SCIA) , quelle per cui basta una semplice
comunicazione e le attività del tutto libere; verranno di
conseguenza abrogate tutte le disposizioni incompatibili
assicurando chiarezza e certezza alle imprese. Inoltre
saranno attivati, con la partecipazione di tutti i
soggetti interessati, percorsi sperimentali di
semplificazione amministrativa per le imprese, in ambiti
territoriali delimitati e a partecipazione volontaria.
9. UNA SOLA AUTORIZZAZIONE AMBIENTALE PER LE PICCOLE E
MEDIE IMPRESE: oggi le PMI sono tenute a una serie di
adempimenti di competenza di diverse amministrazioni
(scarichi, emissioni, rifiuti, ecc.) che generano oneri e
costi sproporzionati. E’ stato valutato che l’onere
burocratico per le imprese supera oggi 1,3 miliardi di
euro all’anno.
10. ELIMINAZIONE DI AUTORIZZAZIONI OBSOLETE e adempimenti
più leggeri con le modifiche al TULPS (Testo unico delle
leggi di pubblica sicurezza).
11. COORDINAMENTO E RAZIONALIZZAZIONE DEI CONTROLLI SULLE
IMPRESE – in modo da garantire semplicità, efficienza e
proporzionalità al rischio: il Governo dovrà provvedere
attraverso appositi regolamenti di semplificazione.
12. DELIBERE CIPE PIÙ SNELLE E VELOCI – Via libera a
modalità più snelle per l’adozione delle delibere Cipe in
modo da semplificarne il funzionamento e ridurre i tempi
di attuazione in linea con quanto già disposto dal decreto
“Salva Italia” per quanto riguarda i progetti di opere
pubbliche.
SEMPLIFICAZIONI PER LE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI
1. POTERE SOSTITUTIVO – Si prevede che, qualora
l’amministrazione non rispetti i tempi di conclusione
delle pratiche, cittadini e imprese potranno rivolgersi ad
un altro dirigente – preventivamente individuato dal
vertice dell’amministrazione – che avrà il compito di
provvedere in tempi brevi. Se il funzionario non rispetta
i tempi di conclusione delle pratiche, rischia sanzioni
disciplinari e contabili.
2. REGULATORY BUDGET: viene introdotto l’obbligo,
per le amministrazioni statali, di trasmettere annualmente
alla Presidenza del Consiglio dei Ministri una relazione
sul bilancio complessivo degli oneri amministrativi, a
carico di cittadini e imprese, introdotti e eliminati con
gli atti normativi approvati nel corso dell’anno
precedente.
Si prevede, inoltre, che il Dipartimento della Funzione
pubblica predisponga una relazione complessiva, contenente
il bilancio annuale degli oneri amministrativi introdotti
ed eliminati, con evidenziato il risultato riferito a
ciascuna amministrazione. Il Dipartimento della Funzione
pubblica ha stimato in oltre 23 miliardi di euro all’anno
gli oneri amministrativi relativi ad 81 procedure
particolarmente rilevanti per le imprese, selezionate con
la collaborazione delle associazioni imprenditoriali. Gli
effetti della norma consentiranno di tagliare i costi
della burocrazia per le imprese e disboscare la giungla
delle procedure.
3. SCAMBIO DATI TRA AMMINISTRAZIONI IN MATERIA DI SERVIZI
SOCIALI – la norma prevede che gli enti erogatori di
interventi e servizi sociali inviino unitariamente
all’INPS le informazioni sui beneficiari e sulle
prestazioni concesse, raccordando i flussi informativi. Lo
scambio di dati avviene telematicamente, senza nuovi o
maggiori oneri per la finanza pubblica e nel rispetto del
Codice in materia di protezione dei dati personali.
SEMPLIFICAZIONI PER LE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI
(UNIVERSITA’ E RICERCA)
Principali provvedimenti di semplificazione relativi al
sistema universitario e scolastico. Ad esempio il PORTALE
UNICO. Il Ministero dell’istruzione, dell’università e
della ricerca cura la costituzione e l’aggiornamento di un
portale unico, consultabile almeno in italiano e in
inglese, per il reperimento di ogni dato utile per la
scelta da parte degli studenti. Dall’anno accademico
2013-2014, la verbalizzazione e la registrazione degli
esiti degli esami di profitto e di laurea sostenuti dagli
studenti universitari avvengono esclusivamente con
modalità informatiche. Ci sono inoltre le Misure di
semplificazione in materia di ricerca universitaria e di
istruzione tecnico-professionale; il potenziamento del
sistema nazionale di valutazione: vengono poste le basi
per una valutazione “al servizio delle scuole”, adottando
quello spirito non giudicante che l’INVALSI ha costruito
in questi ultimi anni. Infine, sono previste misure di
semplificazione che riguardano l’attribuzione di grant
comunitari o internazionali.
AGENDA DIGITALE
Il provvedimento dà ufficialmente il via all’agenda
digitale per l’Italia, definendo una “road map” per
raggiungere gli obiettivi posti dall’Agenda digitale
comunitaria dell’agosto 2010 (COM (2010) 245 f/2. A tal
fine è prevista l’istituzione di una cabina di regia per
l’attuazione dell’agenda, con il compito di coordinare
l’azione dei vari attori istituzionali coinvolti (Governo,
Regioni, Enti locali, Authority).
Una parte consistente dei provvedimenti già elencati in
precedenza si legano all’innovazione digitale. L’elenco
che segue si limita a riepilogare i punti chiave
dell’agenda digitale:
1. BANDA LARGA E ULTRA-LARGA – la realizzazione della
banda larga e ultra-larga. Quasi 5,6 milioni di italiani
si trovano in condizione di “divario digitale” e più di
3000 centri abitati soffrono un “deficit infrastrutturale”
che rende più complessa la vita dei cittadini. Le nuove
misure intendono abbattere questi limiti e allineare il
Paese agli standard europei.
2. OPENDATA – i dati in possesso delle istituzioni
pubbliche – le università ad esempio – vengono condivisi
attraverso la rete, per garantire la piena trasparenza nei
confronti dei cittadini.
3. CLOUD – i dati in possesso delle pubbliche
amministrazioni, de-materializzati, sono condivisi tra le
pubbliche amministrazioni.
4. SMART COMMUNITIES – si avvia la creazione di spazi
virtuali sul web in cui i cittadini possono scambiare
opinioni, discutere dei problemi e stimolare soluzioni
condivise con le pubbliche amministrazioni.
Successivamente il Ministro per i rapporti con il
Parlamento, Piero Giarda, ha svolto un primo intervento
sulle linee guida dell’operazione di spending review.
Il Consiglio ha condiviso i pareri contrari espressi in
conferenza di servizi in merito ai progetti di
realizzazione di due impianti di energia rinnovabile, uno
fotovoltaico, nel Comune di Montalto di Castro, ed uno
eolico in Emilia Romagna e Toscana. I due progetti,
pertanto, non verranno realizzati.
Commenti dettagliati alla lettura delle norme una volta
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale.
28 gennaio 2012
Miti e realtà della spesa pubblica
di Salvatore Sfrecola
La spesa pubblica è da sempre sotto accusa da parte
della classe politica e di quanti si occupano della crisi
finanziaria che vive il nostro Paese. Il tema è affrontato
in vario modo, spesso superficialmente, ma la conclusione
è sempre la stessa: il livello della spesa toglie risorse
allo sviluppo e l’Italia non può permetterselo. E dunque
arrivano da ogni parte proposte di riduzione degli
stanziamenti di bilancio, soprattutto mediante riduzione
del personale e delle attribuzioni (ad esempio con la
“semplificazione” di cui si parla oggi al Consiglio dei
ministri!).
L’esigenza c’è, è reale ma è stata troppo spesso
affrontata in modo semplicistico, come dicevo. Ad esempio
con i “tagli lineari” nei quali si è prodotto
ripetutamente il Ministro dell’economia dell’ultimo
governo Berlusconi, Giulio Tremonti. Un disastro, una
mossa rozza, meno tot per cento a tutti, con l’effetto di
toccare solo alcuni, il più delle volte con effetti che a
questo punto è difficile ritenere non voluti. Nel settore
della cultura e della ricerca, ad esempio, enti con
modesti bilanci sono stati strozzati.
Eppure la cultura non è un lusso, ha un ruolo
all’interno ed all’esterno del nostro Paese che continua
ad essere un punto di riferimento di molti studiosi e
studenti nel settore dell’arte, della musica, della
lingua. Un modo per farci conoscere ed apprezzare anche
all’estero, anche in realtà difficili dove l’Italia può
vantare una stima generalizzata della sua storia politica,
istituzionale, culturale. Penso al medio oriente dove
archeologi e studiosi di lingue e religioni vantano un
credito che non hanno altri paesi mediterranei, come la
Francia, ad esempio, erede di un colonialismo senza
scrupoli.
Ebbene, ridurre la spesa pubblica si può ed anzi,
nelle condizioni attuali, si deve. Ma è necessario
valutare attentamente qual’è la produttività della spesa
nei vari settori, per capire se e dove si deve tagliare e
se si taglia da una parte per trasferire le risorse o
metterle in cassa.
Facciamo un esempio che la gente capisce, quello
della sanità, perché, quando la gente si ammala è in
condizione di valutare l’effetto dell’organizzazione
predisposta dalla Aziende sanitarie.
In questo caso è relativamente facile che degli
esperti di gestione della sanità e dei bilanci valuti se
le risorse impiegate rendono un servizio caratterizzato da
efficienza, efficacia ed economicità. È vero che sembra
più facile a dirsi che a farsi, ma è certo che per persone
esperte è facile verificare se ci sono sprechi, se c’è una
abnorme proliferazione i reparti e, quindi, di
responsabili, se le attrezzature destinate ad analisi e ad
accertamenti diagnostici sono utilizzate in modo
funzionale al numero dei pazienti o ci sono spazi di
inazione che allungano le degenze o rimettono a studi
convenzionati attività che le ASL potrebbero effettuare.
Sono esempi. Ma se, com’è noto, vi è una
notevolissima diversità tra i costi di gestione nelle
varie regioni d’Italia e non è facile individuare i
cosiddetti “costi standard”, questo non deve impedire di
giungere rapidamente, anche utilizzando rilevazioni
statistiche, ad una definizione dei costi “giusti”,
sfoltendo l’organizzazione di uomini e strutture.
Questo vale anche per le strutture amministrative
ministeriali, alcune delle quali svolgono funzioni che
potrebbero essere rimesse agli enti locali, per
concentrare l’attenzione su funzioni primarie, necessarie
allo sviluppo del Paese. Per tutti, in materia di
patrimonio storico artistico, l’Italia ha bisogno di
storici dell’arte e di esperti di restauri perché “il
nostro petrolio” non perda quell’appeal che porta
nelle nostre città d’arte e nelle aree archeologiche
milioni di turisti ogni anno, con un apporto al PIL che,
per la prima volta, sento preso in considerazione dal
Governo Monti nelle dichiarazioni di alcuni ministri. Mi
riferisco a Passera (Sviluppo economico) e a Gnudi, il
Ministro del turismo.
Questa ricognizione è necessaria premessa di ogni
razionale riduzione della spesa pubblica. Perché la spesa,
per essere eccessiva, deve essere prima di tutto
improduttiva, altrimenti non è da ridurre.
La stessa cosa, ma del tema tornerò ad occuparmi
nuovamente, riguarda il patrimonio immobiliare, che si
vuol vendere. È giusto farlo, ma quella ricchezza, dovuta
al sacrificio di milioni di italiani nel corso dei secoli,
non va svenduta. Il patrimonio va utilizzato, ove
possibile, o venduto per trasformarlo in altre utilità
perché spero che qualcuno dica al Presidente Monti che
moltissimi uffici statali, civili e militari, sono in
locazione. Ciò che a tutti appare inverosimile,
considerate le dimensioni del patrimonio immobiliare
pubblico che con estrema disinvoltura viene ceduto ad enti
locali che spesso se ne servono solo per fare cassa.
Il governo ha una vita a tempo, necessariamente. Al
più a maggio del 2013. Il tempo è poco ma l’avvio di una
riforma seria dell’amministrazione e del patrimonio non
può attendere. Perché l’amministrazione è la forza dei
governi, come sa bene il Ministro della funzione pubblica,
Filippo Patroni Griffi, che la conosce a fondo, e perché
il patrimonio è la casa della famiglia pubblica.
27 gennaio 2012
A proposito del Comandante Schettino
Der Spiegel antitaliano ("Italienische
Fahrerflucht").
Ma non è una novità! Si vendica di un certo
Giulio Cesare
di Senator
Alla vigilia del “Giorno della
memoria”, la ricorrenza della liberazione del campo di
concentramento nazista di Auschwitz il famoso settimanale
tedesco non fa neppure la mossa di una riflessione sulla
tragedia degli ebrei e di quanti Hitler considerava
persone inutili, ma, con un articolo del Signor Jan
Fleischhauersulla versione on-line, se la prende con gli
italiani per la vicenda della Costa Concordia, con gli
italiani, non con il Comandante Schettino.
L’attacco al nostro Paese ed al suo
''carattere nazionale'' si è meritato l’energica replica
dell'Ambasciatore d’Italia a Berlino, Michele Valensise.
''Gli argomenti di quell'articolo - ha scritto in una
lettera al settimanale - sono tanto offensivi nei
confronti dell'Italia quanto privi di fondamento. Mi
meraviglia che una testata autorevole dia spazio ad
affermazioni cos
volgari e banali''.
''Gentile Direttore – ha scritto
Valensise -, sono stupito e contrariato”. ''Credo
naturalmente nella libertà di critica'', ma ''colpisce
soprattutto, tra tanti luoghi comuni, che il giornalista
accomuni con disinvoltura le responsabilità di una singola
persona a quelle di un intero popolo. Capisco il desiderio
di Spiegel on line di scrivere qualcosa di non
politicamente corretto, ma questa volta si tratta di una
provocazione gratuita che rimando al mittente, anche a
nome dei miei connazionali che hanno espresso indignazione
per lo scritto. Perché tirare in ballo tutti gli
italiani?''.
''Fleischhauer - aggiunge
l'Ambasciatore - non si è accorto che accanto al
comportamento del Comandante della Costa Concordia,
peraltro oggetto di indagine giudiziaria, vi sono state
istituzioni e persone che hanno dato il meglio di sé‚ per
salvare vite umane e limitare i danni dell'incidente? Ed è
veramente convinto dell'inaffidabilità addirittura di
tutta una Nazione?''. ''Fleischhauer lasci perdere le
generalizzazioni fondate sulla razza - conclude -. Sono
cose del passato, che nessuno rimpiange. Si rilassi e
venga a trovarci in Italia. Troverà un grande Paese,
accogliente, capace di slanci sorprendenti, individuali e
collettivi, che sui pregiudizi cerca di sorridere, non di
improvvisare strampalati tribunali''.
Der Spiegel non è nuovo a sentimenti
antitaliani. Tutti ricordano la copertina del settimanale
tedesco in uno dei momenti più difficili per il nostro
Paese, quando il terrorismo bagnava di sangue,
quotidianamente, le strade delle nostre città. Allora mise
in copertina un piatto di spaghetti sormontato da una P38.
Pessimo gusto, allora come oggi.
Forse che qualche giornale italiano ha
generalizzato, con riferimento all’intero popolo tedesco,
la vicenda del rogo alla Thyssenkrupp di Torino, una delle
pagine più buie e dolorose degli ultimi tempi, dove
persero la vita sette operai, bruciati vivi. Per quella
tragica vicenda, esiste una sentenza di condanna in primo
grado, a carico dell'amministratore delegato tedesco", ma
nessuno ha mai pensato di scrivere che i tedeschi non si
preoccupano della sicurezza degli impianti industriali
definita in sede europea.
Questa ricorrente presunzione di
alcuni tedeschi (“alcuni”, s’intende!) di considerasi
“superiori”, “razza eletta” (ma da chi?) dimostra, in
realtà, una smania di grandezza non realizzata che finché
riferita a musicisti, filosofi e giuristi può essere
benevolmente considerata, mentre nella storia civile dei
rapporti con gli altri popoli la storia rivela molte
pagine oscure.
Ma poi che senso ha prendersela con
gli italiani, un popolo pacifico e dignitoso che accanto a
qualche Schettino annovera oscuri, ignoti eroi che non
hanno mai chiesto una medaglia?
Perché antitaliani? Mi sa tanto che,
in realtà, in "alcuni" tedeschi bruci ancora qualche
esemplare “lezione” loro impartita da un certo Caio Giulio
Cesare, Console romano.
27 gennaio 2012
“Intoccabili”, ovvero della faziosità
di Salvatore Sfrecola
Il portavoce della Santa sede, Padre Federico
Lombardi, ipotizza il ricorso a vie legali “per garantire
l'onorabilità di persone moralmente integre e di
riconosciuta professionalità, che servono lealmente la
Chiesa, il Papa e il bene comune”.
Non intendo valutare gli aspetti legali della
trasmissione condotta da Gianluigi Nuzzi ieri sera su La7,
con tre servizi dedicati a questioni che riguardavano
uomini di Chiesa, Monsignor Viganò, Nunzio apostolico a
Washington, e Monsignor Giovanni D’Ercole, Vescovo
ausiliario de l’Aquila, e la stessa Conferenza Episcopale
Italiana, per quanto concerne la vicenda dell’I.C.I..
Anche se le rimostranze della Santa sede riguardano solo
la vicenda di Monsignor Viganò, all’epoca dei fatti
Segretario del Governatorato della Città del Vaticano, mi
sembra necessario gettare uno sguardo sull’intera
trasmissione il cui andamento è stato evidentemente
preordinato a mettere in cattiva luce uomini della Chiesa.
Andiamo in ordine. Nella nota della Santa Sede si
afferma che la ricostruzione dei fatti è stata condotta
“in modo parziale e banale, esaltando evidentemente gli
aspetti negativi», con il “facile risultato” di
presentarlo “come caratterizzate in profondità da liti,
divisioni e lotte di interessi”. Il riferimento è ad una
lettera attribuita a Monsignor Viganò che denuncia
irregolarità nella gestione di spese a varie funzioni
destinate (si fa anche l’esempio del Presepe di Piazza San
Pietro), parlando anche di “mazzette, lavori gonfiati e
pilotati”, situazioni che, ha sostenuto la trasmissione,
sarebbero state coperte per non dispiacere a qualcuno non
specificato, anche se si fanno ripetuti riferimenti al
Cardinale Segretario di Stato, Tarcisio Bertone, senza
specifiche accuse sul punto.
Monsignor Viganò avrebbe scoperto spese eccessive,
forse fatture gonfiate, irregolarità gravi, senza prova
che queste situazioni abbiano determinato illeciti veri e
propri, quali pagamento di tangenti per lavori e
forniture.
Secondo la tesi esposta da Nucci gli eventuali
responsabili non sarebbero stati puniti per superiori
coperture e Monsignor Viganò sarebbe stato mandato a fare
il Nunzio Apostolico a Washington, sede tra tutte la più
prestigiosa, per mettere tutto a tacere.
Chi ha seguito la trasmissione non può non essersi
reso conto di una insistenza, contro ogni evidenza, nel
dedurre situazioni e fatti che Nuzzi ha solo potuto
supporre. Anche se certamente possono essere avvenuti come
in ogni gestione di cose umane, in un comune, in una
provincia, in una regione o in un ministero.
Quel che mi ha disturbato come spettatore, consapevole che
quegli sprechi possono essere avvenuti, è il fatto che
l’interesse che si voleva indurre nello spettatore era
dato non dai fatti in se ma dalla circostanza che fossero
avvenuti in ambiente ecclesiastico, nella sede della Città
del Vaticano.
Qui sta la faziosità della trasmissione che ha potuto
supporre e insinuare ma non dimostrare, così gettando un
discredito sulla Santa Sede che poggia sull’acqua.
L’impostazione preconcetta della trasmissione è
esplosa nella seconda parte della trasmissione dedicata
alla vicenda I.C.I. laddove Nucci non ha voluto sentire
ragioni sull’ammontare della somma in discussione
contraddicendo continuamente Franco Bechis, Vice direttore
di Libero, che esponeva cifre ufficiali del
Ministero dell’economia. E quando si è visto in difficoltà
Nucci ha cominciato a parlare dell’8 per mille rilanciando
continuamente alla ricerca di un argomento che poggiasse
su una base più certa.
Infine l’episodio di Monsignor Giovanni D’Ercole,
Vescovo ausiliario de l’Aquila che, da autentico pastore,
è riuscito a far capire che l’interesse della Curia,
rispetto a risorse messe a disposizione dalla Presidenza
del Consiglio dei Ministri, era solo diretta a sollecitare
progetti di interesse comunitario (residenze per anziani,
asili nido, ecc.) con la più ampia partecipazione di
soggetti pubblici operanti sul territorio.
Padre Lombardi ha definito la trasmissione
“disinformazione” e “informazione faziosa nei confronti
del Vaticano e della Chiesa”.
Uno scoop che non è stato uno scoop, che ha cercato
di gettare del fango gratuito sulla Chiesa la quale può
certamente essere criticata e censurata, carte alla mano e
valutandone gli effetti. Perché se un ecclesiastico
sbaglia nella gestione di risorse della Chiesa non è
giusto riversare sull’intera istituzione gli effetti di
quegli errori. Questo vale per la Santa Sede come per il
più piccolo comune italiano.
26 gennaio 2012
Evasione fiscale, ci aiuterà l’Europa?
di Salvatore Sfrecola
Un’evasione fiscale di 120 miliardi annui, dato
Agenzia delle entrate, è assolutamente intollerabile e ci
pone in testa ad una non invidiabile graduatoria.
Quelle dimensioni dell’evasione fiscale sono intollerabili
in un paese civile perché dimostrano, da un lato, che il
sistema è fragile e consente un aggiramento, tutto sommato
agevole, dell’obbligo fiscale, e, dall’altro, che i
controlli da parte dell’Amministrazione finanziaria sono
complessi e onerosi.
I due profili sono strettamente collegati. Il sistema
fiscale è fragile, perché evidentemente non contiene in sé
elementi idonei ad evitare l’evasione, e, di conseguenza,
i controlli sono difficili. Per non dire, come ha
affermato il Direttore dell’Agenzia delle entrate, Attilio
Befera, che la lotta all’evasione fiscale per molti anni
“non è stata al centro dell’attenzione”. Espressione
“diplomatica” per dire che l’Amministrazione finanziaria
si trova ad affrontare una situazione che è, quanto meno,
tollerata, se non voluta come farebbero pensare talune
affermazioni tradizionalmente colte in molti ambienti
politici, secondo le quali in alcune aree del Paese la
stessa sopravvivenza delle popolazioni è affidata al
“lavoro nero”, cioè a redditi non tassati, se non in via
di imposizione indiretta (l’IVA).
Ora non si spiegano, se non per i motivi di complice
tolleranza di cui si è appena detto, le ragioni per le
quali l’ordinamento tributario italiano non attua sistemi
di contrasto tra i contribuenti, come quelli derivanti dal
ricorso alle deduzioni fiscali in relazione alle spese
sostenute, in tal modo impedendo al percettore di quelle
somme di ometterne la denuncia nella dichiarazione dei
redditi. Avviene dovunque negli ordinamenti moderni,
tenuto conto che il meccanismo, oltre a rispondere ad una
obiettiva esigenza di individuare redditi tassabili
importanti, ha una estrema flessibilità. La deduzione,
infatti, può essere totale o parziale e in questo secondo
caso il fisco ci guadagna due volte perché l’indicazione
di una percentuale di deduzione comporta l’indicazione
dell’intero che è stato percepito dal soggetto che ha
rilasciato la fattura o la ricevuta esibita dal
contribuente.
Un sistema siffatto, assolutamente flessibile, nel
senso che la misura della deduzione può tenere conto dello
stato della finanza pubblica ed essere, pertanto definita
annualmente in sede di bilancio o di legge finanziaria
(oggi di stabilità), esclude anche quelle preoccupazioni
che ricorrono in ambienti del Ministero dell’economia,
riferite all’ammontare del gettito che non può diminuire
se la normativa viene attuata gradualmente con
acquisizione al sistema informativo dell’Agenzia delle
entrate dei dati relativi ai redditi dei contribuenti
messi a confronto dall’applicazione delle deduzioni.
Se, dunque, la lotta all’evasione “non è stata al
centro dell’attenzione”, come dice Befera, che è l’altra
faccia di un fisco nella cui complessità si annida
l’evasione, non ci resta che sperare nell’Europa che,
quanto prima, dovrà pretendere una omogeneizzazione dei
sistemi fiscali degli stati membri. Infatti, come per le
spese si è provveduto ad imbrigliare i bilanci attraverso
il “patto di stabilità e crescita”, non si potrà a lungo
ignorare l’altra faccia della medaglia, quel sistema
tributario al quale i governi affidano non solo il
reperimento delle risorse per la spesa, cioè per le
politiche pubbliche nei settori della sicurezza,
dell’istruzione, del lavoro e della salute, ma le
politiche di sviluppo dell’economia, la guida della
crescita.
D’altra parte l’Unione europea non potrà trascurare
il profilo tributario nel quadro di una integrazione
dell’economia dei paesi che ne fanno parte. Altrimenti
l’Europa continuerà ad essere un’espressione geografica
priva di forza politica ed economica. Proprio ciò che
vogliono quanti in questa stagione della finanza
internazionale si adoperano giornalmente per favorire le
divisioni e contrastare il made in Europe sui
mercati internazionali.
26 gennaio 2012
Che fine ha fatto il VTS?
A proposito della “Costa Concordia”:
nessuno controlla le rotte
di Salvatore Sfrecola
Vessel traffic service,
in sigla VTS, è un sistema di controllo del traffico
navale che, utilizzando un gps, consente di localizzare le
unità mercantili in navigazione sui nostri mari. Lo scopo
è quello di evitare collisioni o episodi come quello della
“Costa Concordia”, a parte le regole, come quella di non
avvicinarsi troppo alle coste o di attraversare il canal
Grande a Venezia. Non serve una legge, o un decreto, è
sufficiente un’ordinanza della competente Capitaneria di
Porto.
Negli anni scorsi, a seguito della legge sulla difesa
del mare, gestita con grande capacità da Matteo Baradà,
Direttore generale dell’allora Ministero della marina
mercantile prese avvio il progetto VTS. Progettato da una
equipe di studiosi ed esperti in collegamento con
Alenia (oggi Selex Sistemi integrati, di Finmeccanica, che
nel frattempo ha proposto, assicurandosi le relative
forniture, il sistema ad altri paesi) e con i migliori
ufficiali delle Capitanerie di Porto, ricordo per tutti il
Capitano di Vascello Lolli, che sarebbe diventato
Ammiraglio e Comandante generale delle Capitanerie di
Porto.
Lo studio fu portato a termine collaudato. Seguì la
prima realizzazione, quella del VTS dello Stretto di
Messina, un’area fortemente a rischio per il grande
traffico che la caratterizza. Il centro di controllo fu
collocato in una palazzina costruita ad hoc a Messina, in
posizione elevata, sotto Forte Ogliastri. L’impianto fu
realizzato e collaudato (da una Commissione da me
preceduta), ne fu annunciata l’entrata in funzione nel
2007 dall’allora Ministro delle infrastrutture e dei
trasporti.
Non so che sia poi successo. Mi fu detto di un VTS
nazionale per dare sicurezza alla navigazione in vicinanza
delle nostre coste.
Non sono aggiornato.
Sta di fatto, però, che nella discussione di questi
giorni intorno alla tragedia dell’Isola del Giglio non si
è fatto cenno al sistema di controllo del traffico navale
VTS. Il che fa intendere che non è stato attuato o non
funziona.
Nel frattempo c’è chi scrive “aridatece Bertolaso”. È
Dagospia in margine alla lettera che l’ex capo
della Protezione Civile ha scritto oggi al Corriere
della Sera. Per dire che
“su questo incredibile disastro si è scritto di tutto.
Alcuni aspetti fondamentali, però, sono stati trascurati.
II primo. Sembra che il passare vicino alla costa fosse
abitudine, non un caso eccezionale, per questa e forse per
altre navi di quelle caratteristiche e di quella stazza.
Una notizia del genere rappresenta una denuncia ben più
pesante delle accuse rivolte allo sprovveduto comandante
della Costa”.
Bettolaso si chiede, come abbiamo fatto in molti in
quelle ore, “chi sono, quanti sono, dove sono coloro che
sapevano di queste insane abitudini e non hanno detto
nulla, non hanno preso provvedimenti, non hanno reagito
richiamando i comandanti delle navi a regole di condotta
sensate? Serviva un decreto legge per impedire gli
«inchini»?” Certamente “no”! Per cui è venuto in mente a
molti che la dura reprimenda del Comandante De Falco al
Capitano Schettino in realtà avrebbe inteso coprire
qualche “disattenzione” delle autorità marittime, quella
sera e forse in precedenza.
Bertolaso si chiede: “Possibile che un tratto di mare così
trafficato come quello toscano sia attraversato da mezzi
navali che nessuno segue, che nessuno monitora, anche
enormi come la nave affondata al Giglio?”
Ed evoca “un sistema che oggi usano pure le barche
a vela: l'Ais, segnale anticollisione (è disponibile anche
sull'iPhone, grazie al programma «marine traffic», costa 2
euro e da tutte le indicazioni sulle navi in movimento,
con rotta e velocità). Perché nessuno ha controllato cosa
faceva una nave con 4.000 anime a bordo?”
Due euro? Chi volete che si occupi di un aggeggio che
costa così poco?
E, poi, “chi ha coordinato i soccorsi?”
Occorre rimediare subito. Oltre allo spread la nostra
immagine internazionale è oggi offuscata dalla vicenda
“Costa Concordia”.
Francamente gli italiani perbene non ne possono più
di questo modo di gestire il Paese. Ed è possibile che
perdono la pazienza. Anzi è strano che ancora non sia
accaduto!
21 gennaio 2012
A proposito di un articolo di Galli della
Loggia
Alla corte dei ministri. Tecnocrati, ma
fedeli a chi?
di Salvatore Sfrecola
“Una
invisibile supercasta -
Non è vero -scrive Galli della Loggia - che il contrario
della democrazia sia necessariamente la dittatura. C’è
almeno un altro regime: l’oligarchia. E tra i due regimi
possono esserci poi varie forme intermedie. Una di queste
è quella esistente da qualche tempo in Italia. Dove ci
sono da un lato un Parlamento e un governo democratici, i
quali formalmente legiferano e dirigono, ma dall’altro un
ceto di oligarchi i quali, dietro le quinte delle
istituzioni democratiche e sottratti di fatto a qualunque
controllo reale, compiono scelte decisive, governano più o
meno a loro piacere settori cruciali, gestiscono quote
enormi di risorse e di potere: essendo tentati spesso e
volentieri di abusarne a fini personali. I frequenti casi
scoperti negli ultimi anni e nelle ultime settimane hanno
aperto squarci inquietanti su tale realtà”.
Tra questi “signori del potere”, oltre all’alta
burocrazia dei ministeri, cioè dei direttori generali,
secondo l’articolo “si è andata aggiungendo negli anni una
pletora formata da consiglieri di Stato, alti funzionari
della presidenza del Consiglio, giudici delle varie
magistrature (comprese quelle contabili), dirigenti e
membri delle sempre più numerose Authority, e altri
consimili, i quali, insieme ai suddetti direttori generali
e annidati perlopiù nei gabinetti dei ministri,
costituiscono ormai una sorta di vero e proprio governo
ombra. Sempre pronti peraltro, come dimostra proprio il
caso del governo attuale, a cercare di fare il salto in
quello vero”.
L’analisi merita alcune considerazioni che Galli
della Loggia, storico e politologo avrebbe dovuto fare
immediatamente, per completezza, anche sulla base di
illustri esperienze del passato.
Non è da oggi che i detentori del potere, per grazie
di Dio e/o per volontà della Nazione, si servono di alti
burocrati, giuristi, politologi, diplomatici che spesso
hanno determinato il successo del potente. Le cancellerie
dei grandi della terra sono state rette sempre da
personaggi che hanno notevolmente influito sulle scelte
della politica, che hanno dato il nome a leggi, a
trattati, a riforme importanti rimaste a segnare un
momento della storia. I consiglieri si chiamano così
perché consigliano e consigliando influiscono.
Si tratta di grandi dignitari provenienti
dall’amministrazione della Corona, dall’esercito, dagli
ordini religiosi, singolarmente o inseriti in organi
collegiali. Come il Consiglio del Re, Supremo consiglio di
governo che sostituì in Francia, dal XIV secolo, la
Curia regia. Il suo nome, alquanto generico, fu
attribuito, per tutto l'ancien régime, a
istituzioni di volta in volta diverse come il Conseil
d'en haut, il Conseil privé, il Conseil des
dépêches ecc.
Mi vengono in mente centinaia di nomi, quello di
Seneca, filoso e consigliere di Nerone, di Herman von
Salza, Gran Maestro dell’Ordine Teutonico e Cancelliere di
Federico II Hohenstaufen, grande soldato e diplomatico, di
Pier della Vigna, ministro e ascoltato consigliere dello
stesso Imperatore, di Guglielmo di Nogaret, primo
consigliere del Re di Francia
Filippo IV Il Bello,
protagonista nella vicenda della soppressione dell’Ordine
del Tempio. E ancora di Tommaso Moro e di Tommaso Becket.
Uno stuolo infinito di personaggi che sono stati spesso i
veri protagonisti di vicende storiche attribuite, poi, a
principi e sovrani.
Non ha senso, dunque, l’osservazione di Galli della
Loggia sul fatto che quella oligarchia “non è passata
attraverso nessuna selezione specifica né alcuna speciale
scuola di formazione (giacché noi non abbiamo
un’istituzione analoga all’Ena francese)”. Perché i nostri
dirigenti, i nostri magistrati del Consiglio di Stato e
della Corte dei conti, come gli avvocati dello Stato, le
categorie dalle quali sono tratti prevalentemente i
grand commis dello Stato si formano nelle
amministrazioni e nelle aule d’udienza nel preparare
provvedimenti, controllarli, verificarne la legalità.
Sono, pertanto, personalità di grande preparazione
professionale. Ed è fuor di luogo affermare che vengono
“designati dalla politica con un grado altissimo di
arbitrarietà”. La regola, infatti, è quella della scelta
intuitu personae, per conoscenza o stima personale,
per il tam tam che collega i detentori del potere.
Potenti e spesso inamovibili, dei consiglieri Galli
della Loggia avrebbe dovuto chiedersi se sono al servizio
dello Stato o del potente di turno. E se questo esercita
il potere che gli è dato nell’interesse dello Stato e del
bene comune.
È questo il punto essenziale, il discrimine che Galli
della Loggia avrebbe dovuto affrontare è se questi
grand commis sono fedeli al giuramento di osservare la
Costituzione e le leggi e di adempiere alle funzioni loro
affidate con”disciplina ed onore”, come si legge nell’art.
54 della Costituzione. Ciò che comporta che in caso di
contrasto tra la disposizione ricevuta e la loro coscienza
di uomini dello Stato sono disposti a lasciare il posto, a
rinunciare alla carica ed ai compensi che comporta. Non si
ricordano, in proposito, molti casi, almeno di recente.
L’ultimo a dimettersi fu il Consigliere di Stato Vincenzo
Caianiello che, da Capo dell’Ufficio legislativo del
Ministro dei lavori pubblici Franco Nicolazzi, motivò la
sua scelta al tempo della legge sull’edilizia residenziale
che porta il nome di quel politico e che lui non
condivideva.
Un esempio di dignità e di coerenza professionale di
un uomo delle istituzioni. Devo dire che nella mia
esperienza di consigliere giuridico di vari ministri,
attento alle vicende governative e dell’Amministrazione da
un osservatorio privilegiato come la Corte dei conti ho
potuto constatare che per molti è difficile dire ad un
ministro “questo non si può fare” o “questo è contro la
legge” o, ancora, più semplicemente, “ha conseguenze
negative sul piano istituzionale”. La maggior parte
preferisce allinearsi alla volontà del politico di turno,
piuttosto che contraddirlo, con il rischio di dover essere
messi fuori ed uscire “dal giro”.
E qui va detto che la presenza di magistrati del
Consiglio di Stato, della Corte dei conti o di Avvocati
dello Stato nei gabinetti o negli uffici legislativi di
ministri, per la loro formazione professionale e per
l’indipendenza che li dovrebbe caratterizzare, fa bene
alle istituzioni. Un ministro, nel momento in cui assume
l’incarico governativo, diventa, nel bene e nel male,
prigioniero della struttura, delle sue esigenze delle sue
aspettative in relazione al ruolo che la legge le
attribuisce, con la conseguenza che può essere
impermeabile ad esigenze di innovazione, di
semplificazione delle procedure dalla quale i burocrati
ministeriali potrebbero ritenere di perdere parte del loro
potere.
La presenza di un diretto collaboratore del ministro,
non coinvolto in tali interessi, ma autorevole per la sua
provenienza istituzionale e indipendente può essere
essenziale per un politico innovatore. Può essere la sua
fortuna.
È questo il problema che sta sullo sfondo
dell’articolo di Galli della Loggia, ma non affrontato.
Non è importante che i consiglieri dei ministri italiani
non abbiano frequentato l’Ena, ma che siano
professionalmente capaci e soprattutto, indipendenti, che
servano lo Stato e non si servano dello Stato. In sostanza
che non si trovino in quelle condizioni che Galli della
Loggia denuncia, evocando “casi clamorosi di conflitto
d’interessi” e sfruttino occasioni per “avere case,
privilegi, vacanze, stili di vita da piccoli nababbi”.
Per questo su questo giornale io e gli altri
collaboratori evochiamo spesso principi di etica della
funzione pubblica.
Anche per dare fiducia ai cittadini.
21 gennaio 2012
I tassisti?
Lasciamoli scioperare!
di Senator
Non c’è dubbio che, tra tutte le “liberalizzazioni”
annunciate la più attesa dagli italiani, e soprattutto dai
romani, è quella che riguarda i taxi. Un po’ perché
s’immagina che le tariffe potrebbero diminuire per effetto
dell’aumento dei mezzi a disposizione, un po’ perché
l’arroganza della categoria e la maleducazione di molti
autisti hanno gettato discredito su un servizio che nelle
più importanti città d’Europa è gestito con grande
efficienza sotto l’attenta sorveglianza della autorità
cittadine. Si tratta, infatti, di un servizio pubblico
essenziale che è idoneo a concorrere allo snellimento del
traffico nelle grandi città se efficiente ed a buon
prezzo. In queste condizioni prendere un taxi “conviene”,
si evita lo stress della ricerca del parcheggio ed il suo
costo, si risparmia tempo, in quanto non si deve calcolare
il tempo necessario per conquistare un posto dove lasciare
l’auto.
Se, pertanto, soprattutto i romani sono scontenti del
servizio cittadino è perché, come è stato detto più volte
da questo giornale, i nostri autisti fanno di tutto per
non farsi amare. Auto sporche, spesso maleodoranti,
frequente mancato uso dell’aria condizionata, percorsi che
sembrano itinerari turistici che allungano i tempi con
accurata scelta del percorso più intasato ed irto di
semafori. E poi, radio urlanti e finestrini perennemente
abbassati con rischio cervicale e congiuntiviti.
Tutto va chiesto “per favore”, dal finestrino, da
alzare, alla radio, da abbassare, all’aria condizionata,
da attivare, spesso invano (“me credevo che andavamo ner
deserto”, mi ha detto un attempato tassista il 9 di giugno
in una Roma surriscaldata alla mia indicazione per Largo
Goldoni).
Insomma, Presidente Monti, non so se tutte le
liberalizzazioni preannunciate porteranno vantaggi per il
Paese e contribuiranno effettivamente alla ripresa
dell’economia, ma è certo che quella dei taxi va fatta,
subito e in modo che questo servizio finalmente funzioni.
Ma non ne affidi le modalità di attuazione ai Sindaci
perché altrimenti la riforma non decolla. Per quattro voti
i nostri primi cittadini sono disposti a tutto, anche a
continuare a far soffrire, d’estate, i turisti americani,
e non solo, i quali torneranno a casa sudati, tappandosi
il naso e ripetendo, che puzza, che puzza, come il nanetto
nella pubblicità di una nota casa produttrice di prodotti
per le fosse biologiche.
20 gennaio 2012
No
taxi? Limousine!
di
Marco Aurelio
Roma, stazione Termini, ore 21 e 20, esco e cerco in via
Marsala un taxi. Avevo chiamato una cooperativa di taxi ed
ero stato tranquillizzato: "ci dovrebbero essere i taxi
del turno di notte". Niente! Uno squallore, neanche un
taxi. In compenso dappertutto limousine fiammanti,
Mercedes, BMV, con autista alla guida, eleganti, giacca
blu, cravatta della cooperativa. Lo sciopero dei taxi
quanto meno ha fatto vedere un po' di eleganza. Perché un
taxi non deve essere fiammante, perché d'estate è un
problema far accendere l'aria condizionata, tra l'altro ad
evitare che il conducente offenda il nostro olfatto con
una maleodorante sensazione di sudato?
Non credo che dalla liberalizzazione dei taxi gli italiani
guadagneranno molto, anche se è certamente auspicabile che
questo servizio assuma una dignità che oggi, almeno a
Roma, non ha. A parte il diffusissimo mancato uso
dell'aria condizionata, entri in taxi dove l'autista ha la
radio a tutto volume inevitabilmente sintonizzata su una
trasmissione sportiva. Ad una mia amica è capitato di
imbattersi in un autista intento a ad ascoltare una
trasmissione su temi sessuali. Ha fatto notare che la cosa
la disturbava. Il cafone al volante le ha risposto che lui
sente quello che vuole. Lei ha chiesto si fermasse ed è
scesa. Intanto, nei dieci minuti del percorso l'autista fa
almeno tre o quattro telefonate, ovviamente senza
auricolare, facendoti venire l'ansia.
Insomma un servizio da reinventare. Ma non so se quel che
il governo vuol fare ci darà taxi puliti, autisti educati
e non maleodoranti, a prezzi inferiori.
Ne dubito, non vedo la connessione tra liberalizzazione e
un servizio migliore. Una maggiore concorrenza? E'
difficile che basti aumentare le licenze.
19
gennaio 2012
Eroi? Come i santi sono uomini normali!
di Salvatore Sfrecola
Per Bertolt Brecht, com’è noto,”Beati i popoli che
non hanno bisogno di eroi”. Da un lato un paradosso, se
pensiamo che tutti i popoli, periodicamente, scoprono al
loro interno degli eroi, dall’altro, ma non è certamente
questo alla base della affermazione di Brecht, è vero che
l’eroe è un uomo normale che, al momento opportuno, riesce
a fare quello che altri non fanno, spontaneamente, perché
quell’uomo normale sente di dover intervenire come gli
suggerisce la coscienza.
In questo senso gli eroi sono come i santi, uomini
normali, che potremmo avere vicino a noi senza
accorgercene, se non che sono capaci, all’occorrenza, di
comportamenti che altri non compiono, di pietà e di amore,
spontaneamente, disinteressatamente, neppure pensando che
sia gradito a Dio.
Ma ci sono momenti che di questi uomini normali, eroi
o santi, i popoli hanno bisogno, per ricordare a tutti i
doveri che, prima dei diritti, sono propri di una
comunità, doveri semplici che caratterizzano un mestiere o
una professione, quei doveri che diciamo rispondere ad
un’etica propria di quel mestiere o di quella professione.
Così è stato eticamente censurabile il comportamento
del Comandate della Costa Concordia, un uomo che
dal colloquio con il Comandante della Capitaneria di Porto
di Livorno è risultato un irresoluto, incapace di rendersi
conto della situazione, di affrontarla secondo ciò che è
proprio del suo ruolo.
C’è uno slogan che accompagna la pubblicità delle
accademie militari italiane che ripeto per come lo ricordo
“guiderai e sarai responsabile di uomini”. Ecco il ruolo
del comandante, che non è solo uno che comanda, ma guida
uomini e di essi si assume la responsabilità, un ruolo che
in mare ha tradizionalmente creato un legame particolare
con la nave e con i marinai. Per cui il comandante non
abbandona la nave se non per ultimo. E vive con i suoi
marinai in un rapporto che fa dell’equipaggio un
tutt’unico, legato alla nave ed al suo comandante.
L’esaltazione del Comandante De Falco, dunque, che
redarguisce duramente Schettino, che non vuol risalire a
bordo della nave in avaria con ancora passeggeri a bordo,
è certamente comprensibile e condivisibile. Riguardato
come un eroe De Falco è, in realtà, un uomo normale che fa
il suo lavoro, evidentemente con somma coscienza e
professionalità, che sa che il suo ruolo in quel momento è
quello di sostituirsi al comandante della Costa
Concordia nel dare le disposizioni del caso, per
spronarlo a riprendere possesso delle sue funzioni. Lo
rimprovera con durezza ma in cuor suo vorrebbe che quel
“collega” tornasse a svolgere le funzioni di comandante,
per guidare i suoi marinai che nella fase delicata del
naufragio devono, prima di tutto, aiutare chi rischia la
vita perché in mare “prima di tutto” è necessario
salvaguardare la vita umana.
Non un eroe, dunque, ma un uomo normalissimo, forte
di esperienza, consapevole dell’etica del suo ruolo che lo
guida nel difficile rapporto col comandate della nave
naufragata, mentre deve coordinare i soccorsi.
Se De Falco non è un eroe, ma un eccellente
professionista, Schettino è una persona che si trova ad
affrontare una situazione superiore alle sue possibilità.
E c’è da chiedersi chi lo ha scelto, chi ha valutato quel
marinaio idoneo a guidare una macchina supertecnologica
con migliaia di persone a bordo. È il difetto di questo
Paese, che non dà a ciascuno il proprio, che non sa
scegliere e non sa punire nel modo esemplare che certi
comportamenti esigono.
“La drammatica telefonata tra Francesco Schettino e il
capitano di fregata Gregorio Maria De Falco della
Capitaneria di porto di Livorno – scrive oggi sul
Corriere della Sera Aldo Grasso - è forse il documento
che meglio testimonia le due anime dell’Italia. Da una
parte un uomo irrimediabilmente perso, un comandante
codardo e fellone che rifugge alle sue responsabilità, di
uomo e di ufficiale, e che si sta macchiando di un’onta
incancellabile.
Dall’altra un uomo energico che capisce
immediatamente la portata della tragedia e cerca di
richiamare con voce alterata il vile ai suoi obblighi. In
mezzo un mondo che affonda, con una forza metaforica
persino insolente, con una ferita più grande di quello
squarcio sulla fiancata.
Se il capitano De Falco fosse stato sulla nave sarebbe
sceso per ultimo, come vuole l’etica del mare”.
Un uomo normale che diventa suo malgrado un eroe
perché messo a confronto di una nullità. Un uomo vero.
Ho un ricordo che porto con me dalla scuola
elementare, quando per la prima volta ho letto la
motivazione della medaglia d’oro dell’ufficiale al quale è
dedicata la mia scuola di bambino, il Sottotenente Ugo
Bartolomei.
Chiamato alle armi con i ragazzi del '99, romano,
prese parte alla Prima guerra mondiale come sottotenente
del 1° Reggimento Fanteria.
Morì nella
battaglia della Conca di Alano
nell'ottobre del
1918
nel tentativo di attirare su di sé l'attenzione del nemico
per difendere un gruppo di altri suoi compagni in
difficoltà.
Un eroe? Un uomo normale responsabile del suo ruolo
che chiamiamo eroe e giustamente lo Stato ne ha
riconosciuto le virtù umane. E ne siamo orgogliosi!
18 gennaio 2012
È l’economia che conta,
non il nome della moneta
di Salvatore Sfrecola
“Il 55% degli italiani non si fida più dell’euro”,
titola oggi l’Osservatorio di Renato Mannheimer sul
Corriere della Sera, a pagina 13. Dove si spiega che la
maggioranza degli italiani dichiara manifestamente la
propria sfiducia nella moneta unica e, conseguentemente
nell’Europa.
Il dato, tuttavia, viene in qualche misura corretto
da una ulteriore rilevazione, secondo la quale, malgrado
le estese perplessità attuali, gli italiani, nella loro
maggioranza (60%), ritengono che “il passaggio all’euro
andava fatto e che non si deve tornare indietro”.
Le perplessità, dunque, a ben vedere riguardano
l’Europa, non la moneta che, in quanto tale, è neutrale,
ed anche il suo valore, come, al momento della sua
introduzione, il criticatissimo cambio con la lira, è un
effetto della politica. E così, oggi, chi si lamenta
dell’euro dovrebbe indirizzare le sue critiche verso i
governi degli stati che aderiscono all’Unione, che non
riescono a fare un passo avanti, a costruire un modello di
sviluppo dell’intero continente che, tenendo conto della
varietà e rilevanza delle economie nazionali, tutte le
riconduca in una visione globale che premi la fantasia,
l’ingegno e la laboriosità degli imprenditori europei.
Questo manca ancora, a più di cinquant’anni dai Trattati
di Roma, che hanno istituito la Comunità Economia Europea,
divenuta dopo Maastricht Unione Europea ad attestare la
volontà degli stati membri di fare un passo ulteriore
verso una unione “politica”, così come auspicato dagli
europeisti più convinti da Alcide De Gasperi a Gaetano ed
Antonio Martino, a Giorgio Napolitano, che non tralascia
occasione per sollecitare una maggiore iniziativa in
quella direzione.
È quel che è dietro l’euro, dunque, che deve
preoccupare. La mancanza di una visione globale
dell’economia dell’Unione e dei singoli paesi rende debole
l’Europa e la sua economia sui mercati internazionali, e
impedisce a “Mister Europa”, di parlare a nome di tutti,
quel Mister Europa che si sarebbe dovuto presentare
quale Ministro degli esteri dell’Unione, come aveva
previsto il Trattato costituzionale del 2004, affossato da
francesi e olandesi, probabilmente anche per conto terzi.
Da Lisbona è venuto l’Alto rappresentante per gli affari
esteri. Anche le parole hanno un significato e a tutti
deve essere parso evidente che il nuovo Trattato ha voluto
sminuire il significato di chi è incaricato della politica
estera. Che è strettamente legata a quella economica,
l’una e l’altra espressione di quell’autorità esterna
della quale l’Europa ha bisogno per sedere al tavolo delle
relazioni internazionali con gli altri partners
mondiali, dagli Stati Uniti, alla Cina, dal Brasile
all’India.
Quindi non prendiamocela con l’euro, ma con chi lo
sostiene a livello mondiale, i paesi dell’area, le cui
economie non dimostrano consapevolezza delle ragioni dello
stare insieme. In questo senso gli eurobond
proposti da Tremonti costituiscono indubbiamente la strada
maestra, la conseguenza necessaria della moneta unica.
Inguaribile ottimista, credo che l’Unione europea sia
una realtà della quale gli stati membri e le loro economie
non possono prescindere. Tornare indietro significherebbe
diventare vassalli di questa o di quella potenza
economica. Non conviene a nessuno, neppure ai più grandi,
come la Germania, grande in Europa,piccola nel mondo.
Occorre, dunque che si rimbocchino le maniche tutti e
mettano in piedi un sistema di relazioni finanziarie tra
gli stati che dia alla Banca Centrale Europea il ruolo che
avevano le banche centrali dei singoli paesi perché sia
finalmente messo in campo un modello di sviluppo
articolato sulla base delle singole economie e delle
tradizioni che le caratterizzano.
Quanto al cambio dollaro/euro nessuno si preoccupi
per la minore quotazione della moneta europea, ma si
faccia in modo di cogliere questa opportunità per andare
sui mercati e conquistare quote di esportazioni che
possano restituire smalto alle nostre produzioni e
contribuite ad invertire quella tendenza recessiva che
tanto preoccupa.
16 gennaio 2012
Paghiamo il ritardo
dell’unione politica
Attacco all’Europa
di Salvatore
Sfrecola
Lo aveva detto Giorgio
Napolitano nel discorso di fine anno, ma nessuno aveva
raccolto l’allarme.
Eppure l’attacco
all’Europa e alla sua moneta era evidente da mesi, già
prima che la Grecia entrasse in affanno e con essa gli
altri paesi in difficoltà e i governanti a Berlino e a
Parigi si sono sentissero investiti del un sacro ruolo di
censori delle altrui debolezze finanziare, con onere di
dettare prescrizioni nella sostanza vincolanti.
Era evidente che la
verifica dell’affidabilità dei paesi europei, provenendo
dagli Stati Uniti, fosse in qualche misura condizionata
dalla situazione di quella grande nazione, a sua volta in
difficoltà per il suo ruolo internazionale, incerto e
costoso in termini finanziari e politici, di guardiani
delle libertà contro il terrorismo, nel tentativo di
dominare un’area del mondo preziosa soprattutto per il
petrolio che produce. E c’è da chiedersi quando i politici
a Washington e dintorni studieranno un po’ di storia
romana per capire come si conquista e soprattutto come si
mantiene la leadership del mondo. Tra l’altro
assicurandosi il consenso dei “dominati”.
In quel gigante con
diffuse fragilità, dalla cui finanza si sono diramati
negli anni scorsi i virus tremendi che hanno
infettato al di qua e al di l’là dell’oceano e colpito
tanti risparmiatori, c’è chi teme, e non da oggi,
l’Europa, una realtà culturale, imprenditoriale e
scientifica che se raggiungesse effettivamente l’unità
politica ed una guida sicura sarebbe il leader
dell’Occidente. E così si fomenta la divisione con
l’impegno, degno di migliore causa, alternativamente di
francesi e inglesi, i primi pronti a bocciare il trattato
costituzionale del 2004, i secondi eredi di un
isolazionismo fuori tempo, considerato che se c’è nebbia
sulla Manica, ad onta nella nota battuta, molto spesso è
l’Inghilterra e non l’Europa ad essere isolata.
Attenzione! Non che
inglesi e francesi, con la collaborazione volonterosa dei
tedeschi e di qualche piccolo paese “di area”, abbiano
tutti i torti. Sentono la mancanza di una guida politica,
ma è certo che questa guida non potrà prendere forma
effettiva se l’Europa degli stati non troverà quell’idem
sentire che diventi anche un idem modus agendi
per il quale è di ostacolo il particulare
perseguito da chi accetta i vantaggi e respinge un impegno
serio.
E così si ha
l’impressione che sia il tempo dell’ultima chiamata, in
bilico tra crescere e sparire, nel senso che è possibile
prendere la strada dello sviluppo o quella della
dissoluzione di un’idea politica che, già a fine ‘800,
Luigi Einaudi intravedeva come unica speranza per un
futuro prospero del vecchio Continente.
Ora anche Monti denuncia
l’“attacco all’Europa”, ne parlano oggi i giornali perché
questa realtà è evidente negli ultimi avvenimenti, dalle
pronunce delle agenzie alla speculazione che mira ad un
cambio di proprietà attraverso il crollo delle quotazioni
di borsa di importanti imprese industriali, bancarie e
assicurative che fanno preludere ad un successivo
rastrellamento a prezzi stracciati.
L’Europa deve reagire,
anche di fronte al severo monito delle società di
rating che bacchettano e puniscono, le stesse che non
sono molto tenere di fronte alla crisi dell’economia
americana, non superata nonostante l’immissione di forti
quantità di dollari, una manovra inflazionistica in
relazione alla quale Standar & Poor’s si è limitata
ad un affettuoso buffetto sulla guancia.
Certo il
declassamento, che non ha solo riguardato l’Italia, non è
frutto della “cattiveria” delle agenzie ma trova
fondamento nella realtà del debito pubblico e nella fase
di stagnazione che non fa intravedere segnali di ripresa
del prodotto interno lordo, una situazione rispetto alla
quale le misure preannunciate dal governo Monti non
sembrano idonee, nel breve periodo, a determinare un
cambio di tendenza. Ad esempio le liberalizzazioni, alle
quali da molti si annette un effetto taumaturgico, non
avranno effetti significativi se non dopo alcuni anni,
come ha spiegato in televisione ieri sera sul La7
il Sottosegretario all’economia ed alle finanze Gianfranco
Polillo, incalzato da tassisti e farmacisti intenti a
dimostrare che risparmi concreti per i cittadini (i taxi)
e per questi e lo Stato (i farmacisti) non ce ne saranno
di immediati. Forse più certi possono essere gli effetti
dell’intervento governativo sui gestori delle pompe di
benzina, se tutto il sistema della distribuzione non farà
resistenza occulta con effetti reali. Ed, ancora, è
probabile che si possa spuntare qualche risparmio dalla
gestione del sistema delle assicurazioni in quanto le
compagnie potranno abbassare le tariffe in considerazione
della più ampia platea di assicurati che si prevede con
l’obbligatorietà delle polizze per i professionisti.
Tuttavia l’incertezza
è grande ed il pericolo per la politica deriva dalla
generalizzata reazione delle lobby che, riguardando gran
parte delle famiglie italiane (in quasi tutte c’è un
interessato alle “liberalizzazioni”), potrebbe generare un
diffuso senso di sfiducia nell’azione del governo,
certamente deleterio per la sua tenuta anche in vista
delle elezioni per il rinnovo del Parlamento che, al più
tardi, come sappiano, saranno nella primavera del 2013.
15 gennaio 2012
Il malinconico Carlo ed il
burbero Quintino
di Senator
Non entro nel merito della vicenda che ha portato
alle dimissioni del Professore Avvocato Carlo Malinconico,
Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei
ministri, anche se quel “non me lo merito. Io ero in buona
fede”, che campeggia nel titolo dell’intervista a La
Repubblica dell’altro ieri, desta, a dir poco,
perplessità. Chi lascia un albergo, dove ha soggiornato
per giorni, senza pagare il conto deve necessariamente
ritenere, se non è ospite del proprietario, che qualcuno
quella fattura l’avrebbe pagata. E non si vede perché quel
”qualcuno” avrebbe dovuto anticipare una somma da
rimborsare. Una spiegazione che non regge, tanto che
avendo provveduto, alla vigilia delle dimissioni, a pagare
il conto con un bonifico, il destinatario, come si legge
sui giornali, lo ha rifiutato per l’ovvia ragione che il
conto era già stato saldato.
Si è dimesso, dunque. Il fatto è che non avrebbe
dovuto neppure essere incaricato del prestigioso ruolo
governativo, non solo per la vicenda di cui si è appena
detto, della quale i giornali (in particolare Libero,
con alcuni articoli del Vicedirettore Bechis) si erano
occupati senza essere smentiti, ma perché è apparso subito
poco conveniente che il Presidente della Federazione
Editori Giornali andasse a ricoprire il ruolo di
Sottosegretario all’editoria.
Ingenuità o disattenzione del Premier all’atto della
formazione della lista dei sottosegretario o
malconsigliato?
E inevitabilmente viene voglia di dire che l’etica
delle istituzioni, nelle istituzioni è ancora per molti
una illustre sconosciuta. Si stenta a mantenere quella
estraneità ed equidistanza, rispetto agli interessi in
campo, che deve essere sì effettiva ma anche visibile,
perché i cittadini sappiano e possano valutare i
comportamenti di chi svolge funzioni di pubblico
interesse.
È un degrado che ci trasciniamo da tempo se qualcuno
in questi giorni ha difeso Malinconico tentando di
minimizzare un comportamento a dir poco sconveniente,
assolutamente da evitare da un uomo delle istituzioni, ex
magistrato, uno che aveva giurato non solo “di osservare
le leggi”, come tutti i cittadini, ma di adempiere alle
funzioni pubbliche a lui affidate “con disciplina ed
onore”, come si legge nell’articolo 54 della Costituzione.
Viene da dire o tempora o mores, anche se non
dubitiamo che Malinconico nell’esercizio delle funzioni
istituzionali a lui affidate abbia rettamente operato. Il
fatto è che la vita privata di un uomo pubblico non è
indifferente, risalta immediatamente e, se non adamantina,
espone il personaggio a indebite sollecitazioni.
E vien voglia di riandare con la mente a ben altri
esempi della vita ministeriale romana, ad un altro
inquilino dei palazzi del potere, a quel Quintino Sella,
del quale i Ministri del tesoro e delle finanze (ora
dell’economia e delle finanze), occupano ancora oggi lo
studio e lavora alla sua scrivania, nel Palazzo di via XX
Settembre a Roma. Quel Ministro delle finanze che, in
vista di una riunione con il Presidente del Consiglio,
Giovanni Lanza, gli inviava un biglietto per ricordargli
di portare le candele della Presidenza del Consiglio
perché, ove fosse andata per le lunghe e avessero dovuto
accendere le candele, non sarebbe stato possibile
utilizzare quelle del Ministero delle finanze per una
riunione che aveva ad oggetto questioni della Presidenza
del Consiglio.
Un ricordo per dire di come gli uomini di quella che
ingenerosamente fu chiamata “Italietta” guardassero alla
utilizzazione del denaro pubblico. Uomini dei quali si è
più volte detto che, distesi sul letto di morte,
mostravano le suole delle scarpe consumate al punto che
molto spesso lasciavano intravedere il classico buco.
Tornando all’oggi, ricordo di aver più volte
segnalato la necessità, nella scelta degli uomini di
governo e dei loro collaboratori, di una accurata
selezione, evitando chi, pur di elevata professionalità,
abbia dimostrato disinvoltura anche nella vita privata,
come attestano le intercettazioni telefoniche che, in
questi anni, ci hanno fatto conoscere le abitudini
pubbliche e private della “Cricca” e di quanti la
frequentavano ottenendo piaceri di vario genere che è
difficile ritenere fossero elargiti gratuitamente,
considerato il vorticoso giro di appalti, consulenze,
collaudi e arbitrati che hanno mosso cifre da capogiro.
Infine, poiché è evidente che, mentre per le “misure”
economiche attuate dal Governo Monti a carico dei
poveracci il Premier si prende al più qualche
imprecazione, ora che minaccia di colpire interessi
consolidati di qualche corporazione potente, il Professore
Monti deve attendersi qualche sgambetto, magari per
colpire qualcuno dell’entourage che incautamente si è
messo o gli è stato messo accanto.
Ed è da chiedersi: chi lo ha consigliato o non la
dissuaso per chi lavora?
13 gennaio 2012
Il
trattamento economico dei parlamentari:
sciocchezze e verità
di
Salvatore Sfrecola
Si è parlato molto nei giorni scorsi del trattamento
economico dei parlamentari, di quanto guadagnano per
indennità e compensi vari, variamente giustificati e si è
aperta una polemica sgradevole per chiunque abbia a cuore
le sorti delle istituzioni, a cominciare da quella che è
per Costituzione rappresentativa del popolo italiano, il
Parlamento con le sue sue Camere, il Senato e la Camera
dei deputati.
Prescindiamo, perché non rilevanti ai fini di questo mio
interevento, dalla misura dell'indennità e delle altre
voci che compongono il trattamento economico per
affrontare il tema nei suoi reali termini, che non ho
visto trattare sui giornali e nelle polemiche di questi
giorni nelle quali anche la stampa non ha fatto una bella
figura per essersi prevalentemente schierata, con una
buona dose di demagogia, contro quella che è stata
definita "la casta". Cosa facile da fare in questi giorni
nei quali agli italiani si chiedono sacrifici ai quali
sembra che i parlamentari non vogliano concorrere.
Vediamo, dunque, partendo dall'inizio qual'è il modo
corretto,a mio avviso, di affrontare il tema.
Credo che nessuno oggi possa ritenere che il parlamentare
lo debba fare gratis, senza percepire un qualche compenso
comunque denominato, stipendio, indennità, diaria,
rimborso spese e via dicendo. Un tempo i parlamentari
non avevano nessun trattamento economico e questo, mi
sembra evidente, facilitava l'ingresso nelle aule del
Parlamento di chi fosse abbiente o avesse chi lo
supportava economicamente, fosse anche un partito o un
sindacato.
Non è immaginabile, pertanto, una classe parlamentare alla
quale non sia riconosciuta una qualche indennità.
Proseguendo nella riflessione si tratta di ragionare su
quanto il parlamentare debba ricevere a carico del
bilancio pubblico (quello dell'Assemblea di appartenenza)
per questo suo impegno che, è altrettanto evidente,
collide in una certa misura con la normale attività
lavorativa, cioè con quell'impegno professionale che
consente al deputato o al senatore di mantenersi e di
mantenere la famiglia.
A questo punto mi pare necessario fare dei distinguo. Il
parlamentare può essere lavoratore dipendente o libero
professionista. Cioè può ricevere uno stipendio o una
pensione a carico del suo datore di lavoro, pubblico o
privato, oppure non avere altra risorsa che il suo lavoro.
Nel primo caso la vicenda si può risolvere in vario modo,
ad esempio consentendo al parlamentare di continuare a
percepire il trattamento economico del suo datore di
lavoro, direttamente, con rimborso delle camere, o può
ricevere la stessa somma dall'Assemblea della quale fa
parte.
Più complessa è la vicenda del libero professionista il
quale deve rinunciare al suo lavoro o drasticamente
ridurlo. Mi sembra evidente che non si possa negare
all'avvocato, al medico o all'ingegnere che vede
ridimensionata la sua attività professionale e,
conseguentemente, il suo guadagno, di ricevere
un'indennità, come il dipendente che va in aspettativa dal
lavoro.
Si tratta di determinarne l'importo, anche sulla base
dell'esperienza di paesi comparabili al nostro,
evidentemente nell'ambito dell'Unione europea.
Cosa va calcolato? Certamente una indennità base, comunque
denominata, e le voci qualificate come rimborso spese che
devono essere realistiche ed effettive. Ad esempio non mi
scandalizza che i parlamentari godano di una sorta di
rimborso per le spese di alloggio nei giorni nei quali
lavorano in aula o in commissione, ma è chiaro che quella
somma non può essere attribuita a chi vive a Roma per cui
non ha spese di alloggio. La vicenda è emblematica di una
scarsa considerazione per il denaro pubblico e ricorda un
caso, di alcuni anni fa, quando alcuni Consiglieri
provinciali di Roma fruivano di una indennità se
residenti fuori della Capitale ma nella provincia. Molti
risultavano residenti in seconde case al mare o ai monti,
ma la Procura Generale della Corte dei conti, che aveva
condotto un'inchiesta in proposito, verificò, sulla base
delle utenze (luce, acqua, gas) che quei signori non
risiedevano affatto nelle località indicate.
C'è, poi, il discorso del collaboratore per il quale il
parlamentare dispone di una certa somma, con la
conseguenza che questa soluzione si presta ad abusi. Non
si tratta della persona scelta, che sia un parente o un
amico perché credo che il collaboratore lo debba scegliere
il parlamentare in considerazione del rapporto di fiducia
che necessariamente deve intercorrere tra i due, ma
sarebbe bene che lo pagasse la Camera, sulla base di uno
specifico contatto di lavoro, ad evitare che il
parlamentare sfrutti la situazione corrispondendo
all'assistente una somma inferiore a quella messa a
disposizione dall'amministrazione.
Credo, dunque, che sarà necessario fare chiarezza sul
trattamento economico dei parlamentari offrendo magari più
servizi, locali, copia, e quant'altro in altre realtà
viene garantito ai rappresentanti del popolo che svolgono
un lavoro volontario ma di interesse generale, considerato
che "ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed
esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato", come
si legge nell'art. 67 della Costituzione.
Per concludere, evitiamo di porre sul terreno della
discussione una critica ai parlamentari che degeneri in
una rissa nella quale a rimetterci sarebbe la politica,
quella nobilissima arte della gestione della cosa pubblica
che comporta in chi la pratica a livello di senatore o
deputato una buona dose di sacrifici, per il tempo che
l'attività sottrae alla famiglia ed alla professione. I
parlamentari meritano di essere aiutati a svolgere il loro
lavoro e di ricevere una indennità "prevista dalla legge",
come precisa la Costituzione all'articolo 69. Ho
impressione che molte "voci" retributive e rimborsi spese
siano stati stabiliti all'interno all'interno delle
stesse Camere, in barba alla trasparenza ed al rispetto
della Costituzione. Per questo il Governo vuol mettere
ordine, nell'interesse della funzione e per la buona
immagine del Parlamento.
7
gennaio 2012
Evasori e tartassati
di Salvatore Sfrecola
La polemica di questi giorni sull'opportunità o meno
di iniziative clamorose, come quella degli agenti del
fisco a caccia di evasori a Cortina d’Ampezzo, nel corso
delle festività di fine anno, induce a qualche ulteriore
riflessione, dal momento che le voci che si sono levate
per criticare l'azione dell'Agenzia delle entrate
assumevano di farlo in ragione della rilevante pressione
tributaria e da anni pesa sui cittadini italiani sì da
indurli ad evadere.
Ricordo una conversazione di alcuni anni fa con
l'allora Governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio,
il quale conveniva con me e con altri presenti, sulla
circostanza che la pressione fiscale, pur essendo in
Italia ai livelli che conoscono altri paesi europei, da
noi grava molto di più sui singoli contribuenti in ragione
dell'alta evasione fiscale.
Ora la difesa degli evasori fiscali non è assolutamente
ammissibile in uno Stato di diritto. Vorrei dirlo
all'onorevole Giorgio Stracquadanio, che si è esibito ieri
sera a “Piazza pulita” in una farneticante interpretazione
del fenomeno insistendo sull'elevata pressione fiscale ed
eludendo le domande di quanti ripetevano che, in linea di
principio, il dovere di corrispondere allo Stato ed agli
enti locali l'imposta dovuta per legge, è un dovere al
quale non ci si può assolutamente sottrarre. La
Costituzione, infatti, afferma solennemente che "tutti
sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione
della loro capacità contributiva".
Detto questo che dovrebbe costituire la premessa di
ogni ragionamento sul fisco, considerato anche che ad
evadere non sono ovviamente soggetti con scarso reddito ma
coloro i quali hanno una notevole disponibilità di danaro,
le istituzioni hanno il compito di riscuotere le imposte
che esse stesse hanno stabilito attraverso una decisione
del Parlamento l'organo rappresentativo del popolo
italiano.
Fatta questa premessa, è evidente che un'evasione
fiscale che tocca i 120 miliardi annui (dato Agenzia delle
Entrate) dimostra senza equivoci che il sistema tributario
è intrinsecamente inefficiente sul versante della sua
capacità di accertare ciò che deve poi riscuotere e
versare nelle casse dello Stato.
Il fatto che noi siamo ad un livello di evasione
fiscale unica tra i paesi dell'Unione europea, cioè tra
paesi che hanno una tradizione antica di democrazia e di
organizzazione amministrativa, la struttura attraverso la
quale si riscuotono le imposte, non può essere casuale.
Ricordo a me stesso, come si usa dire, che in Europa ci
sono stati che hanno una lunga tradizione di eccellente
organizzazione amministrativa, regni e repubbliche che
sono stati grandi imperi, penso all'Inghilterra, alla
Germania, alla Francia, alla Spagna che hanno delle
burocrazie d’avanguardia.
Comunque, la compiuta riscossione delle imposte non
è, evidentemente, soltanto rimessa all'efficienza
dell'amministrazione, alla sua capacità di accertare là
dove si sono prodotti i redditi che vanno sottoposti
all'imposta. I sistemi fiscali moderni, quelli che
riducono al minimo l'evasione fiscale, anche perché la
rendono estremamente pericolosa per le sanzioni applicate,
che in Italia si proclamano ma non si riesce ad
applicarle, basta pensare ai tempi lunghi del contenzioso
tributario, hanno nella struttura stessa del sistema
tributario gli elementi necessari per contrastare
l'evasione. Ad esempio, e sembra che finalmente qualcuno
cominci a ritenere che questa sia la strada maestra,
attraverso la contrapposizione degli interessi dei
contribuenti, quando il pagamento viene testimoniato da
una fattura o da una ricevuta che colui che ha pagato può
poi utilizzare in sede di dichiarazione dei redditi,
riducendo in qualche misura il proprio reddito imponibile.
La scelta di alcuni sistemi fiscali, quelli più
progrediti, più moderni, anche più giusti, di consentire
la deduzione totale o parziale corrisponde all'esigenza,
per il fisco, di accertare se il destinatario del
pagamento abbia poi dichiarato effettivamente di aver
percepito quella somma.
Questo sistema, per cui io posso dedurre 100 perché
il fisco possa accertare che altrettanto viene dichiarato
da colui che ha percepito la somma che io gli ho
corrisposto per l'acquisto di un bene o di un servizio,
appare evidentemente come uno strumento idoneo a
contrastare l'evasione fiscale che oggi si giova della
impossibilità di dedurre le spese per cui il cittadino, di
fronte all'offerta del percettore di una certa somma di
uno sconto del 30 o del 50% se non chiede la fattura o la
ricevuta, non sapendo cosa farne, non la pretende
indirettamente favorendo l'evasione.
Anche la tesi, invocata da più parti, di una
difficoltà nel controllo di queste dichiarazioni, essendo
noto che in Italia ci sono soggetti che vivono facendo
fatture false per operazioni inesistenti, sconta
un'immagine di un fisco inefficiente, perché oggi,
attraverso controlli elettronici dei codici fiscali, è
molto agevole scandagliare le dichiarazioni dei redditi
per verificare se la fattura che io esibisco è vera ed io
ho effettivamente corrisposto quella somma ad un
artigiano, ad un medico, ad un piccolo imprenditore per
lavori di ristrutturazione del bagno o della cucina,
piccoli lavori che comunque incidono sul mio reddito e sul
mio bilancio.
È qui che scatta un'altra giustificazione della mancata
applicazione di un sistema di ampie deduzioni, quella
secondo la quale proprio per effetto delle difficoltà di
controllo delle dichiarazioni, si potrebbe rischiare una
rilevante riduzione del gettito fiscale, con pregiudizio
del bilancio dello Stato. Anche questa giustificazione è,
consentitemi, priva di fondamento perché è evidente che
utilizzare un sistema come quello che sto delineando, sia
pure a grandi linee, comporta un periodo di adattamento,
per cui il fisco dovrebbe iniziare, con norma da inserire
annualmente nella legge di stabilità, consentendo di
dedurre solo una percentuale che potrebbe essere
gradualmente elevata. In sostanza intendo dire che se io
posso portare in deduzione il 30, il 40 o il 50% di una
somma, per individuare quella percentuale debbono prima di
tutto esporre la somma totale, per cui si avrebbe un
vantaggio per il fisco, sin dall'immediato, in quanto io
potrò dedurre anche il 20%, anche il 10%, di una somma
avrò indicato al fisco nella sua interezza, somma che va
individuata nel bilancio di un altro contribuente.
Non è neanche vero, come qualcuno dice, tra coloro i
quali negli ultimi tempi sposano questa via (ricordo un
mio intervento in un convegno della CIDA del 1992) che è
necessario dedurre tutto o niente, perché anche una
piccola deduzione è utile, perché tante piccole riduzioni
fanno una cifra di una certa importanza per cui l'inizio
graduale della deducibilità delle spese consentirebbe
certamente un avvio significativo di una riforma
tributaria seria e giusta.
Dico giusta perché accanto agli evasori, in questo nostro
Paese, ci sono i tartassati, cioè coloro i quali pagano
integralmente le imposte, magari, come dice qualcuno,
perché non possono sfuggire, i soggetti preferiti dal
fisco quando ha bisogno di denaro. Lo ha fatto il governo
Berlusconi l'estate scorsa colpendo i dipendenti pubblici,
solo i dipendenti pubblici. Riforma giusta, perché chi
denuncia un basso reddito e che va a sciare la Cortina con
un suv di alcune migliaia di cilindrata è colui che
sorpassa il povero dipendente comunale o statale nella
graduatoria per l'asilo nido o il cui figlio paga il
minimo per l’iscrizione all’università.
Ora l'ingiustizia, senza ricorrere al pensiero dei
filosofi o alla Dottrina sociale della Chiesa è, da
sempre, il motore della ribellione al potere costituito il
quale per essere tale è, di per sé, qualificato
all'esercizio di una funzione pubblica la quale è diretta
al perseguimento del bene comune.
In questo contesto, nel quale gli italiani sono
chiamati a molteplici e pesanti sacrifici per salvare il
Paese dalla bancarotta verso la quale l'anno portato i
politici incapaci che hanno dominato la scena politica
negli ultimi decenni, è necessario che il governo, se
vuole essere credibile, dia il via ad una riforma del
sistema tributario che porti ad una equa distribuzione dei
carichi d’imposta, senza trascurare l'uso della leva
fiscale nel settore dell'imposizione indiretta, cioè
dell'Iva, l'imposta che effettivamente colpisce il reddito
consumato, cioè la vera capacità di spesa, dei
contribuenti. Francesco Forte, nel suo libro sul bilancio
pubblico ricorda che Tacito attribuiva all'imposta sulle
vendite la maggiore entrata al bilancio dell'Impero
romano.
Ed anche qui bisogna sfatare un'antica leggenda,
quella dell'ingiustizia dell'imposta indiretta perché
colpirebbe tutti indiscriminatamente, i ricchi e i poveri.
Non sfuggirà ad un lettore attento che è possibile rendere
l'imposta flessibile, in modo tale da colpire in misura
minima o da esentare addirittura i consumi di prima
necessità, riservando un trattamento più adeguato ai
consumi voluttuari che evidentemente interessano chi può
pagare.
In conclusione di queste riflessioni, necessariamente
sintetiche, vorrei richiamare il Presidente Monti
all’obbligo morale di dare un segnale significativo e
concreto, capace di restituire fiducia al tartassati
perché anch'essi possano un giorno dire, come fece
l’allora Ministro dell'economia e delle finanze, Padoa
Schioppa, che pagare le imposte “è bello”, un giudizio che
può emettere soltanto chi percepisce che la somma
trasferita allo Stato a titolo d'imposta viene ben
utilizzata per i servizi pubblici essenziali dei quali il
cittadino si giova, dalla sicurezza alla giustizia,
dall'istruzione alla sanità, alla cultura, la grande
dimenticata di questa stagione politica.
6 gennaio 2012
L’evasione fiscale vista da Cortina
Lo stupore e la vergogna
di Senator
Stupisce che qualcuno si stupisca, perdonatemi il
bisticcio, perché gli agenti del fisco, piombati a Cortina
d'Ampezzo nel bel mezzo delle festività di fine anno,
abbiano accertato che i proprietari di potenti
autovetture, costose e di costosa gestione, abbiano
dichiarato un reddito che, se è vero, non avrebbe
consentito loro più di qualche pieno per alimentare quei
rombanti motori con i quali avevano raggiunto la
prestigiosa località turistica.
Ugualmente hanno stupito le notizie provenienti dai
ristoranti e dalle boutique più esclusive che, nei
giorni della visita, questa sì “fiscale”, hanno rilasciato
ricevute per somme anche 400 volte superiori a quelle
dello stesso periodo dell'anno scorso, con la conseguenza
che qualche buontempone ha gridato al miracolo. Non c'è
più la crisi! Gli italiani spendono, come diceva l'ex
Presidente del consiglio Berlusconi.
Stupore, dunque. E la vergogna chi l'ha sentita? Non
certo gli evasori, che delinquono sapendo di delinquere,
né gli agenti del fisco ai quali è da credere che prima
che si insediasse il governo Monti nessuno aveva detto di
fare una “gita sulla neve” per capire come se la cavassero
lassù ristoratori, parrucchieri e titolari di esercizi di
alta moda.
Né si è vergognato quell'ospite di Omnibus, la
trasmissione di approfondimento politico de La7 in
onda la mattina, che ieri ha criticato l'operazione
tributaria sulla base della considerazione che ne sarebbe
derivato un danno all'Italia e alla sua immagine. Prima un
danno economico agli operatori di Cortina perché – diceva
- dopo il blitz del fisco è certo che gli infedeli
contribuenti il prossimo anno passeranno le vacanze
invernali altrove, magari, ha fatto un esempio, a Saint
Moritz.
Che fare? Lasciare liberi gli evasori, che nel
precedente governo avevano avuto anche la paterna
benedizione del Cavaliere il quale riteneva non esecrabile
nascondere redditi al fisco, considerato troppo esoso (ma
non era stato proprio il Presidente-imprenditore a
promettere dal 1994 di ridurre le imposte?) o piuttosto
fare quel che si fa negli Stati uniti, dove tutti
esibiscono la loro ricchezza, pagano le tasse e vanno a
dormire tranquilli?
L'argomento lo ha ripreso ieri sera a Piazza
pulita quell'incredibile personaggio che si chiama
Straquadanio, parlamentare del Partito della libertà,
il quale si è scagliato contro il blitz del fisco ed, in
genere, contro l'attività di riscossione di Equitalia,
sostenendo che, in questo Paese, il fisco è troppo
pesante. Ma questo incredibile personaggio, del quale è
difficile capire l'effetto sull'elettorato che segue le
trasmissioni televisive, ha fatto finta di dimenticare,
nonostante ripetute sollecitazioni del conduttore Formichi,
che a questo livello di tassazione siamo arrivati regnante
Silvio Berlusconi che nel 1994 era sceso in campo anche
per diminuire le imposte. Non le ha diminuite, ma, per non
mettere le mani nelle tasche degli italiani, come ama
ripetere, ha fatto pesanti tagli alla spesa pubblica
costringendo gli enti locali, erogatori di importanti
servizi di carattere sociale, a renderli più costosi,
alzando le tariffe. Quindi questa tesi, ossessivamente
ripetuta, di non aver messo le mani nelle tasche dei
contribuenti è falsa.
Al tempo di Berlusconi, sul finire della sua
esperienza di governo, quando era evidente che di lì a
poco avrebbe dovuto fare le valigie, l’Agenzia delle
entrate si è esibita in una campagna pubblicitaria
moraleggiante che, nelle intenzioni di chi l'ha
commissionata e di chi l'ha realizzata, avrebbe dovuto
indurre gli evasori a non farlo più per tornare,
finalmente redenti, a contribuire con tasse e imposte al
bene comune!
Per concludere su questo punto vorrei ricordare a
tutti una considerazione di lapalissiana evidenza.
L'elevata pressione fiscale secondo alcuni induce
all'evasione. È da dubitare che ci sia una così diretta
relazione tra livello dei tributi ed evasione, perché è
certo che molti troverebbero sempre una giustificazione
per non pagare anche imposte meno pesanti, come è certo
che, se si vuole abbassare il livello della pressione
fiscale, è necessario combattere l'evasione per avere una
più ampia platea di contribuenti. Ora questo problema è
come il classico cane che si morde la coda, nel senso che
non è possibile ridurre le imposte se l'evasione rimane
così elevata. Quindi bisogna trovare un punto dal quale
partire per avviare un risanamento del sistema tributario
che diventi più giusto. Perché non è più possibile che a
pagare siano sempre e solo i dipendenti, pubblici e
privati.
6 gennaio 2012