SETTEMBRE 2011
“Se non altro è di Milano”
Il requisito di una candidatura a Governatore
della Banca d'Italia secondo Bossi!
di Senator
“Se non altro è di Milano”. Così Umberto Bossi,
prende la parte di Vittorio Grilli, Direttore generale del
tesoro e, pertanto strettissimo collaboratore del Ministro
dell’economia e delle finanze, Giulio Tremonti,
candidatura contrapposta a quella di Fabrizio Saccomanni,
Direttore generale di Bankitalia, una scelta sulla quale
sembrano orientati tanto il Presidente del Consiglio,
Silvio Berlusconi, quanto il Capo dello Stato, Giorgio
Napolitano.
Il Senatur ci ha abituato alle sue battute,
come ai suoi gesti, spesso volgari, con i quali chiude al
dibattito. Con “se non altro è di Milano” Bossi appoggia
il candidato del fido Tremonti che ha bisogno di essere
supportato nel suo confronto con il Presidente del
Consiglio in questo momento difficile.
È chiaro che si tratta di una battuta, il fatto di
essere di Milano non può costituire titolo preferenziale
per una scelta, come quella del governatore della Banca
d'Italia, ma ugualmente rattrista che il dibattito che
dovrà portare alla individuazione del miglior candidato
possibile per l'istituzione di via Nazionale segua la
strada degli apparentamenti con questo o quel politico.
Perché oltre a Grilli, si affacciano Lorenzo Bini Smaghi,
già nel board della BCE, Guido Tabellini, ordinario
di economia alla Bocconi ed editorialista de Il Sole 24
Ore, Domenico Siniscalco, professore di economia politica,
già Direttore generale del tesoro poi Ministro
dell’economia, e Corrado Passera, un banchiere di valore.
"Assistiamo al triste spettacolo di un governo agli
sgoccioli nel consenso che si esibisce nell'ennesimo
scontro di potere che nulla ha a che fare con il bene del
Paese e che usa la Banca d'Italia come un bene a sua
disposizione", ha detto a La Repubblica Bruno
Tabacci, assessore al Bilancio del Comune di Milano,
sottolineando come "ha senso che vi sia in via Nazionale
una continuità tra Draghi premiato per la sua opera e il
suo successore".
"Io credo - aggiunge - che la linea interna sia la
più ragionevole. Invece dobbiamo assistere allo scambio
tra Tremonti e Berlusconi".
Colpisce e rattrista che nel dibattito sulla
individuazione del candidato a Governatore della Banca
d'Italia, in sostituzione di Mario Draghi che dal 1°
novembre assumerà l'incarico di Governatore della Banca
Centrale Europea (BCE), non venga in mente che quella
Istituzione debba godere del massimo di indipendenza
dall’esecutivo. Al posto che nel dopoguerra è stato
ricoperto da Luigi Einaudi, Domenico Menichella, Paolo
Baffi, Guido Carli non può andare chi è sponsorizzato da
Giulio Tremonti, cioè quel Grilli, il cui massimo
requisito è quello di essere uno stretto collaboratore del
Ministro dell'economia in qualità di Direttore generale
del Tesoro. Stamattina nel corso del dibattito di
Omnibus, la trasmissione di approfondimento politico
de La7, sia l'onorevole Fioroni, esponente del
Partito democratico, sia Mario Sechi, direttore de
Il Tempo, hanno fatto rilevare come non sia opportuno
che il governatore della Banca d'Italia sia designato
sostanzialmente dal Ministro dell’economia, del quale è
anche uno stretto è importante collaboratore. In sostanza
l’immagine di autonomia e indipendenza che deve
caratterizzare il massimo esponente della Banca centrale è
incrinata dall’eventuale collegamento con il responsabile
della politica economica del Paese.
Ancora una volta la politica ricerca il potere ed il
controllo del potere senza nessuna considerazione per le
ragioni che nel tempo hanno riconosciuto ad alcune
istituzioni un elevato grado di indipendenza ed autonomia
proprio dal potere politico.
È ancora un’espressione della caduta del senso dello
Stato e delle istituzioni che caratterizza questo momento
storico!
29 settembre 2011
Se
non ci fosse saremmo gli ultimi per evasione fiscale e
corruzione
W la
Grecia!
di
Salvatore Sfrecola
Viva la Grecia! Per la filosofia e la letteratura? Macché!
Per l'arte, la storia, le polis, gli opliti, Omero, Fidia,
Prassitele, i bronzi di Riace? Anche, certamente. La
cultura greca è parte essenziale della nostra identità. Le
radici greco-romane hanno impegnato nella Convenzione
europea i rappresentanti dei vari stati impegnati nella
stesura del Preambolo di quella che doveva essere la prima
costituzione europea, naufragata per il voto negativo di
Francia e Olanda.
No il Viva la Grecia è venuto spontaneo sentendo in una
trasmissione su Rai 1 dedicata all'evasione fiscale che,
nonostante l'elevatissima misura della sottrazione di
risorse al fisco non siamo gli ultimi in Europa. C'è,
infatti, la Grecia, così, almeno è stato detto alla
presenza del Presidente dell'Ordine dei Commercialisti e
di un Ufficiale della Guardia di Finanza.
Già in passato, e forse ancora oggi, la Grecia ci evita di
essere il fanalino di coda. Nella corruzione, ad esempio.
Lo diceva già Antonio Giolitti famoso Presidente del
Consiglio a cavallo tra la fine dell'800 e gli inizi del
'900. Meno male che c'è la Grecia, altrimenti saremmo il
paese più corrotto d'Europa.
Non c'è da consolarsi, certamente. Ma il guaio è che
nessuno si vergogna e non c'è governo, qualunque sia il
suo colore, ci mette le mani.
27
settembre 2011
Sempre
più i poveri
di
Senator
Il
TG3 della sera si è soffermato sul disagio delle famiglie
nella Regione Lazio, ma certamente non sono da meno nelle
altre aree del Paese, in questa fase difficile
dell'economia italiana. Le telecamere si sono soffermate
sui mercati riprendendo anziani alle prese con gli scarti
di frutta e verdura. Le interviste, poi, denunciano la
difficoltà di affrontare con pensioni e stipendi il cui
potere d'acquisto risulta pesantemente falcidiato, le
esigenze elementari della vita di tutti i giorni,
l'affitto, le utenze e l'alimentazione, sempre più
frugale.
Qualche giorno fa la televisione, non ricordo quale rete,
ha mandato in onda un servizio realizzato dinanzi al Banco
dei pegni con interviste ad anziani e non solo, tutte
persone mortificate nella loro dignità perché costrette a
dare in pegno piccoli gioielli, qualche anellino, gli
orecchini, il braccialetto della lontanissima Prima
Comunione per raggranellare poche centinaia di euro. "Per
pagare le bollette", ha detto all'intervistatore
un'anziana signora dal volto scavato dalla tristezza, gli
occhi spenti di chi ha pianto per aver perso la speranza
dopo una vita di lavoro.
Sono rimasto attonito, sgomento dinanzi a tanta miseria, a
tanta ingiustizia e sento montare la rabbia intorno a
questi episodi che dicono che non c'è stata attenzione per
le esigenze della gente, che gli sprechi dello stato e
degli enti pubblici e l'ostentazione di alcuni, insieme
alla paurosa evasione fiscale ed ai costi della
corruzione, costituiscono una vergogna per un popolo
civile, di antica civiltà ispirata ai principi
dell'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa. E
vanno individuate le responsabilità perché chi non ha
saputo prevedere e prevenire deve lasciare la scena.
24
settembre 2011
Giù le mani dal patrimonio dello Stato!
di Salvatore Sfrecola
Ricorre frequentemente, soprattutto in questi giorni,
nei quali molto si discute di misure alternative a quelle
contenute nella manovra di agosto di vendere i “gioielli
di famiglia”, caserme, scuole, immobili di prestigio e
aziende. Si è fatto in proposito anche cenno alla RAI ed
alle Poste.
Certamente si può e, a volte, si deve, quando è
necessario per far fronte ai debiti di uno stato quando
questi diventano insopportabili e pregiudicano il futuro
di una comunità. Potrebbe essere il caso di oggi. Si può
certamente vendere, come farebbe una famiglia indebitata.
L’unica cosa che non si può fare è svendere, come si è
fatto più volte in passato, favorendo la speculazione di
immobiliaristi spregiudicati ed affaristi legati a lobby
di malaffare. Co la conseguenza che lo Stato incassa poco
e non risolve i problemi veri. È solo una boccata di
ossigeno. E questo non va bene perché si aggiunge al
danno, anche per le future generazioni che si troverebbero
con un minore patrimonio, la beffa.
Vediamo un po’ di delineare il quadro di riferimento
per capire di cosa stiamo parlando. Lo Stato italiano è
certamente il più grande proprietario immobiliare di
questo Paese. Possiede beni di grandissimo valore storico
artistico, molti assolutamente inalienabili, in quanto
appartenenti al demanio pubblico, come il Palazzo del
Quirinale, Montecitorio, Palazzo Madama la Reggia di
Torino e quella di Caserta. Poi ci sono i musei, le
caserme, le scuole, gli uffici pubblici. C’erano le
stazioni ferroviarie e gli immobili serventi, i sedimi, in
realtà alle quali si è attuata una privatizzazione
selvaggia. Ricordiamo che la Corte dei conti all’inizio
degli anni ‘90 dichiarò non regolare la partita
patrimoniale del rendiconto generale dello Stato che
individuava il capitale iniziale della nuova struttura
societaria in misura non coerente con l’ammontare del
patrimonio, come la legge prevedeva, ma paurosamente
inferiore.
Parte del patrimonio pubblico è sottoutilizzato,
certamente alcuni istituti scolastici, molte caserme,
alcune sedi ministeriali. A fronte di questa situazione,
di questa ricchezza male utilizzata, molti uffici statali
sono ubicati in immobili in affitto da enti pubblici o da
privati. Spesso lo Stato inquilino non paga l’affitto, tra
l’altro mettendo nei guai i privati proprietari, spesso di
quel solo immobile. Ricorderete la sollecitazione pubblica
di Giuliano Amato, Ministro dell’interno, ai comandi dei
vigili del fuoco, se non avete soldi pagate la benzina
piuttosto che l’affitto. Fece il giro dei giornali e delle
televisioni. Uno stato pezzente.
In questi casi cosa farebbe una famiglia? Il
confronto è sempre utile. Credo che una famiglia
amministrata bene eviterebbe di tenere immobili
sottoccupati per tenere figli, cognati e nipoti in
affitto. Una famiglia bene amministrata opererebbe una
riconversione del patrimonio, venderebbe qualcosa non
utile, non funzionale alle esigenze per comprare o
costruire gli immobili necessari. Un esempio per tutti.
Una caserma al centro di una città potrebbe non rivestire
più interesse militare o di ordine pubblico. In questo
caso l’immobile, certamente di prestigio storico e di
grande utilità economica potrebbe essere venduto per farne
un albergo, la sede di una banca o di una istituzione
internazionale che cercasse un immobile di prestigio, di
rappresentanza.
Con il ricavato si costruisce o si acquista un nuovo
immobile per le esigenze dell’Amministrazione,
risparmiando sui canoni passivi, milioni, molti milioni,
come ci dice il bilancio dello Stato.
Accade, invece, che lo Stato, di tanto in tanto, per
far cassa (poca) vende immobili o li trasferisce ad enti
locali. Lo ha fatto negli anni scorsi in regime di
privatizzazioni, lo ha fatto di recente con il decreto
legislativo n. 85 che ha trasferito beni dello Stato agli
enti locali. Per due diverse logiche.
Con la privatizzazione lo Stato ha fatto cassa, poca,
in verità, rispetto al valore degli immobili. Con il
trasferimento agli enti locali ha evitato di assegnare
risorse finanziarie. Quale l’effetto? Regioni ed enti
locali spesso non sono in condizioni di gestire gli
immobili, di valorizzarli, che vuol dire restaurarli o
manutenerli nelle condizioni ottimali, per destinarli ad
una funzione pubblica. Così questi beni spesso vengono
alienati, nel rispetto delle regole, ovviamente. Ma solo
formalmente. Le gare il più delle volte vanno deserte. Non
è facile trovare un acquirente e comunque si gioca al
ribasso per giungere all’alienazione. Chi compra? È
difficile dirlo, ma forte è il sospetto che, soprattutto
in alcune aree del Paese, l’acquirente vero sia occulto e
vada individuato in portatori di interessi illeciti.
Vendere i beni di famiglia si può e, a volte, si
deve. Ma svendere è un delitto, un autentico delitto,
contro le generazioni passate, ai cui sacrifici si deve
quel patrimonio, ed alle generazioni future che ne vengono
private dalla dissolutezza ed dalla incompetenza dei
padri. Che molto hanno sbagliato e molto continuano a
sbagliare.
24 settembre 2011
Un debito da 1911
miliardi di euro!
di
Salvatore Sfrecola
Il
dato è di pochi giorni fa. Il debito pubblico italiano,
quel fardello che da anni condiziona la vita politica
italiana e lo sviluppo economico e sociale del Paese, ha
raggiunto i 1.911 miliardi di euro, pari a circa
3.700.211.970.000 delle vecchie lire.
La
conversione della cifra in lire non è di quelle che
facciamo giorno dopo giorno quando ci rechiamo al mercato
o in un negozio e, in questo modo, riconosciamo l’aumento
dei prezzi intervenuto dall’introduzione della moneta
unica europea.
Nel
caso delle dimensioni del debito, il confronto con le lire
ha un diverso e ben più grave significato. Il debito ha
raggiunto le dimensioni appena indicate al termine di un
ventennio nel quale l’incremento è stato costante e
costantemente tollerato, nel senso che la politica non è
stata in condizione di frenare e invertire il trend
negativo del debito.
All’inizio degli anni ’90, infatti, il debito aveva appena
superato i 1.000 miliardi e già quel dato aveva
preoccupato molto la politica e la finanza che vi avevano
collegato una prospettiva di gravi difficoltà per i
bilanci pubblici e l’economia. Lo sviluppo del debito ha
continuato a preoccupare, ma evidentemente solo a parole
se è vero, come è vero, che il conto del patrimonio dello
Stato, il documento nel quale il debito trova collocazione
contabile, non ha mai registrato una battuta d’arresto
fino a giungere al dato attuale, una sorta di soglia di
non ritorno, in relazione al quale l’Europa ha notificato
al Governo italiano, agli inizi di agosto, la necessità di
adottare misure dolorose di risanamento, in vista del
pareggio del bilancio. Un obiettivo, che si vuole inserire
in Costituzione, come se non ci fosse il comma 4
dell’articolo 81 secondo il quale “ogni altra legge
(diversa dalla legge di bilancio, n. d. A.) che importi
nuove e maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi
fronte”, una regola di equilibrio, se non di pareggio. Nel
senso che se la copertura fosse corretta dal punto di
vista qualitativo e quantitativo il debito non avrebbe
avuto l’incremento che oggi preoccupati registriamo.
Responsabilità della politica che ha cercato il consenso
attraverso una spesa pubblica crescente e improduttiva,
quasi mai correttamente coperta. Che ha indebitato le
future generazioni. Roba da politici e non da statisti,
come avrebbe detto Alcide De Gasperi che così distingueva
tra coloro che guardano alle prossime elezioni e quanti
sanno preoccuparsi delle future generazioni.
18
settembre 2011
Roma, le olimpiadi del 2020 e la sostenibilità ambientale
“Formiche” invita al Workshop internazionale "Roma
2020 e sostenibilità: un obiettivo da certificare"
, organizzato su iniziativa del Green Building Council
Italia e che avrà luogo a Roma il prossimo venerdì 30
settembre dalle 10 alle 12.30 presso la Sala delle
Conferenze della Camera dei deputati (ingresso in via Del
Pozzetto, 158).
I giochi olimpici saranno, infatti, un'opportunità
per sviluppare la sostenibilità ambientale basata sull'uso
efficiente delle risorse e sul recupero e l'ottimizzazione
delle strutture esistenti per un modello di sviluppo
basato sul benessere e sulla qualità della vita.
Ne discuteranno, tra gli altri, Suzana Kahn
(sottosegretario del Dipartimento di Stato per l'Ambiente
- Rio de Janeiro), Gustaf Landahl (Responsabile
Dipartimento Pianificazione ed Ambiente della città di
Stoccolma), Màrcio Santa Rosa (Coordinatore del Piano di
Gestione Sostenibile Olimpiadi di Rio 2016), Marco Filippi
(Vice rettore Politecnico di Torino e curatore delle linee
guida della Sostenibilità per Torino 2006), Franco Carraro
(mebro Cio), Paolo Bellino (direttore della Fondazione
Roma 2020)e Corrado Clini (direttore generale del
Ministero dell'Ambiente).
E' probabile la partecipazione del sindaco della
città di Roma, Gianni Alemanno.
18 settembre 2011
Prove tecniche di un
Governo alternativo
L’invito di Di Pietro
a Vasto il 16, il 17 e il 18 settembre
di Senator
In questo scorcio di estate, le
feste dei partiti politici richiamano i cittadini sui temi
della politica resi più pressanti dalla manovra
finanziaria “a puntate” degli ultimi mesi ed ancora in
atto dopo il maxiemendamento approvato nei giorni scorsi
al Senato sul decreto-legge dei primi di agosto.
È la volta di Antonio Di Pietro
che invita la complessa e vasta area del suo elettorato e
dei simpatizzanti a Vasto (Pescara) dal
16 al 18 settembre (http://www.italiadeivalori.it/interna/7820-vasto-2011-siete-tutti-invitati).
Ho definito “vasta e complessa”
l’area dell’elettorato di Antonio Di Pietro
perché il parlamentare molisano, collocato a sinistra,
nell’area del Partito Democratico, in realtà riscuote
attenzione e consensi anche da destra. Il richiamo ai
valori dell’onestà e della giustizia, nel nome del
partito, la ricerca della buona amministrazione,
l’attenzione al sociale, fanno di Di Pietro un’espressione
tipica della destra sociale, un po’ populista, statalista
quanto basta, certamente attenta agli interessi nazionali
nel difficile contesto internazionale.
“È un momento molto difficile per il nostro Paese,
attraversato da una grave crisi economica, sociale e
istituzionale”, esordisce Di Pietro nell’invito agli
elettori. “La nostra democrazia è a forte rischio e
persino i diritti dei lavoratori sono stati lesionati
gravemente per far posto al mantenimento degli interessi
della Casta”.
“Il Governo Berlusconi, causa primaria di questo
sfascio, è chiuso nel suo bunker. Irresponsabilmente
continua, senza alcun pudore, a rimanere arroccato nei
suoi palazzi licenziando provvedimenti ad personam
contro il bene della collettività e facendoci perdere
sempre più credibilità agli occhi della comunità
internazionale”.
“L’Italia
dei
Valori – continua Di Pietro - , forza intransigente, che
ha sempre denunciato e contrastato i comportamenti e l’operato
iniquo e immorale dell’esecutivo ha già messo sul
tavolo le proprie carte: proposte concrete sull’economia,
sul lavoro, sulla
scuola, sulla sanità, sulla giustizia e sul welfare.
Insomma proposte credibili, eque, volte a contrastare il
malaffare e la corruzione nei palazzi e che diano
nuovamente respiro al Paese e speranza ai cittadini
onesti”.
Ed ecco l’affondo nella prospettiva delle prossime
elezioni. “Siamo pronti a costruire l’alternativa
e a farci promotori di
un�alleanza
programmatica che segni la svolta
a queste brutte pagine della nostra storia. Il tempo è
scaduto per chi ha portato l’Italia
al
collasso e spetta a noi assumerci con responsabilità il
compito di governare e guidare un nuovo corso. Il nostro
partito, che ha già dato ai cittadini l’opportunità di
esprimersi con i referendum di giugno, non è nuovo alle
grandi sfide in solitudine e vuole ripartire da lì. L’IdV
è impegnata a
promuovere un nuovo referendum per abrogare quest’ignobile
legge elettorale e
una proposta di legge d’iniziativa
popolare per eliminare le Province. Infatti, sfugge ai più
che l’IdV
in Parlamento ha presentato numerosi
disegni di legge e norme volte ad abbattere i costi della
politica, ha consegnato una contromanovra che avrebbe
fatto pagare gli evasori, i ladri, i disonesti, la Casta e
non le fasce più deboli, i lavoratori, i giovani, i
precari, i disabili. Ma i palazzi del potere hanno fatto
orecchie da mercante bocciandoli. Pertanto li consegniamo
ai cittadini affinché siano loro a darci una mano con una
semplice firma”.
A Vasto, conclude l’appello-invito di Di Pietro a
Vasto, “ci confronteremo con numerosi ospiti e sarà un
modo per rinsaldare la nostra azione politica e rilanciare
la nostra nuova grande sfida”.
Ho fatto parlare il leader dell’Italia dei Valori
perché, particolarmente in questo momento, gli italiani
hanno bisogno di identificare le proposte delle varie
forze politiche e valutarne la credibilità alla luce
dell’azione in concreto svolta, giorno dopo giorno, nelle
assemblee elettive e nelle giunte di governo.
Seguiremo il dibattito a Vasto ed ovunque il
confronto tra i politici possa essere meritevole di quelle
riflessioni che da cittadini ci facciamo ogni giorno sui
temi di interesse generale, dall’ordine pubblico al
funzionamento dell’amministrazione, al fisco, alla scuola,
alla sanità, come sulle esigenze dello sviluppo.
11 settembre 2011
Nostalgia dei decreti "catenaccio"
Manovra maldestra sull'IVA
di
Salvatore Sfrecola
"Catenaccio", così sentivo chiamare da bambino i decreti
legge, di natura fiscale, che, negli anni '50, il Governo
adottava per rastrellare risorse e riequilibrare i conti
pubblici. "Catenaccio", cioè intangibili, immediati, mai
preannunciati, anche se, chi seguiva la situazione della
finanza pubblica, poteva immaginare che, prima o poi,
sarebbero stati adottati. Improvvisi, per evitare che
l'effetto naturale del provvedimento, destinato ad
aumentare qualche imposta, sui tabacchi, sugli alcoli o
sui carburanti, aggiungesse alle conseguenze naturali del
nuovo balzello, quelli di natura psicologica che muovono
soprattutto i commercianti.
Lo avevo imparato presto, seguendo le discussioni di mio
padre, vicecapo e poi Capo di Gabinetto di vari ministri
delle finanze quando, con alcuni collaboratori e colleghi
discutevano di queste cose, la domenica mattina quando lo
accompagnavo in ufficio, in un grande studio al secondo
piano del palazzone di via XX Settembre, il Palazzo delle
Finanze, un'opera maestosa dell'Italia umbertina, maestosa
come devono essere i palazzi del potere, perché agli occhi
del cittadino rappresentino l'autorità dello Stato.
Ebbene, sulla base di quegli insegnamenti, l'aumento
dell'IVA avrebbe dovuto trovare collocazione in un
autonomo provvedimento di immediata applicazione, non in
un maxiemendamento che avrà vigore solo dopo la
pubblicazione della legge di conversione del decreto-legge
dei primi di agosto.
Questo comportamento del Governo avrà l'effetto di un
ingiustificato aumento dei prezzi. Infatti i commercianti
che, ad ogni settembre "ritoccano" al rialzo tutti i
prezzi, convinti che i cittadini, abituati ai costi delle
vacanze, li assorbiranno facilmente, avranno modo di
applicare un'ulteriore aumento quando la nuova aliquota
IVA entrerà in vigore. Poi, per effetto di un naturale
rallentamento dei consumi, che segue le spese
straordinarie delle vacanze, diranno che l'aumento
dell'IVA ha effetti inflattivi, che frenano i consumi (1
per cento!), per giustificare qualche richiesta a
Parlamento e Governo. Quest'ultimo, in particolare, e la
maggioranza che lo sostiene, ritengono da sempre che i
commercianti sono "di destra" e cadono nella trappola.
Errore! I commercianti non sono "di destra" sono solo
iscritti al "partito" dei commercianti. Una lobby potente
che quanto guadagna 90, rispetto ai 100 di qualche tempo
prima, si lamenta perché "ha rimesso" quando, invece, ha
solo guadagnato di meno.
Attenzione! Così si protegge una categoria che nella
maggior parte dei casi ha fatto di 1000 lire un euro,
praticamente il doppio. E per guadagnare qualche voto se
ne perdono molti dai cittadini-contribuenti tartassati da
imposte e tasse, mentre i servizi resi dalle pubbliche
amministrazioni diventano sempre più cari ed inefficienti.
Intanto gli evasori se la ridono se è vero, quel che ha
detto giorni fa in televisione il Presidente della
Commissione affari costituzionali, Vizzini, che in Italia
risultano 75 mila contribuenti con un reddito superiore a
200 mila euro, mentre ogni anno si vendono molte più
automobili di un valore superiore a quella cifra!
La conclusione non può essere che una: in questo Paese
l'evasione è, quanto meno, tollerata.
9
settembre 2011
Le osservazioni e le proposte dell’Associazione Magistrati
della Corte dei conti sulla manovra di mezza estate
L’Associazione intende partecipare consapevolmente
allo sforzo di risanamento richiesto al Paese ma non è
disposta ad accettare tagli iniqui prevalentemente
concentrati sugli stipendi dei pubblici dipendenti senza
incidere su alcuna delle fonti di spreco delle risorse
pubbliche più volte segnalate dalla stessa Corte nelle sue
relazioni e nelle requisitorie del Procuratore Generale.
Secondo l’Associazione, alla luce delle disposizioni
recate dal maxiemendamento appena approvato, risulta
acuita l’iniquità della manovra laddove l’originaria
introduzione del contributo di solidarietà per tutte le
categorie di reddito consentiva di superare
“l’ingiustificata disparità di trattamento di cui
soffrivano i redditi dei dipendenti pubblici e quelli da
pensione”, come ribadito dal Presidente della Corte dei
conti nell’audizione parlamentare sul provvedimento.
Il maxiemendamento prevede, poi (art. 2, comma 1 bis
del disegno di legge), a carico dei redditi complessivi
superiori a 300.000 euro lordi un contributo di
solidarietà del 3 per cento sulla parte eccedente il
predetto importo.
Nell’ambito della categoria del ceto medio-alto i
redditi di provenienza pubblica vengono colpiti dalle due
aliquote del 5 e del 10 per cento quando superino i 90.000
e i 150.000 euro lordi annui, così determinando una
diversità di trattamento di dubbia legittimità
costituzionale rispetto ai redditi derivanti da rapporto
di lavoro privato o autonomo che vengono colpiti solo se
superiori ai 300.000 euro.
Di tal che i dipendenti pubblici verrebbero incisi
progressivamente dalle tre aliquote e ciò a conferma che
il provvedimento presenta un forte connotato di
diseguaglianza.
Sotto altro profilo, l’Associazione magistrati della
Corte dei conti preme evidenziare che recenti indirizzi
legislativi hanno sostanzialmente comportato una rinuncia
a somme di denaro pubblico.
Basti pensare che, a fronte dei sacrifici oggi
imposti ai cittadini, negli ultimi anni sono state
adottate normative di favore nei confronti di :
-
concessionari della riscossione, che hanno comportato
rinunce a crediti liquidi, certi e esigibili, dovuti anche
in base a sentenze impugnate o impugnabili (art. 2, commi
2 septies e octies, del dl n. 40/2010, convertito con
legge n. 73/2010);
-
soggetti che dopo aver aderito all’ultima sanatoria
fiscale, si sono limitati “a versare la sola prima rata,
bastando, questo, per assicurarsi la validità del condono”
(audizione parlamentare del Presidente Giampaolino del 30
agosto 2011);
-
coloro che in sede di appello vengono a beneficiare -
per i fatti commessi antecedentemente alla data del 1
gennaio 2006 - della “definizione agevolata del giudizio”
mediante il versamento di una somma in misura non
superiore al 30 per cento del danno quantificato nella
sentenza di primo grado (art. 1, commi 231-233, della
legge n. 266/2005).
-
Tra le misure finalizzate al riequilibrio e alla
trasparenza dei conti pubblici, in ambito magistratuale,
l’Associazione ha deciso di farsi promotrice di una
proposta normativa tesa a ridefinire la disciplina dei
Colleghi in posizione di fuori ruolo, onde evitare
privilegi che non appaiono compatibili con gli sforzi di
risanamento richiesti al Paese (es. eventuali doppie
retribuzioni).
8 settembre 2011
Troppo ottimismo nell'immaginare
i
risultati della lotta all'evasione
Da
TvNews:
L'Agenzia delle Entrate e le società del gruppo
Equitalia, si legge nel testo dell'emendamento
approvato, "al fine di recuperare le somme dichiarate
e non versate dai contribuenti che si sono avvalsi dei
condoni e delle sanatorie del 2002, anche dopo
l'iscrizione al ruolo e la notifica delle relative
cartelle di pagamento, provvedono all'avvio, entro e
non oltre 30 giorni" dall'approvazione della manovra,
ad una "ricognizione di tali contribuenti". Nei
successivi 30 giorni, le società del gruppo Equitalia
avvieranno nei confronti di ciascuno di questi
contribuenti "ogni azione coattiva necessaria al fine
dell'integrale recupero delle somme dovute e non
corrisposte, maggiorate degli interessi maturati,
anche mediante l'invio di un'intimazione a pagare
quanto concordato e non versato alla prevista
scadenza, inderogabilmente entro il termine ultimo del
31 dicembre 2011". Nel caso di mancato pagamento entro
il 31 dicembre del 2011 delle somme "dovute e iscritte
a ruolo - prosegue la norma - si applica una sanzione
pari al 50% delle predette somme". Non solo. Chi non
si metterà in regola, vedrà la propria posizione
fiscale messa sotto il faro dell'Agenzia delle Entrate
e della Guardia di finanza: "la posizione del
contribuente relativa a tutti i periodi d'imposta
successivi a quelli condonati, per i quali è ancora in
corso il termine per l'accertamento, è sottoposta a
controllo da parte dell'Agenzia delle Entrate e della
Guardia di finanza entro il 31 dicembre 2012, anche
con riguardo alle attività svolte dal contribuente
medesimo con identificativo fiscale diverso da quello
indicato nelle dichiarazioni relative al condono". Dei
4,2 miliardi di euro non incassati dallo Stato con il
condono tombale del 2002 comunque, secondo quanto
affermato nei giorni scorsi il direttore generale
dell'Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, solo "1,5
miliardi sarebbero esigibili".
Quest'ultima affermazione conferma i dubbi già
espressi. Se di 4,2 miliardi non incassati solo 1,5
sarebbero esigibili il dato dà conto della capacità di
riscossione e continua a pesare sulle indicazioni a
copertura della manovra.
Una situazione sulla quale pesa anche la lentezza
del contenzioso tributario. Insomma, fare conto sulla
lotta all'evasione con il richiamo al senso civico è
un esercizio di ottimismo non attività di gestione dei
tributi evasi.li
4 settembre 2011
La manovra coperta con la lotta all’evasione
è un’ipotesi storicamente indimostrata
di Salvatore Sfrecola
Sappiamo del mancato incasso di una rilevante quota
del condono fiscale 2002. Il problema, infatti, è che gli
uffici finanziari perseguono le inadempienze con anni di
ritardo, quando spesso i contribuenti sono diventati
irreperibili, oppure (ufficialmente) nullatenenti, oppure
falliti, ovvero (nel caso di società) non più esistenti.
Ieri il Direttore dell'Agenzia delle Entrate. Attilio
Befera, a margine dei lavori della commissione Bilancio
del Senato sulla manovra correttiva, ha dichiarato,
secondo quanto riferisce l’Agenzia ASCA, dei 4 miliardi
del condono del 2002-2003 ancora da recuperare, tra i 2,5
e 2,7 miliardi ''sono inesigibili''.
Spiega, un miliardo è in procedura concorsuale, 1,5
miliardi sono riferiti a soggetti che hanno altri debiti
fiscali. Si tratta, quindi di soggetti su cui non è
possibile rivalersi.
Con questi precedenti il Governo prevede la copertura
di parte della manovra con la lotta all’evasione.
Ingenuità o incoscienza?
3 settembre 2011
Dilettanti allo sbaraglio
di Senator
“Dilettanti al potere” titola il fondo di Tito Boeri
oggi su La Repubblica. Ma allo “sbaraglio”, perché
la manovra dei primi di agosto, che avrebbe dovuto
anticipare il pareggio di bilancio e introdurre riforme
strutturali per avviare una fase di sviluppo, cambia di
giorno in giorno sulla base di idee che giustamente Emma
Marcegaglia ha definito “esotiche” le quali si traducono
in proposte inverosimili, non ancorate alla realtà dei
conti.
Non è una malignità di quella che troppo
sbrigativamente è stata definita “la fronda” del PdL
o il pregiudizio delle opposizioni. Della confusione che
regna sovrana ne hanno dato conto un po’ tutti e l’ha
confermata lo stesso Presidente del Consiglio
nell’intervista rilasciata a Il Tempo, un giornale
che nei mesi scorsi ha difeso il Premier e la sua
maggioranza a spada tratta, fino a quando si è reso conto
che la manovra danneggiava pesantemente proprio quella
fascia di opinione pubblica nella quale il quotidiano
romano conta molti lettori. I dipendenti pubblici
innanzitutto, quelli per i quali resta il contributo “di
solidarietà”, già stabilito nel 2010, mentre nel decreto
legge di inizio agosto sarebbe stato riassorbito ed esteso
anche ai privati, e gli affezionati al giornale, un
settore dell’opinione pubblica tradizionalista, orientato
a votare centrodestra.
“Vi spiego la manovra” è il titolo dell’articolo che
riferisce del colloquio di Mario Sechi con il Cavaliere,
imperterrito difensore dell’indifendibile, contraddittorio
nell’affermazione che l’ipotesi di eliminare la norma sui
riscatti “l’abbiamo ritirata, senza alcun problema, perché
non abbiamo timori di sorta sulla copertura della
manovra”.
Andiamo per gradi. Il Presidente del Consiglio
definisce il provvedimento “assolutamente marginale”,
entrato nella manovra solo perché “riguardava un numero
minimo di soggetti e non avevamo neppure quantificato i
risparmi”.
È già questa la prova dell’incompetenza di chi l’ha
proposta e di coloro che l’hanno accettata. Si inserisce
una norma nella convinzione che riguardi poche persone e
non se ne conoscono le conseguenze finanziarie. Dunque una
norma pressoché inutile, decisa con “superficialità”, come
ha detto l’on. Crosetto, Sottosegretario alla Difesa, uno
dei maggiori critici della manovra d’agosto. Allora perché
inserirla in una manovra “lacrime e sangue”?
Quanto alla copertura della manovra per la quale il
Governo “non ha timori” a me sembra, se la matematica non
è un’opinione, come si usa dire, che manchino parecchie
voci alle quali si affidava un qualche risparmio, a
cominciare dai “costi della politica” che rimangono tali e
quali per il rinvio alla riforma costituzionale che non si
sa se e quando potrà vedere la luce. Osservo, invece, che
se la Costituzione parla di province non le identifica
nominativamente per cui, come sono state create di recente
con legge ordinaria ugualmente si sarebbero potute
eliminare con legge ordinaria. Ugualmente la normativa sui
comuni è rimessa alla legge ordinaria.
Il dato sui risparmi non era quantificato a
dimostrazione del fatto che si voleva far digerire i
sacrifici per i cittadini con un’ipotesi di taglio dei
privilegi della “Casta”. Un'ipotresi e niente più.
A questo punto è facile prevedere l’aumento dell’IVA,
probabilmente in misura maggiore di quel +1% immaginato
per l’aliquota del 20%, un 21% che ci porterebbe al
livello di altri paesi europei che da tempo mantengono
quella imposizione, senza che ne siano derivati guasti sul
mercato interno.
Invece è indubbio che la querelle sull’aumento
dell’IVA, l’assenso della Confindustria (che rappresenta i
produttori) e l’ostilità dei commercianti (che sono il
tramite nei confronti del cittadino) sembra costruita a
bella posta per giustificare eventuali aumenti dei prezzi
nei quali i commercianti italiani si sono più volte
esibiti, da ultimo con l’introduzione dell’euro quando
hanno impunemente fatto mille lire uguale un euro, nel
silenzio colpevole delle autorità che anch’esse ne avevano
approfittato per aumentare il canone RAI (da 104 mila lire
a 97 euro, il doppio!) e la tariffa delle soste a
pagamento (da mille lire ed un euro), per non richiamare
che due voci fra le più note.
Confusione massima, dunque, mentre le voci che si
rincorrono su questa o quella misura, oltre ad offrire al
Paese l’immagine di una classe politica incompetente che
non sa che strada prendere, aggrava sul piano psicologico
la situazione mettendo in movimento iniziative preventive
che porteranno all’aumento dei prezzi non perché,
eventualmente, aumenterà l’IVA di un punto ma perché, come
ogni anno, i commercianti approfitteranno del rientro
dalle vacanze per “ritoccare” i prezzi, nella fiducia che,
reduci dal mare e dai monti, abituati a spendere qualcosa
in più nelle località turistiche, gli italiani non si
accorgano di qualche euro in più o, comunque, lo
accettino.
Ma perché non riusciamo a diventare un Paese serio?
1 settembre 2011