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UnSognoItaliano.it

 

 

SETTEMBRE 2011

 

 

“Se non altro è di Milano”

Il requisito di una candidatura a Governatore

della Banca d'Italia secondo Bossi!

di Senator

 

     “Se non altro è di Milano”. Così Umberto Bossi, prende la parte di Vittorio Grilli, Direttore generale del tesoro e, pertanto strettissimo collaboratore del Ministro dell’economia e delle finanze, Giulio Tremonti, candidatura contrapposta a quella di Fabrizio Saccomanni, Direttore generale di Bankitalia, una scelta sulla quale sembrano orientati tanto il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, quanto il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano.

     Il Senatur ci ha abituato alle sue battute, come ai suoi gesti, spesso volgari, con i quali chiude al dibattito. Con “se non altro è di Milano” Bossi appoggia il candidato del fido Tremonti che ha bisogno di essere supportato nel suo confronto con il Presidente del Consiglio in questo momento difficile.

     È chiaro che si tratta di una battuta, il fatto di essere di Milano non può costituire titolo preferenziale per una scelta, come quella del governatore della Banca d'Italia, ma ugualmente rattrista che il dibattito che dovrà portare alla individuazione del miglior candidato possibile per l'istituzione di via Nazionale segua la strada degli apparentamenti con questo o quel politico. Perché oltre a Grilli, si affacciano Lorenzo Bini Smaghi, già nel board della BCE, Guido Tabellini, ordinario di economia alla Bocconi ed editorialista de Il Sole 24 Ore, Domenico Siniscalco, professore di economia politica, già Direttore generale del tesoro poi Ministro dell’economia, e Corrado Passera, un banchiere di valore.

     "Assistiamo al triste spettacolo di un governo agli sgoccioli nel consenso che si esibisce nell'ennesimo scontro di potere che nulla ha a che fare con il bene del Paese e che usa la Banca d'Italia come un bene a sua disposizione", ha detto a La Repubblica Bruno Tabacci, assessore al Bilancio del Comune di Milano, sottolineando come "ha senso che vi sia in via Nazionale una continuità tra Draghi premiato per la sua opera e il suo successore".

     "Io credo - aggiunge - che la linea interna sia la più ragionevole. Invece dobbiamo assistere allo scambio tra Tremonti e Berlusconi".

Colpisce e rattrista che nel dibattito sulla individuazione del candidato a Governatore della Banca d'Italia, in sostituzione di Mario Draghi che dal 1° novembre assumerà l'incarico di Governatore della Banca Centrale Europea (BCE), non venga in mente che quella Istituzione debba godere del massimo di indipendenza dall’esecutivo. Al posto che nel dopoguerra è stato ricoperto da Luigi Einaudi, Domenico Menichella, Paolo Baffi, Guido Carli non può andare chi è sponsorizzato da Giulio Tremonti, cioè quel Grilli, il cui massimo requisito è quello di essere uno stretto collaboratore del Ministro dell'economia in qualità di Direttore generale del Tesoro. Stamattina nel corso del dibattito di Omnibus, la trasmissione di approfondimento politico de La7, sia l'onorevole Fioroni, esponente del Partito democratico, sia Mario Sechi, direttore de Il Tempo, hanno fatto rilevare come non sia opportuno che il governatore della Banca d'Italia sia designato sostanzialmente dal Ministro dell’economia, del quale è anche uno stretto è importante collaboratore. In sostanza l’immagine di autonomia e indipendenza che deve caratterizzare il massimo esponente della Banca centrale è incrinata dall’eventuale collegamento con il responsabile della politica economica del Paese.

     Ancora una volta la politica ricerca il potere ed il controllo del potere senza nessuna considerazione per le ragioni che nel tempo hanno riconosciuto ad alcune istituzioni un elevato grado di indipendenza ed autonomia proprio dal potere politico.

     È ancora un’espressione della caduta del senso dello Stato e delle istituzioni che caratterizza questo momento storico!

29 settembre 2011

 

 

 

Se non ci fosse saremmo gli ultimi per evasione fiscale e corruzione

 

W la Grecia!

 

di Salvatore Sfrecola

 

     Viva la Grecia! Per la filosofia e la letteratura? Macché! Per l'arte, la storia, le polis, gli opliti, Omero, Fidia, Prassitele, i bronzi di Riace? Anche, certamente. La cultura greca è parte essenziale della nostra identità. Le radici greco-romane hanno impegnato nella Convenzione europea i rappresentanti dei vari stati impegnati nella stesura del Preambolo di quella che doveva essere la prima costituzione europea, naufragata per il voto negativo di Francia e Olanda.

     No il Viva la Grecia è venuto spontaneo sentendo in una trasmissione su Rai 1 dedicata all'evasione fiscale che, nonostante l'elevatissima misura della sottrazione di risorse al fisco non siamo gli ultimi in Europa. C'è, infatti, la Grecia, così, almeno è stato detto alla presenza del Presidente dell'Ordine dei Commercialisti e di un Ufficiale della Guardia di Finanza.

    Già in passato, e forse ancora oggi, la Grecia ci evita di essere il fanalino di coda. Nella corruzione, ad esempio. Lo diceva già Antonio Giolitti famoso Presidente del Consiglio a cavallo tra la fine dell'800 e gli inizi del '900. Meno male che c'è la Grecia, altrimenti saremmo il paese più corrotto d'Europa.

     Non c'è da consolarsi, certamente. Ma il guaio è che nessuno si vergogna e non c'è governo, qualunque sia il suo colore, ci mette le mani.

27 settembre 2011

 

 

 

Sempre più i poveri

 

di Senator

 

    Il TG3 della sera si è soffermato sul disagio delle famiglie nella Regione Lazio, ma certamente non sono da meno nelle altre aree del Paese, in questa fase difficile dell'economia italiana. Le telecamere si sono soffermate sui mercati riprendendo anziani alle prese con gli scarti di frutta e verdura. Le interviste, poi, denunciano la difficoltà di affrontare con pensioni e stipendi il cui potere d'acquisto risulta pesantemente falcidiato, le esigenze  elementari della vita di tutti i giorni, l'affitto, le utenze e l'alimentazione, sempre più frugale.

     Qualche giorno fa la televisione, non ricordo quale rete, ha mandato in onda un servizio realizzato dinanzi al Banco dei pegni con interviste ad anziani e non solo, tutte persone mortificate nella loro dignità perché costrette a dare in pegno piccoli gioielli, qualche anellino, gli orecchini, il braccialetto della lontanissima Prima Comunione per raggranellare poche centinaia di euro. "Per pagare le bollette", ha detto all'intervistatore un'anziana signora dal volto scavato dalla tristezza, gli occhi spenti di chi ha pianto per aver perso la speranza dopo  una vita di lavoro.

     Sono rimasto attonito, sgomento dinanzi a tanta miseria, a tanta ingiustizia  e sento montare la rabbia intorno a questi episodi che dicono che non c'è stata attenzione per le esigenze della gente, che gli sprechi dello stato e degli enti pubblici e l'ostentazione di alcuni, insieme alla paurosa evasione fiscale ed ai costi della corruzione, costituiscono   una vergogna per un popolo civile, di antica civiltà ispirata ai principi dell'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa. E vanno individuate le responsabilità perché chi non ha saputo prevedere e prevenire deve lasciare la scena.

24 settembre 2011

 

 

 

Giù le mani dal patrimonio dello Stato!

 

di Salvatore Sfrecola

 

     Ricorre frequentemente, soprattutto in questi giorni, nei quali molto si discute di misure alternative a quelle contenute nella manovra di agosto di vendere i “gioielli di famiglia”, caserme, scuole, immobili di prestigio e aziende. Si è fatto in proposito anche cenno alla RAI ed alle Poste.

     Certamente si può e, a volte, si deve, quando è necessario per far fronte ai debiti di uno stato quando questi diventano insopportabili e pregiudicano il futuro di una comunità. Potrebbe essere il caso di oggi. Si può certamente vendere, come farebbe una famiglia indebitata. L’unica cosa che non si può fare è svendere, come si è fatto più volte in passato, favorendo la speculazione di immobiliaristi spregiudicati ed affaristi legati a lobby di malaffare. Co la conseguenza che lo Stato incassa poco e non risolve i problemi veri. È solo una boccata di ossigeno. E questo non va bene perché si aggiunge al danno, anche per le future generazioni che si troverebbero con un minore patrimonio, la beffa.

     Vediamo un po’ di delineare il quadro di riferimento per capire di cosa stiamo parlando. Lo Stato italiano è certamente il più grande proprietario immobiliare di questo Paese. Possiede beni di grandissimo valore storico artistico, molti assolutamente inalienabili, in quanto appartenenti al demanio pubblico, come il Palazzo del Quirinale, Montecitorio, Palazzo Madama la Reggia di Torino e quella di Caserta. Poi ci sono i musei, le caserme, le scuole, gli uffici pubblici. C’erano le stazioni ferroviarie e gli immobili serventi, i sedimi, in realtà alle quali si è attuata una privatizzazione selvaggia. Ricordiamo che la Corte dei conti all’inizio degli anni ‘90 dichiarò non regolare la partita patrimoniale del rendiconto generale dello Stato che individuava il capitale iniziale della nuova struttura societaria in misura non coerente con l’ammontare del patrimonio, come la legge prevedeva, ma paurosamente inferiore.

     Parte del patrimonio pubblico è sottoutilizzato, certamente alcuni istituti scolastici, molte caserme, alcune sedi ministeriali. A fronte di questa situazione, di questa ricchezza male utilizzata, molti uffici statali sono ubicati in immobili in affitto da enti pubblici o da privati. Spesso lo Stato inquilino non paga l’affitto, tra l’altro mettendo nei guai i privati proprietari, spesso di quel solo immobile. Ricorderete la sollecitazione pubblica di Giuliano Amato, Ministro dell’interno, ai comandi dei vigili del fuoco, se non avete soldi pagate la benzina piuttosto che l’affitto. Fece il giro dei giornali e delle televisioni. Uno stato pezzente.

     In questi casi cosa farebbe una famiglia? Il confronto è sempre utile. Credo che una famiglia amministrata bene eviterebbe di tenere immobili sottoccupati per tenere figli, cognati e nipoti in affitto. Una famiglia bene amministrata opererebbe una riconversione del patrimonio, venderebbe qualcosa non utile, non funzionale alle esigenze per comprare o costruire gli immobili necessari. Un esempio per tutti. Una caserma al centro di una città potrebbe non rivestire più interesse militare o di ordine pubblico. In questo caso l’immobile, certamente di prestigio storico e di grande utilità economica potrebbe essere venduto per farne un albergo, la sede di una banca o di una istituzione internazionale che cercasse un immobile di prestigio, di rappresentanza.

     Con il ricavato si costruisce o si acquista un nuovo immobile per le esigenze dell’Amministrazione, risparmiando sui canoni passivi, milioni, molti milioni, come ci dice il bilancio dello Stato.

     Accade, invece, che lo Stato, di tanto in tanto, per far cassa (poca) vende immobili o li trasferisce ad enti locali. Lo ha fatto negli anni scorsi in regime di privatizzazioni, lo ha fatto di recente con il decreto legislativo n. 85 che ha trasferito beni dello Stato agli enti locali. Per due diverse logiche.

     Con la privatizzazione lo Stato ha fatto cassa, poca, in verità, rispetto al valore degli immobili. Con il trasferimento agli enti locali ha evitato di assegnare risorse finanziarie. Quale l’effetto? Regioni ed enti locali spesso non sono in condizioni di gestire gli immobili, di valorizzarli, che vuol dire restaurarli o manutenerli nelle condizioni ottimali, per destinarli ad una funzione pubblica. Così questi beni spesso vengono alienati, nel rispetto delle regole, ovviamente. Ma solo formalmente. Le gare il più delle volte vanno deserte. Non è facile trovare un acquirente e comunque si gioca al ribasso per giungere all’alienazione. Chi compra? È difficile dirlo, ma forte è il sospetto che, soprattutto in alcune aree del Paese, l’acquirente vero sia occulto e vada individuato in portatori di interessi illeciti.

     Vendere i beni di famiglia si può e, a volte, si deve. Ma svendere è un delitto, un autentico delitto, contro le generazioni passate, ai cui sacrifici si deve quel patrimonio, ed alle generazioni future che ne vengono private dalla dissolutezza ed dalla incompetenza dei padri. Che molto hanno sbagliato e molto continuano a sbagliare.

24 settembre 2011

 

 

 

 

Un debito da 1911 miliardi di euro!

 

di Salvatore Sfrecola

 

     Il dato è di pochi giorni fa. Il debito pubblico italiano, quel fardello che da anni condiziona la vita politica italiana e lo sviluppo economico e sociale del Paese, ha raggiunto i 1.911 miliardi di euro, pari a circa 3.700.211.970.000 delle vecchie lire.

     La conversione della cifra in lire non è di quelle che facciamo giorno dopo giorno quando ci rechiamo al mercato o in un negozio e, in questo modo, riconosciamo l’aumento dei prezzi intervenuto dall’introduzione della moneta unica europea.

     Nel caso delle dimensioni del debito, il confronto con le lire ha un diverso e ben più grave significato. Il debito ha raggiunto le dimensioni appena indicate al termine di un ventennio nel quale l’incremento è stato costante e costantemente tollerato, nel senso che la politica non è stata in condizione di frenare e invertire il trend negativo del debito.

     All’inizio degli anni ’90, infatti, il debito aveva appena superato i 1.000 miliardi e già quel dato aveva preoccupato molto la politica e la finanza che vi avevano collegato una prospettiva di gravi difficoltà per i bilanci pubblici e l’economia. Lo sviluppo del debito ha continuato a preoccupare, ma evidentemente solo a parole se è vero, come è vero, che il conto del patrimonio dello Stato, il documento nel quale il debito trova collocazione contabile, non ha mai registrato una battuta d’arresto fino a giungere al dato attuale, una sorta di soglia di non ritorno, in relazione al quale l’Europa ha notificato al Governo italiano, agli inizi di agosto, la necessità di adottare misure dolorose di risanamento, in vista del pareggio del bilancio. Un obiettivo, che si vuole inserire in Costituzione, come se non ci fosse il comma 4 dell’articolo 81 secondo il quale “ogni altra legge (diversa dalla legge di bilancio, n. d. A.) che importi nuove e maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte”, una regola di equilibrio, se non di pareggio. Nel senso che se la copertura fosse corretta dal punto di vista qualitativo e quantitativo il debito non avrebbe avuto l’incremento che oggi preoccupati registriamo. Responsabilità della politica che ha cercato il consenso attraverso una spesa pubblica crescente e improduttiva, quasi mai correttamente coperta. Che ha indebitato le future generazioni. Roba da politici e non da statisti, come avrebbe detto Alcide De Gasperi che così distingueva tra coloro che guardano alle prossime elezioni e quanti sanno preoccuparsi delle future generazioni.

18 settembre 2011

 

 

 

Roma, le olimpiadi del 2020 e la sostenibilità ambientale

 

     “Formiche” invita al Workshop internazionale "Roma 2020 e sostenibilità: un obiettivo da certificare" , organizzato su iniziativa del Green Building Council Italia e che avrà luogo a Roma il prossimo venerdì 30 settembre dalle 10 alle 12.30 presso la Sala delle Conferenze della Camera dei deputati (ingresso in via Del Pozzetto, 158).

     I giochi olimpici saranno, infatti, un'opportunità per sviluppare la sostenibilità ambientale basata sull'uso efficiente delle risorse e sul recupero e l'ottimizzazione delle strutture esistenti per un modello di sviluppo basato sul benessere e sulla qualità della vita.

     Ne discuteranno, tra gli altri, Suzana Kahn (sottosegretario del Dipartimento di Stato per l'Ambiente - Rio de Janeiro), Gustaf Landahl (Responsabile Dipartimento Pianificazione ed Ambiente della città di Stoccolma), Màrcio Santa Rosa (Coordinatore del Piano di Gestione Sostenibile Olimpiadi di Rio 2016), Marco Filippi (Vice rettore Politecnico di Torino e curatore delle linee guida della Sostenibilità per Torino 2006), Franco Carraro (mebro Cio), Paolo Bellino (direttore della Fondazione Roma 2020)e Corrado Clini (direttore generale del Ministero dell'Ambiente).
     E' probabile la partecipazione del sindaco della città di Roma, Gianni Alemanno.

18 settembre 2011

 

 

 

Prove tecniche di un Governo alternativo

L’invito di Di Pietro a Vasto il 16, il 17 e il 18 settembre

di Senator

 

     In questo scorcio di estate, le feste dei partiti politici richiamano i cittadini sui temi della politica resi più pressanti dalla manovra finanziaria “a puntate” degli ultimi mesi ed ancora in atto dopo il maxiemendamento approvato nei giorni scorsi al Senato sul decreto-legge dei primi di agosto.

     È la volta di Antonio Di Pietro che invita la complessa e vasta area del suo elettorato e dei simpatizzanti a Vasto (Pescara) dal 16 al 18 settembre (http://www.italiadeivalori.it/interna/7820-vasto-2011-siete-tutti-invitati).

     Ho definito “vasta e complessa” l’area dell’elettorato di Antonio Di Pietro perché il parlamentare molisano, collocato a sinistra, nell’area del Partito Democratico, in realtà riscuote attenzione e consensi anche da destra. Il richiamo ai valori dell’onestà e della giustizia, nel nome del partito, la ricerca della buona amministrazione, l’attenzione al sociale, fanno di Di Pietro un’espressione tipica della destra sociale, un po’ populista, statalista quanto basta, certamente attenta agli interessi nazionali nel difficile contesto internazionale.

     “È un momento molto difficile per il nostro Paese, attraversato da una grave crisi economica, sociale e istituzionale”, esordisce Di Pietro nell’invito agli elettori. “La nostra democrazia è a forte rischio e persino i diritti dei lavoratori sono stati lesionati gravemente per far posto al mantenimento degli interessi della Casta”.

     “Il Governo Berlusconi, causa primaria di questo sfascio, è chiuso nel suo bunker. Irresponsabilmente continua, senza alcun pudore, a rimanere arroccato nei suoi palazzi licenziando provvedimenti ad personam contro il bene della collettività e facendoci perdere sempre più credibilità agli occhi della comunità internazionale”.

     “L’Italia dei Valori – continua Di Pietro - , forza intransigente, che ha sempre denunciato e contrastato i comportamenti e l’operato iniquo e immorale dell’esecutivo ha già messo sul tavolo le proprie carte: proposte concrete sull’economia, sul lavoro, sulla scuola, sulla sanità, sulla giustizia e sul welfare. Insomma proposte credibili, eque, volte a contrastare il malaffare e la corruzione nei palazzi e che diano nuovamente respiro al Paese e speranza ai cittadini onesti”.

     Ed ecco l’affondo nella prospettiva delle prossime elezioni. “Siamo pronti a costruire l’alternativa e a farci promotori di unalleanza programmatica che segni la svolta a queste brutte pagine della nostra storia. Il tempo è scaduto per chi ha portato l’Italia al collasso e spetta a noi assumerci con responsabilità il compito di governare e guidare un nuovo corso. Il nostro partito, che ha già dato ai cittadini l’opportunità di esprimersi con i referendum di giugno, non è nuovo alle grandi sfide in solitudine e vuole ripartire da lì. L’IdV è impegnata a promuovere un nuovo referendum per abrogare quest’ignobile legge elettorale e una proposta di legge d’iniziativa popolare per eliminare le Province. Infatti, sfugge ai più che l’IdV in Parlamento ha presentato numerosi disegni di legge e norme volte ad abbattere i costi della politica, ha consegnato una contromanovra che avrebbe fatto pagare gli evasori, i ladri, i disonesti, la Casta e non le fasce più deboli, i lavoratori, i giovani, i precari, i disabili. Ma i palazzi del potere hanno fatto orecchie da mercante bocciandoli. Pertanto li consegniamo ai cittadini affinché siano loro a darci una mano con una semplice firma”.

     A Vasto, conclude l’appello-invito di Di Pietro a Vasto, “ci confronteremo con numerosi ospiti e sarà un modo per rinsaldare la nostra azione politica e rilanciare la nostra nuova grande sfida”.

     Ho fatto parlare il leader dell’Italia dei Valori perché, particolarmente in questo momento, gli italiani hanno bisogno di identificare le proposte delle varie forze politiche e valutarne la credibilità alla luce dell’azione in concreto svolta, giorno dopo giorno, nelle assemblee elettive e nelle giunte di governo.

     Seguiremo il dibattito a Vasto ed ovunque il confronto tra i politici possa essere meritevole di quelle riflessioni che da cittadini ci facciamo ogni giorno sui temi di interesse generale, dall’ordine pubblico al funzionamento dell’amministrazione, al fisco, alla scuola, alla sanità, come sulle esigenze dello sviluppo.

11 settembre 2011

 

 

 

Nostalgia dei decreti "catenaccio"

Manovra maldestra sull'IVA

di Salvatore Sfrecola

 

     "Catenaccio", così sentivo chiamare da bambino i decreti legge, di natura fiscale, che, negli anni '50, il Governo adottava per rastrellare risorse e riequilibrare i conti pubblici. "Catenaccio", cioè intangibili, immediati, mai preannunciati, anche se, chi seguiva la situazione della finanza pubblica, poteva immaginare che, prima o poi, sarebbero stati adottati. Improvvisi, per evitare che l'effetto naturale del provvedimento, destinato ad aumentare qualche imposta, sui tabacchi, sugli alcoli o sui carburanti, aggiungesse alle conseguenze naturali del nuovo balzello, quelli di natura psicologica che muovono soprattutto i commercianti.

     Lo avevo imparato presto, seguendo le discussioni di mio padre, vicecapo e poi Capo di Gabinetto di vari ministri delle finanze quando, con alcuni collaboratori e colleghi discutevano di queste cose, la domenica mattina quando lo accompagnavo in ufficio, in un grande studio al secondo piano del palazzone di via XX Settembre, il Palazzo delle Finanze, un'opera maestosa dell'Italia umbertina, maestosa come devono essere i palazzi del potere, perché agli occhi del cittadino rappresentino l'autorità dello Stato.

     Ebbene, sulla base di quegli insegnamenti, l'aumento dell'IVA avrebbe dovuto trovare collocazione in un autonomo provvedimento di immediata applicazione, non in un maxiemendamento che avrà vigore solo dopo la pubblicazione della legge di conversione del decreto-legge dei primi di agosto.

     Questo comportamento del Governo avrà l'effetto di un ingiustificato aumento dei prezzi. Infatti i commercianti che, ad ogni settembre "ritoccano" al rialzo tutti i prezzi, convinti che i cittadini, abituati ai costi delle vacanze, li assorbiranno facilmente, avranno modo di applicare un'ulteriore aumento quando la nuova aliquota IVA entrerà in vigore. Poi, per effetto di un naturale rallentamento dei consumi, che segue le spese straordinarie delle vacanze, diranno che l'aumento dell'IVA ha effetti inflattivi, che frenano i consumi (1 per cento!), per giustificare qualche richiesta a Parlamento e Governo. Quest'ultimo, in particolare, e la maggioranza che lo sostiene, ritengono da sempre che i commercianti sono "di destra" e cadono nella trappola. Errore! I commercianti non sono "di destra" sono solo iscritti al "partito" dei commercianti. Una lobby potente che quanto guadagna 90, rispetto ai 100 di qualche tempo prima,  si lamenta perché "ha rimesso" quando, invece, ha solo guadagnato di meno.

     Attenzione! Così si protegge una categoria che nella maggior parte dei casi ha fatto di 1000 lire un euro, praticamente il doppio.  E per guadagnare qualche voto se ne perdono molti dai cittadini-contribuenti tartassati da imposte e tasse, mentre i servizi resi dalle pubbliche amministrazioni diventano sempre più cari ed inefficienti.

     Intanto gli evasori se la ridono se è vero, quel che ha detto giorni fa in televisione il Presidente della Commissione affari costituzionali, Vizzini, che in Italia risultano 75 mila contribuenti con un reddito superiore a 200 mila euro, mentre ogni anno si vendono molte più automobili di un valore superiore a quella cifra!

     La conclusione non può essere che una: in questo Paese l'evasione è, quanto meno, tollerata.

9 settembre 2011

 

 

 

Le osservazioni e le proposte dell’Associazione Magistrati della Corte dei conti sulla manovra di mezza estate

 

     L’Associazione intende partecipare consapevolmente allo sforzo di risanamento richiesto al Paese ma non è disposta ad accettare tagli iniqui prevalentemente concentrati sugli stipendi dei pubblici dipendenti senza incidere su alcuna delle fonti di spreco delle risorse pubbliche più volte segnalate dalla stessa Corte nelle sue relazioni e nelle requisitorie del Procuratore Generale.

   Secondo l’Associazione, alla luce delle disposizioni recate dal maxiemendamento appena approvato, risulta acuita l’iniquità della manovra laddove l’originaria introduzione del contributo di solidarietà per tutte le categorie di reddito consentiva di superare “l’ingiustificata disparità di trattamento di cui soffrivano i redditi dei dipendenti pubblici e quelli da pensione”, come ribadito dal Presidente della Corte dei conti nell’audizione parlamentare sul provvedimento.

     Il maxiemendamento prevede, poi (art. 2, comma 1 bis del disegno di legge), a carico dei redditi complessivi superiori a 300.000 euro lordi un contributo di solidarietà del 3 per cento sulla parte eccedente il predetto importo.

     Nell’ambito della categoria del ceto medio-alto i redditi di provenienza pubblica vengono colpiti dalle due aliquote del 5 e del 10 per cento quando superino i 90.000 e i 150.000 euro lordi annui, così determinando una diversità di trattamento di dubbia legittimità costituzionale rispetto ai redditi derivanti da rapporto di lavoro privato o autonomo che vengono colpiti solo se superiori ai 300.000 euro.

     Di tal che i dipendenti pubblici verrebbero incisi progressivamente dalle tre aliquote e ciò a conferma che il provvedimento presenta un forte connotato di diseguaglianza.

     Sotto altro profilo, l’Associazione magistrati della Corte dei conti preme evidenziare che recenti indirizzi legislativi hanno sostanzialmente comportato una rinuncia a somme di denaro pubblico.

     Basti pensare che, a fronte dei sacrifici oggi imposti ai cittadini, negli ultimi anni sono state adottate normative di favore nei confronti di :

-            concessionari della riscossione, che hanno comportato rinunce a crediti liquidi, certi e esigibili, dovuti anche in base a sentenze impugnate o impugnabili (art. 2, commi 2 septies e octies, del dl n. 40/2010, convertito con legge n. 73/2010);

-            soggetti che dopo aver aderito all’ultima sanatoria fiscale, si sono limitati “a versare la sola prima rata, bastando, questo, per assicurarsi la validità del condono” (audizione parlamentare del Presidente Giampaolino del 30 agosto 2011);

-            coloro che in sede di appello vengono a beneficiare - per i fatti commessi antecedentemente alla data del 1 gennaio 2006 - della “definizione agevolata del giudizio” mediante il versamento di una somma in misura non superiore al 30 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado (art. 1, commi 231-233, della legge n. 266/2005).

     -       Tra le misure finalizzate al riequilibrio e alla trasparenza dei conti pubblici, in ambito magistratuale, l’Associazione ha deciso di farsi promotrice di una proposta normativa tesa a ridefinire la disciplina dei Colleghi in posizione di fuori ruolo, onde evitare privilegi che non appaiono compatibili con gli sforzi di risanamento richiesti al Paese (es. eventuali doppie retribuzioni).

        8 settembre 2011

     

 

 

Troppo ottimismo nell'immaginare

i risultati della lotta all'evasione

 

Da TvNews:

L'Agenzia delle Entrate e le società del gruppo Equitalia, si legge nel testo dell'emendamento approvato, "al fine di recuperare le somme dichiarate e non versate dai contribuenti che si sono avvalsi dei condoni e delle sanatorie del 2002, anche dopo l'iscrizione al ruolo e la notifica delle relative cartelle di pagamento, provvedono all'avvio, entro e non oltre 30 giorni" dall'approvazione della manovra, ad una "ricognizione di tali contribuenti". Nei successivi 30 giorni, le società del gruppo Equitalia avvieranno nei confronti di ciascuno di questi contribuenti "ogni azione coattiva necessaria al fine dell'integrale recupero delle somme dovute e non corrisposte, maggiorate degli interessi maturati, anche mediante l'invio di un'intimazione a pagare quanto concordato e non versato alla prevista scadenza, inderogabilmente entro il termine ultimo del 31 dicembre 2011". Nel caso di mancato pagamento entro il 31 dicembre del 2011 delle somme "dovute e iscritte a ruolo - prosegue la norma - si applica una sanzione pari al 50% delle predette somme". Non solo. Chi non si metterà in regola, vedrà la propria posizione fiscale messa sotto il faro dell'Agenzia delle Entrate e della Guardia di finanza: "la posizione del contribuente relativa a tutti i periodi d'imposta successivi a quelli condonati, per i quali è ancora in corso il termine per l'accertamento, è sottoposta a controllo da parte dell'Agenzia delle Entrate e della Guardia di finanza entro il 31 dicembre 2012, anche con riguardo alle attività svolte dal contribuente medesimo con identificativo fiscale diverso da quello indicato nelle dichiarazioni relative al condono". Dei 4,2 miliardi di euro non incassati dallo Stato con il condono tombale del 2002 comunque, secondo quanto affermato nei giorni scorsi il direttore generale dell'Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, solo "1,5 miliardi sarebbero esigibili".

     Quest'ultima affermazione conferma i dubbi già espressi. Se di 4,2 miliardi non incassati solo 1,5 sarebbero esigibili il dato dà conto della capacità di riscossione e continua  a pesare sulle indicazioni a copertura della manovra.

     Una situazione sulla quale pesa anche la lentezza del contenzioso tributario. Insomma, fare conto sulla lotta all'evasione con il richiamo al senso civico è un esercizio di ottimismo non attività di gestione dei tributi evasi.li

4 settembre 2011

 

 

La manovra coperta con la lotta all’evasione

è un’ipotesi storicamente indimostrata

di Salvatore Sfrecola

 

     Sappiamo del mancato incasso di una rilevante quota del condono fiscale 2002. Il problema, infatti, è che gli uffici finanziari perseguono le inadempienze con anni di ritardo, quando spesso i contribuenti sono diventati irreperibili, oppure (ufficialmente) nullatenenti, oppure falliti, ovvero (nel caso di società) non più esistenti.

     Ieri il Direttore dell'Agenzia delle Entrate. Attilio Befera, a margine dei lavori della commissione Bilancio del Senato sulla manovra correttiva, ha dichiarato, secondo quanto riferisce l’Agenzia ASCA,  dei 4 miliardi del condono del 2002-2003 ancora da recuperare, tra i 2,5 e 2,7 miliardi ''sono inesigibili''.

     Spiega, un miliardo è in procedura concorsuale, 1,5 miliardi sono riferiti a soggetti che hanno altri debiti fiscali. Si tratta, quindi di soggetti su cui non è possibile rivalersi.

     Con questi precedenti il Governo prevede la copertura di parte della manovra con la lotta all’evasione.

     Ingenuità o incoscienza?

3 settembre 2011

 

Dilettanti allo sbaraglio

di Senator

 

     “Dilettanti al potere” titola il fondo di Tito Boeri oggi su La Repubblica. Ma allo “sbaraglio”, perché la manovra dei primi di agosto, che avrebbe dovuto anticipare il pareggio di bilancio e introdurre riforme strutturali per avviare una fase di sviluppo, cambia di giorno in giorno sulla base di idee che giustamente Emma Marcegaglia ha definito “esotiche” le quali si traducono in proposte inverosimili, non ancorate alla realtà dei conti.

     Non è una malignità di quella che troppo sbrigativamente è stata definita “la fronda” del PdL o il pregiudizio delle opposizioni. Della confusione che regna sovrana ne hanno dato conto un po’ tutti e l’ha confermata lo stesso Presidente del Consiglio nell’intervista rilasciata a Il Tempo, un giornale che nei mesi scorsi ha difeso il Premier e la sua maggioranza a spada tratta, fino a quando si è reso conto che la manovra danneggiava pesantemente proprio quella fascia di opinione pubblica nella quale il quotidiano romano conta molti lettori. I dipendenti pubblici innanzitutto, quelli per i quali resta il contributo “di solidarietà”, già stabilito nel 2010, mentre nel decreto legge di inizio agosto sarebbe stato riassorbito ed esteso anche ai privati, e gli affezionati al giornale, un settore dell’opinione pubblica tradizionalista, orientato a votare centrodestra.

     “Vi spiego la manovra” è il titolo dell’articolo che riferisce del colloquio di Mario Sechi con il Cavaliere, imperterrito difensore dell’indifendibile, contraddittorio nell’affermazione che l’ipotesi di eliminare la norma sui riscatti “l’abbiamo ritirata, senza alcun problema, perché non abbiamo timori di sorta sulla copertura della manovra”.

     Andiamo per gradi. Il Presidente del Consiglio definisce il provvedimento “assolutamente marginale”, entrato nella manovra solo perché “riguardava un numero minimo di soggetti e non avevamo neppure quantificato i risparmi”.

     È già questa la prova dell’incompetenza di chi l’ha proposta e di coloro che l’hanno accettata. Si inserisce una norma nella convinzione che riguardi poche persone e non se ne conoscono le conseguenze finanziarie. Dunque una norma pressoché inutile, decisa con “superficialità”, come ha detto l’on. Crosetto, Sottosegretario alla Difesa, uno dei maggiori critici della manovra d’agosto. Allora perché inserirla in una manovra “lacrime e sangue”?

     Quanto alla copertura della manovra per la quale il Governo “non ha timori” a me sembra, se la matematica non è un’opinione, come si usa dire, che manchino parecchie voci alle quali si affidava un qualche risparmio, a cominciare dai “costi della politica” che rimangono tali e quali per il rinvio alla riforma costituzionale che non si sa se e quando potrà vedere la luce. Osservo, invece, che se la Costituzione parla di province non le identifica nominativamente per cui, come sono state create di recente con legge ordinaria ugualmente si sarebbero potute eliminare con legge ordinaria. Ugualmente la normativa sui comuni è rimessa alla legge ordinaria.

     Il dato sui risparmi non era quantificato a dimostrazione del fatto che si voleva far digerire i sacrifici per i cittadini con un’ipotesi di taglio dei privilegi della “Casta”. Un'ipotresi e niente più.

     A questo punto è facile prevedere l’aumento dell’IVA, probabilmente in misura maggiore di quel +1% immaginato per l’aliquota del 20%, un 21% che ci porterebbe al livello di altri paesi europei che da tempo mantengono quella imposizione, senza che ne siano derivati guasti sul mercato interno.

     Invece è indubbio che la querelle sull’aumento dell’IVA, l’assenso della Confindustria (che rappresenta i produttori) e l’ostilità dei commercianti (che sono il tramite nei confronti del cittadino) sembra costruita a bella posta per giustificare eventuali aumenti dei prezzi nei quali i commercianti italiani si sono più volte esibiti, da ultimo con l’introduzione dell’euro quando hanno impunemente fatto mille lire uguale un euro, nel silenzio colpevole delle autorità che anch’esse ne avevano approfittato per aumentare il canone RAI (da 104 mila lire a 97 euro, il doppio!) e la tariffa delle soste a pagamento (da mille lire ed un euro), per non richiamare che due voci fra le più note.

     Confusione massima, dunque, mentre le voci che si rincorrono su questa o quella misura, oltre ad offrire al Paese l’immagine di una classe politica incompetente che non sa che strada prendere, aggrava sul piano psicologico la situazione mettendo in movimento iniziative preventive che porteranno all’aumento dei prezzi non perché, eventualmente, aumenterà l’IVA di un punto ma perché, come ogni anno, i commercianti approfitteranno del rientro dalle vacanze per “ritoccare” i prezzi, nella fiducia che, reduci dal mare e dai monti, abituati a spendere qualcosa in più nelle località turistiche, gli italiani non si accorgano di qualche euro in più o, comunque, lo accettino.

     Ma perché non riusciamo a diventare un Paese serio?

1 settembre 2011

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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