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UnSognoItaliano.it

 

 

NOVEMBRE 2011

 

Principio del pareggio di bilancio

e vigilanza sui conti pubblici: velleitarismo normativo e confusione di idee

di Salvatore Sfrecola

 

     Protesta l’Associazione Magistrati della Corte dei conti alla vigilia della votazione sul disegno di legge A.C. 4205, "Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta Costituzionale", in calendario oggi alle Commissioni riunite Affari costituzionali e Bilancio della Camera dei deputati. Protesta, perché tra le diverse innovazioni proposte è stata prevista l'istituzione di un organismo indipendente per la valutazione degli andamenti di finanza pubblica, le cui competenze pongono in discussione il ruolo della Corte dei conti. Inoltre, sembra in forse la norma che consentirebbe la promozione diretta, da parte della Corte dei conti, del giudizio di legittimità costituzionale per la violazione dell'obbligo di copertura finanziaria delle leggi.

     I magistrati contabili segnalano che l’eliminazione della possibilità di accesso diretto alla Consulta priverebbe l’ordinamento di una efficace verifica giurisdizionale delle eventuali violazioni dell’art. 81 della Costituzione, soprattutto in relazione alle regole dell’Unione europea, con pregiudizio del sistema delle garanzie obiettive.

     “Proprio nel momento in cui si tende all’adozione di misure di carattere finanziario per la riduzione del debito e per lo sviluppo del Paese – si legge in un comunicato dell’Associazione Magistrati - un punto nodale per l’effettiva realizzazione del principio dell’equilibrio dei conti pubblici e del pareggio del bilancio statale, la creazione di un nuovo soggetto giuridico finalizzato a controllare la spesa pubblica, oltre a svilire il ruolo costituzionalmente intestato alla Corte dei conti, di fatto procede ad incrementarla” per l’aggravio immediato dei costi che ne deriverebbe.

     “Dell'istituenda autorità - si legge nel comunicato - non sono comunque chiari collocazione costituzionale, composizione e funzioni che essa appare destinata a condividere con le funzioni oggi affidate alla Corte dei conti. Si persegue ancora una volta il modello di un nuovo organismo che comporterebbe tra l'altro, un immediato aggravio di costi per le finanze pubbliche mentre non sarebbe in ogni caso in grado di dare risposte adeguate con la celerità e la situazione richiede”.

     Il Consiglio direttivo dell’Associazione Magistrati della Corte dei conti è convocato il 5 dicembre. Il dibattito sarà inevitabilmente serrato tra le tante posizioni possibili, difensive o variamente propositive. Come quella che intende puntare l’attenzione su una soluzione istituzionale esistente, che storicamente ha la sua genesi nel sistema integrato Corte dei conti-Ragioneria Generale dello Stato-Banca d'Italia (dPR 367/1994 e smi), il quale potrebbe essere opportunamente rafforzato al fine di creare una Commissione permanente o, nel linguaggio europeo, una task force indipendente, con un ruolo di coordinamento affidato alla Corte in funzione di garanzia dell'indipendenza, coniugando così l'indipendenza, le competenze e la specialità di una magistratura, da un lato, e dall'altro le indiscusse professionalità e risorse (anche strumentali, ad es. le basi di dati finanziarie) di alto profilo della RGS e della BKI, fornendo, in tal modo, una risposta immediata ed efficace alle aspettative europee.

     Altrimenti, si sostiene, la Corte verrebbe superata in corsa da un'autorità parlamentare indipendente (o presunta tale) che costa, che non serve a nulla ed il cui start up sarebbe inevitabilmente lungo.

     La proposta, giudicata seria e ragionevole, sarà approfondita nel corso della riunione del Consiglio direttivo di lunedì investendo anche il Presidente della Corte, Luigi Giampaolino, perché rappresenti le ragioni dei magistrati contabili al Governo ed al Parlamento. In ogni caso l’opinione è quella che non può bastare un semplice anche se deciso no al disegno di legge occorrendo articolare una proposta alternativa. Cosa che il Presidente ha fatto investendo del problema il Presidente della Camera. A Gianfranco Fini Luigi Giampaolino – riferisce l’Agenzia ANSA -, ha inviato stamani una lettera in cui chiedeva di modificare il testo della riforma dell'articolo 81 della Costituzione ora approdato in aula. Le richiesta di conservare il compito inizialmente attribuito alla Corte dei Conti dal vecchio testo, non è stata accolta dal comitato ristretto che istruisce i lavori per l'aula, il quale ha cancellato tale compito nel nuovo testo approvato.

     Nel vecchio testo era stato attribuito alla Corte dei Conti il compito di sollevare il conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale in caso di legge priva di copertura finanziaria. Ma tale compito è stato eliminato dal nuovo testo presentato dai due relatori, Donato Bruno e Giancarlo Giorgetti, al comitato dei nove. E in tale sede è stata recapitata da Fini la lettera di Giampaolino. Questi ha definito ''indispensabile'' il mantenimento di questo ruolo per la Corte dei Conti ''per assicurare l'effettiva chiusura di un sistema che vuole garantire l'equilibrio delle entrate e delle uscite e la sostenibilità dell'indebitamento delle amministrazioni pubbliche''.

     I motivi dell'eliminazione di questo compito, ha spiegato Gianclaudio Bressa (Pd), è che è cambiata l'architettura complessiva della riforma. Inizialmente essa aveva una impostazione più rigida, con una imposizione secca di pareggio di bilancio. Ciò avrebbe portato molti contenziosi davanti alla Consulta, ed era stato così individuata nella Corte dei conti un filtro. Ora il nuovo testo parla di ''equilibrio di entrate ed uscite'' ed è più flessibile, il che toglie la necessità di un filtro nel sollevamento della legittimità costituzionale.

     ''In comitato - ha commentato il ministro Piero Giarda - hanno riconsiderato il loro precedente orientamento, giudicandolo non più opportuno. Ciò potrà dispiacere a qualcuno, ma sono le decisioni del Parlamento”.

     Quel “qualcuno” sono i magistrati della Corte dei conti le cui ragioni sono state efficacemente interpretate dal presidente dell'Istituto, Giampaolino, nella lettera a  Gianfranco Fini. Il ruolo della corte non è stato considerato nella sua giusta dimensione. D'altra parte uno dei relatori, l'onorevole di Donato Bruno, un pugliese garbato e colto, avvocato, ha dimostrato sempre una scarsa disponibilità a comprendere le ragioni ed il ruolo della magistratura contabile a garanzia della buona gestione del denaro pubblico.

     Ma il tema di fondo di questa riforma costituzionale, presentata come necessaria ad ottenere il pareggio del bilancio, come se l'articolo 81 quarto comma della costituzione non assicurasse, se bene interpretato, l'equilibrio della gestione, in realtà è un manifesto contraddittorio che se da un lato sembra irrigidire la regola della corretta copertura delle spese, dall'altro introduce tante e tali deroghe che lo scopo principale appare allontanarsi ad ogni riga del testo sottoposto all'esame del Parlamento.

     L'intenzione di disciplinare normativamente tutto e il contrario di tutto non è un buon modo di legiferare soprattutto in una materia, come quella finanziaria, soggetta variabili dovute all'andamento dell'economia ed al capriccio dei mercati internazionali. Non è materia da normare nel dettaglio facendo ipotesi alternative che renderanno arduo il lavoro dell'interprete, con la conseguenza di eludere l'accertamento delle responsabilità politiche e giuridiche in caso di conseguenze negative di comportamenti gestori influenzati da una normativa contraddittoria originata dallo scompiglio di questi giorni e dall'incapacità di prevedere e quindi prevenire situazioni che sarebbe stato più facile affrontare se tempestivamente identificate con conseguente predisposizione delle misure strutturali e congiunturali necessarie per far fronte all'emergenza.

     Anche l'Anci ha da ridire, come riferisce l’ASCA. Infatti, esprime ''forte preoccupazione per il fatto che, alla Camera, stia avvenendo la discussione su un provvedimento vitale per lo Stato ma anche per i Comuni, come quello sul pareggio di bilancio da inserire nella Costituzione, senza che ci sia stato nessun tipo di interlocuzione con l'Associazione, né in Conferenza Unificata né in Parlamento''. A preoccupare in particolare l'Associazione dei Comuni è l'integrazione all'art. 119 della Costituzione che potrebbe prefigurare una riorganizzazione in modo verticale della struttura della Repubblica italiana. L'Anci vuole ricordare, a chi sta lavorando in queste ore, che l'art. 119 della Costituzione è ''una norma che segue l'art. 114 e l'art. 117 lett. P): due norme che hanno sancito l'equiordinazione fra gli enti che compongono la Repubblica e la necessità che le funzioni dei Comuni siano interamente finanziate dalla legislazione statale''.

     “C'e' poi il tema - aggiunge l'Anci - della istituenda Autorità sui conti pubblici. Pur apprezzando l'iniziativa, peraltro richiesta da anni dall'Associazione, è bene tener presente l'esigenza che l'Autorità veda al proprio interno tutti i livelli di governo, in modo da garantire una condivisione dei dati e degli obiettivi''. L'ANCI ritiene inoltre che il ruolo previsto per questa nuova Autorità debba ''coordinarsi con la Conferenza per il coordinamento della finanza pubblica di cui si attende l'insediamento e, in particolare, con la Copaff, considerato che in quest'ultima sono rappresentati Ragioneria dello Stato, ISTAT, Servizi studi di Camera e Senato''.

     Per questo l'Associazione ha scritto ai Presidenti delle Commissioni parlamentari Affari costituzionali e Bilancio e al Ministro Giarda, per ''sollecitare un incontro urgente, prima che il Governo presenti una riformulazione del testo del disegno di legge''. L'Anci chiede inoltre ai gruppi parlamentari di poter ''discutere nel merito e auspica che il Ministro dell'Interno possa garantire una interlocuzione ordinata e leale fra i vari livelli istituzionali che sono interessati dal provvedimento''.

     Torneremo sull'argomento per seguire la riforma e le velleità che la spingono da parte di alcuni parlamentari.

29 novembre 2011

 

 

 

La TIM e il roaming: un messaggio sibillino?

O una corretta informazione dell'utente?

di Salvatore Sfrecola

 

     Sarà capitato anche i nostri lettori, recandosi all'estero, di passare sotto la gestione di una diversa compagnia telefonica rispetto a quella che ha emesso la sim del telefonino. Avviene automaticamente al passaggio della frontiera e da allora siamo sotto l'autorità del nuovo gestore.

     Nulla di speciale per le telefonate, ma se  si tenta di navigare, magari solo per consultare un comunicato Ansa,  il rischio è grosso. Gli utenti ricevono due tipi di messaggio. Un primo di questo tenore: "gentile cliente, ti informiamo che hai raggiunto 2/3 della soglia massima di spesa dati all'estero. Per non essere bloccato invia 'dati estero on'al 40915".

     Passa un po' di tempo e giunge un nuovo messaggio: "gentile cliente, la informiamo che ha raggiunto la soglia max di spesa dati all'estero. Per riprendere il traffico dati invii SMS 'dati estero on' al 40915".

     Da notare che dal primo al secondo messaggio si passa dal "tu"al "lei", un modo cortese che continua con un ulteriore messaggio se lo sventurato invia l'sms richiesto. In tale occasione Tim avverte l'utente che "a seguito del suo sms di autorizzazione potrà continuare ad effettuare traffico dati in roaming".

     Con questo messaggio Tim ritiene di aver assolto un obbligo di corretta informazione sulla base delle indicazioni provenienti dall'Autorità per le comunicazioni. Ma solo formalmente. Infatti il messaggio non indica le condizioni nelle quali il traffico dati potrà essere effettuato con il nuovo gestore, per cui l'utente è legittimato a ritenere che avvenga alle stesse condizioni della prima tranche corrisposta a Tim, una tariffa che evidentemente sconta comunque il rapporto con il nuovo gestore.

     Accade, dunque, che il malcapitato, non avendo assunto opportune informazioni, che poteva anche ritenere inutili sulla base della tariffa praticata fino alla concorrenza della misura massima di spesa dati all'estero, si trova a dover pagare una somma rilevante, di molte centinaia di euro.

     Tim ritiene di essere in regola. Probabilmente lo è sul piano formale, ma è certo che l'informazione è parziale, non chiara, tanto da non consentire all'utente di accertare che sta correndo un grosso rischio. In un ordinamento giuridico basato sulla trasparenza nella gestione dei servizi pubblici o di pubblico interesse messaggi di questo genere non sono ammissibili. Vanno riformulati in modo da rendere esplicito all'utente quale onere va a sostenere in via ordinaria quando, recandosi all'estero, continua ad effettuare traffico dati in roaming.

28 novembre 2011

 

 

 

 

 

L'acconto di novembre

costerà ai contribuenti italiani il 17% in meno

di Salvatore Sfrecola

 

     Al 30 novembre i contribuenti italiani tenuti a versare l'acconto IRPEF non dovranno più pagare il 99% ma l'82%. A me sembra una misura di carattere antirecessivo, destinata a mantenere nelle tasche delle famiglie italiane una piccola somma che comunque potrà servire a fine anno per far fronte ad alcune esigenze rinviate. E' un segnale di quelli che il duo Berlusconi - Tremonti non è riuscito neppure ad immaginare dal 1994 ad oggi, pur continuando, ad ogni occasione, a dire che avrebbero alleggerito il fisco per gli italiani.

     Naturalmente non si tratta di una riduzione d'imposta, ma dell'alleggerimento di un onere, l'acconto di novembre, che pesa sulle spalle degli italiani in un periodo dell'anno particolarmente impegnativo, in vicinanza delle festività natalizie e considerato che dalla data di pagamento dello stipendio e della 13ª, a metà dicembre, al successivo stipendio di gennaio corre un mese mezzo.

     Non ritengo, dunque, di condividere quel che mi ha detto un amico commercialista il quale ha giudicato l'iniziativa come un provvedimento inutile e di facciata. In economia contano anche fattori di carattere psicologico, per cui l'iniziativa del Presidente del consiglio nella sua veste di Ministro dell'economia va collocata fra quelle che i governi assumono per dimostrare attenzione nei confronti dei contribuenti. Ci vorrà altro, evidentemente, per restituire credibilità al fisco agli occhi di italiani tartassati, ma la piccola misura che trattiene un pugno di euro nelle tasche delle famiglie per qualche consumo in più restituisce anche fiducia ai commercianti ed ai produttori che da tempo non navigano in buone acque, con conseguente contrazione delle vendite sul mercato interno che significa anche contrazione delle produzioni e dei posti di lavoro.

     L'economia, come abbiamo ricordato più volte ha molti attori. Uno dei più importanti è la famiglia nel suo complesso, società, come la definisce la Costituzione, che ha un ruolo centrale nella vita del Paese, perché di essa fanno parte lavoratori, aspiranti lavoratori, risparmiatori, consumatori capaci di stimolare il mercato interno, se hanno a disposizione risorse da destinare all'acquisto di un'abitazione, al mantenimento e all'istruzione dei figli, all'assistenza degli anziani e dei malati, un ruolo quest'ultimo che alleggerisce di molto gli oneri che per queste funzioni incombono sullo stato degli enti locali. Un ruolo, quello della famiglia, del tutto ignorato dal fisco che in tal modo dimostra di non comprendere le ragioni che abbiamo detto in ordine ai vari profili di rilievo economico e caratterizzano i suoi componenti.

     Mi auguro, dunque, che l'iniziativa del professor Monti non sia, come teme il mio amico commercialista, inutile e di facciata, ma espressione della volontà del governo di presentare un fisco “dal volto umano”, premessa di una riforma tributaria giusta in un contesto nel quale la lotta all'evasione fiscale non sia uno slogan tante volte ripetuto ma una realtà effettivamente percepibile dai contribuenti.

25 novembre 2011.

 

 

Se il centrodestra vuol sopravvivere

Oltre Berlusconi

di Senator

 

     Partiamo da una constatazione, richiamata più volte da Silvio Berlusconi fin dalla sua discesa in campo nel 1994. In Italia esiste una maggioranza moderata che dal 1948 consente a partiti di centro-destra, variamente coalizzati, di gestire il potere a livello centrale. Una maggioranza ostile al comunismo in tutte le versioni, che quando ha imbarcato Bettino Craxi lo ha fatto in ragione del suo anticomunismo.

     Berlusconi ha approfittato di questo orientamento degli italiani per dominare la scena da quasi un ventennio. Da un'idea giusta è derivato un danno per il centrodestra, nel senso che la leadership mediatica del Cavaliere, fatta di slogan di sicuro effetto, le privatizzazioni, la riforma tributaria, la famiglia, la semplificazione, la riforma della giustizia, hanno convinto gli italiani. Anche se la riforma tributaria non è stata fatta, della famiglia ci si occupa solo alla vigilia delle elezioni, della semplificazione non si vede nulla di significativo, della giustizia è chiaro che Berlusconi si sia occupato esclusivamente per assicurarsi l'impunità nei processi che lo vedono imputato di comportamenti consueti nel mondo dell'imprenditoria.

     Preoccupato delle esigenze delle sue imprese, entrato in politica indebitato per cifre importanti, le ha fatte crescere nel corso della sua gestione del potere. Attento ai suoi problemi giudiziari e di quello dei suoi amici (ricordate l'annuncio delle limitazioni alle intercettazioni telefoniche in un'assemblea di imprenditori, là dove allignano i corruttori, che gli avevano tributato un applauso scrosciante), Berlusconi ha trascurato la politica, quella per la quale aveva detto di essere sceso in campo. Conseguentemente ha emarginato quanti con lui avevano dato vita a Forza Italia, Pera, Martino, Antonione, per non fare che qualche nome noto al grande pubblico, per privilegiare yes men, personaggi modesti, tanto per fare loro un complimento. Modesta la squadra di governo, modesti i gruppi parlamentari che con una maggioranza mai vista nella storia repubblicana non sono riusciti a portare a termine le riforme promesse ripetutamente. Gli italiani hanno sempre creduto alle sue affermazioni, anche a quelle evidentemente assurde, come l'essere il più grande presidente del consiglio degli ultimi 150 anni della storia nazionale o il più amato dagli italiani e comunque quello con maggiore consenso in Europa. Finché non è stato chiaro che aveva sottovalutato il pericolo di una crisi finanziaria che è certamente mondiale ma alla quale ogni paese risponde secondo la sua struttura produttiva e amministrativa. Così abbiamo assistito in diretta TV ai sorrisetti di Angela Merkel e di Nicholas Sarkozy e, da ultimo, alla scenetta pietosa registrata dalle telecamere a raggi intenti di Berlusconi che sorrideva come se fosse partecipe di lunga discussione alla cancelleria tedesca e il presidente francese mentre in realtà era evidente che nessuno gli rivolgeva la parola e la Merkel addirittura gli volgeva le spalle.

     Come spesso accade a quanti sono autoreferenziali, leader carismatici con scarso fondamento eppure per un certo periodo con largo consenso, Berlusconi non ha capito che la sua stella stava per declinare e che per dimostrare di essere uno statista avrebbe dovuto preparare una successione credibile ed una uscita di scena non traumatica, al punto che oggi temiamo che con lui naufraghi anche il centrodestra, almeno nel breve periodo. È l'accusa più grande che si può muovere al Cavaliere il quale, fra l'altro, finisce per svendere quel poco di buono che sicuramente ha fatto nel frenare per tre volte, nel 1994, nel 2001 e nel 2008, l'avanzata di una composita coalizione di sinistra che già nel 2006 e il 2008, pur avendo come leader un ex Presidente della Commissione europea, Romano Prodi, non è riuscita a governare. Il Popolo della libertà deve guardare oltre il suo fondatore. Quella coalizione di liberali e cattolici, il nucleo moderato tradizionale l'Italia del dopoguerra, ancora una ragion d'essere in un futuro, ma deve passare attraverso una ricostruzione del pensiero e dell'azione, tenendo a bada l'anima socialista alla quale Berlusconi, ex socialista anch'egli, a patto eccessivo risalto e responsabilità del governo e in Parlamento.

     Occorre riprendere le fila del discorso partito da lontano che potrebbe coinvolgere Pierferdinando Casini, il leader centrista che ha dimostrato di essere un punto di riferimento importante dei cattolici e dei liberali.

     È presto per dire chi prenderà la guida del timone della nave degli orfani di Berlusconi, probabilmente un leader che ancora non conosciamo ma che non sarà difficile individuare in quel vasto mondo della cultura e delle professioni cui può fare riferimento il mondo moderato, cattolico e liberale che, non dobbiamo dimenticarlo, ha fatto risorgere l'Italia distrutta dalla guerra, ha avviato il boom economico, riordinato le istituzioni del Paese.

     Dobbiamo crederci ancora e guardare oltre Berlusconi, per guardare alle prossime generazioni e restituire all'Italia il ruolo che le spetta in Europa e nel mondo.

23 novembre 2011

 

 

 

Monti alla guida del centrodestra nel 2013?

di Senator

 

     All'estero, in un'area dalla quale non è facile connettersi con i siti dei giornali italiani, ho difficoltà a percepire alcuni aspetti del dibattito politico seguito all'insediamento del ministero Monti, alla presentazione del programma ed alle dichiarazioni di voto che ne hanno consentito l'approvazione.

     Leggo dell'altro, desumendolo soprattutto dai titoli, che Silvio Berlusconi, il quale aveva mostrato il volto delle armi all'indomani della formazione del nuovo governo, sembra indotto a più miti consigli perché avrebbe affermato di essere soddisfatto, se non altro, per due motivi: Monti gli avrebbe assicurato che non intende candidarsi alle prossime elezioni politiche ed inoltre non reintrodurrebbe l’I.C.I. sulle prime case sostituendola eventualmente con una diversa imposta.

     Entrambi questi aspetti, che sembrano aver soddisfatto il Cavaliere, sono evidentemente scarsamente rassicuranti. La promessa del Professor Monti di non candidarsi alle prossime elezioni che Silvio Berlusconi sembra datare 2013 costituisce un'affermazione senza dubbio sincera ma, all'evidenza, suscettibile di subire gli effetti del decorso del tempo. Se avrà successo, come tutti si augurano, il Presidente del consiglio, ancorché non lo desideri oggi, sarebbe sicuramente sollecitato a capeggiare proprio quel centrodestra oggi guidato da Berlusconi. Il Senatore Monti, infatti, è sicuramente persona gradita agli elettori del centro destra, è un cattolico liberale, molto più liberale di quanto lo sia stato Berlusconi che si è riempito la bocca di quella parola senza che il suo governo abbia dato un contributo effettivo ai principi del liberalismo in economia e della legalità nella gestione del potere.

     E' quindi possibile, anzi auspicabile, che il successo del Professor Monti si trasformi in una indicazione in favore di una sua leadership del centrodestra che con Silvio Berlusconi è stato pesantemente mortificato sul piano dell'immagine e della sua credibilità. Quel centrodestra che sicuramente è maggioritario nel Paese potrebbe ritrovare, accanto ad un Presidente del Consiglio che sia stato capace di raddrizzare la barca dell'economia e della finanza e di restituire credibilità internazionale all'Italia, un significativo consenso elettorale avendo una squadra di autentici servitori dello Stato ispirati ai migliori valori della democrazia liberale.

     È certo che il leader del centro-sinistra Bersani, costretto alla scelta di appoggiare il Senatore Monti rinunciando ad una ipotesi di elezioni anticipate che forse lo avrebbero visto vincitore, sia pure con una modesta maggioranza, vedrà sfumare ogni possibilità di ulteriore guida del partito democratico e della coalizione, così concludendo una pur dignitosa carriera politica.

     Quanto, infine, alla vicenda della tassazione degli immobili è certo, perché delineato nel federalismo degli enti locali, che la nuova tassa, che si chiamerà IMU, cioè imposta municipale unica sostituirà l'Ici, così accontentando il Cavaliere che, ancora una volta, si mostra nient'altro che un abile comunicatore di notizie scarsamente attendibili. Per lui basta che la nuova tassa non si chiami I.C.I..

     Io che l'ho votato e che ho fatto parte della sua squadra parlamentare, rimasto presto deluso dell'uomo politico che non ha saputo eguagliare il successo dell'imprenditore, guardo con mestizia alla fine ingloriosa di un leader di partito che tanti aveva fatto sognare nella prospettiva di un cambiamento che neppure la più forte maggioranza parlamentare della storia repubblicana gli ha consentito di portare avanti, avendo riempito governo e gruppi parlamentari di personaggi che definire modesti è quasi un complimento.

     Voltiamo pagina. Non è dubbio che coloro i quali hanno a cuore le sorti della democrazia liberale oggi possano individuare in Mario Monti un leader capace, dotato di grande competenza tecnica esaltata una sensibilità politica maturata in una lunga esperienza di commissario dell'Unione Europea e nell’attenta individuazione dei problemi economici e sociali del nostro Paese tante volte affrontati nelle sue collaborazioni giornalistiche nelle quali è riuscito sempre a coniugare il rigore che sollecita per la spesa pubblica e le esigenze autentiche degli italiani che si soddisfano esclusivamente con una attenta utilizzazione delle risorse disponibili per il potere politico nella misura necessaria a non comprimere l'industria e i commerci, cioè l'intrapresa privata che presenta le nostre produzioni sul mercato interno ed internazionale, assicurando posti di lavoro e benessere alle famiglie.

     Il Professor Monti ha restituito fiducia agli italiani ed ai nostri partner europei. Se la politica deteriore non gli farà lo sgambetto, se non preferirà guardare alle prossime elezioni anziché alle prossime generazioni il nostro Paese potrà tornare ad essere tra i primi in Europa e nel mondo.

20 novembre 2011

 

 

 

Una buona squadra di governo

Tecnici "politici"

di Salvatore Sfrecola

 

     Tecnici "politici", cioè con sensibilità politica, non tecnici "di partito" così i ministri del Governo Monti piacciono agli italiani e mettono in difficoltà i partiti ed i giornali "di partito" che avrebbero voluto avere un alibi per qualche distinguo per dire domani, cioè tra un anno e dispari, in sede di campagna elettorale, che, in fin dei conti, le misure severe che il Governo dovrà certamente prendere loro non le hanno sempre condivise.

     Tecnici "politici" perché la politica è la capacità di interpretare le esigenze della comunità nella sua composita varietà di interessi, economici, sociali, culturali. In questo senso la politica è la massima espressione  della cura del bene comune spesso interpretato meglio da un laico che da un "chierico", ideologizzato e tenuto a "rispondere", bruttissima espressione gergale di moda nei partiti, ad un capocorrente o ad un suo portaborse.

     Ci attendiamo molto da questo Governo al quale attribuiamo, ragionevolmente, una sensibilità politica, nel senso che abbiamo detto. Ci attendiamo che restituisca credibilità all'Italia ed ai suoi BOT, non sulla base di alchimie dei mercati ma di una ripresa dell'economia, possibile se si darà impulso, tra l'altro, a quella grande risorsa trascurata che è il turismo. Qui il Ministro Passera potrebbe giocare un grosso ruolo tenuto conto del fatto che il Ministero dello Sviluppo economico e quello delle infrastrutture sono di sua competenza. Il turismo manca di una visione strategica, nazionale e di infrastrutture, portuali, aeroportuali, viarie che dovrebbero avvicinare il turista ad aree archeologiche ed a siti ambientali che sarebbero appetibili se raggiungibili facilmente e dotati di strutture ricettive alberghiere ed agrituristiche. D'intesa con un personaggio del valore di Pietro Gnudi il turismo potrebbe tornare ad essere veramente la prima "industria" italiana, come l'agricoltura, un'altra risorsa trascurata da tempo mentre potrebbe anche indirizzare i suoi prodotti verso aree del mondo che soffrono la fame ed altre che apprezzano le delicatezze delle nostre produzioni.

     C'è molto da fare, per l'emergenza e l'ordinario. La "squadra Monti" potrà fare presto e bene. Lo consentiranno i partiti che già vedono nel Professore della Bocconi un pericoloso concorrente per le elezioni del 2013.

17 novembre 2011

 

 

Pro memoria per il Presidente incaricato

Ci sono tecnici e tecnici

di Salvatore Sfrecola

 

     Il Senatore Monti ha escluso l'attendibilità delle "anticipazioni" dei giornali sui nomi della squadra di governo. L'avrebbe fatto in ogni caso. Si tratta di scelte delicate che il Presidente incaricato dovrà verificare con i partiti che sostengono la sua iniziativa, soprattutto con quelli della vecchia maggioranza che ovunque lasciano uomini e programmi che immaginavano di portare  avanti nel prosieguo della legislatura.

     In queste condizioni non tutti i tecnici possono essere graditi, in particolare se tratti dall'amministrazione, funzioni o consulenti, spesso in polemica con l'apparato che rischiano di essere di ostacolo all'azione del governo.

     Anche se tratti dall'università non tutti i "tecnici" vanno bene. Alcuni sono solo teorici e non conoscono l'amministrazione, ciò che spesso ha reso difficile il loro dialogo con l'apparato, necessario al fine di realizzare il programma di governo.

     Tutto questo a prescindere da una certa arroganza che spesso accompagna i tecnici.

     E' meno facile di quanto può sembrare: si fa presto a dire "tecnici", ma la scelta non è facile, anche perché le scelte sbagliate si pagano, pesantemente. Possono far zoppicare un governo che che bisogno di procedere rapidamente, in ogni settore, non solo nella finanza. Si pensi solo ai beni culturali settore vitale per l'economia del Paese, venuto più volte alla ribalta per i crolli avvenuti a Pompei e non solo. In chiusura il Ministro Galan ha lanciato strali di fuoco nei confronti del Ministro Tremonti.

Ripartire dall'Amministrazione, questo deve essere l'obiettivo del Presidente Monti. Per realizzare il programma di governo che, non essendo a< tempo, deve lavorare a tutto campo.

    Detto questo, in via generale, quanto ai nomi che si fanno, molti dei quali di amici che stimo per la loro professionalità devo anche dire che alcuni di essi sono poco adatti a svolgere il ruolo di ministro, privi di sensibilità politica, alcuni palesemente legati ad ambienti che hanno fatto la storia (negativa) della nostra Repubblica.

     Mediti, Presidente Monti, le scelte sbagliate nella quadra di governo errori che si pagano cari

15 novembre 2011

 

 

 

La sconfitta della politica

di Senator

 

     Senza togliere nulla al Senatore a vita Mario Monti, già Rettore della Bocconi, per 10 anni commissario europeo, notista politico apprezzato, non c'è dubbio che il governo che si appresta a varare rappresenta visivamente la sconfitta della politica e dei partiti che si sono confrontati in questi anni della legislatura per non avere previsto e dominato la crisi economica che è certamente di carattere internazionale, ma si determina in modi diversi in relazione alla situazione finanziaria dei singoli Stati.

     Non è dubbio, infatti, che il governo abbia prima negato e poi minimizzato la crisi economica, in tal modo facendosi trovare impreparato all'aggravarsi delle difficoltà rese evidenti dal sempre più costoso collocamento dei titoli di Stato sui mercati internazionali.

     I motivi sono intuibili. La situazione economica avrebbe richiesto misure drastiche  di contenimento della spesa pubblica ed interventi di natura fiscale certamente impopolari che la maggioranza non si è sentita di adottare per non venir meno alla promessa di non mettere le mani nelle tasche degli italiani. In realtà un intervento pesante a carico delle economie private era già stato attuato attraverso la riduzione dei trasferimenti agli enti locali che hanno inciso negativamente sui servizi resi in sede comunale, divenuti più limitati e comunque più costosi.

     Queste misure non sono state sufficienti, per cui l'esigenza di ulteriori interventi sul piano fiscale, come la probabile reintroduzione dell'Ici sulla prima casa, non sono state adottate dalla maggioranza preoccupata, a meno di due anni dall'appuntamento elettorale, nel timore di negative ripercussioni sul consenso al quale tutti i partiti mirano.

     Questo timore, comprensibile, è tuttavia incompatibile con con la responsabilità di partiti che devono saper dimostrare nell'interesse generale delle attuali e delle future generazioni. L'incapacità di comprendere questo dovere fondamentale è pari alla incapacità di individuare i tempi dell'intervento che normalmente va collocato nella fase iniziale della legislatura in modo che il ricordo delle misure sgradite scemi nel tempo e sia sostituito dalla soddisfazione degli effetti positivi che quelle misure assicurano all'economia del Paese e allo sviluppo sociale.

     La responsabilità del governo Berlusconi sta, dunque, nel non aver previsto una crisi che si andava delineando da tempo all'orizzonte della politica economica e che sarebbe stato necessario affrontare immediatamente per offrire ai cittadini l'immagine di un governo capace di mettere al riparo gli italiani da maggiori difficoltà. Invece Silvio Berlusconi non ha affrontato la riforma fiscale promessa dal 1994, ha trascurato le esigenze delle famiglie, ha sottovalutato la crisi dell'occupazione, non ha adottato misure idonee a offrire incentivi allo sviluppo.

     L'incapacità del governo e della sua maggioranza, che non dobbiamo dimenticare ha esordito all'inizio della legislatura con un numero di parlamentari senza precedenti nella storia repubblicana, è speculare alla inadeguatezza dell'opposizione che non ha saputo ancora nei giorni scorsi proporre iniziative credibili, idonee al momento attuale. Anche per l'opposizione il timore di misure impopolari è stato determinante della sua eclissi politica.

     Ora andiamo ad un governo "tecnico" nella speranza, condivisa dalle maggiori forze politiche, che tolga le castagne dal fuoco per tutti. Questa non è politica, è piccolo cabotaggio di uomini incapaci di dimostrare una profondità di pensiero e d'una visione proiettata nel tempo degli interessi veri del Paese.

     Ne escono tutti con le ossa rotte, con prospettive incerte in vista di elezioni che sono troppo vicine perché gli italiani dimentichino gli errori degli uni e degli altri ed i pesanti sacrifici che ci attendono.

13 novembre 2011

 

 

Ricominciare dalla funzione pubblica

 

di Salvatore Sfrecola

 

     Nel momento in cui corrono i tempi della formazione del governo Monti, il cui programma probabilmente è stato delineato, sia pure per grandi linee, nei colloqui che l'ex Commissario europeo ha avuto oggi con Bersani e Berlusconi e tra poco (scrivo alle 16 e 15) con Casini, ritengo di dover sottolineare l'importanza di un ruolo governativo solitamente trascurato, tanto che nel governo uscente è stato ricoperto con assoluta insufficienza dal professor Brunetta.

     Mi riferisco alla funzione pubblica cioè dalla struttura ministeriale, strettamente legata alla Presidenza del consiglio, che ha il compito di gestire i profili generali, organizzativi ed operativi, dell'apparato pubblico dello Stato, con l'influenza evidente sulle strutture delle regioni e degli enti locali.

     Si tratta di un ruolo essenziale, quello che attiene al buon funzionamento dello Stato, considerato che l'apparato pubblico nel suo complesso costituisce lo strumento attraverso il quale il governo persegue gli obiettivi del suo programma. Questo ruolo è stato sottovalutato da anni, ma particolarmente nei governi Berlusconi, trascurando una realtà che un Presidente imprenditore, come il Cavaliere si è più volte orgogliosamente definito, avrebbe dovuto immediatamente comprendere e che invece trascura dal 1994, da quando, cioè, insediatosi a Palazzo Chigi, disse, alle sue prime dichiarazioni, che in quel grande palazzo avrebbe lavorato alacremente avendo bisogno soltanto nella sua segretaria, Marinella, e di un paio di archivisti.

     Già allora mi parve grave l'affermazione, soprattutto in quanto proveniente da un imprenditore, abituato a gestire la sua impresa utilizzando vari fattori della produzione, il più importante dei quali è sicuramente quello umano, dato dalla capacità manageriale e progettuale del management. Divenuto Presidente del consiglio Silvio Berlusconi avrebbe dovuto considerare che, come ha ben operato delle sue aziende con mezzi tecnici di valore, avrebbe dovuto ugualmente preoccuparsi della capacità professionale dei funzionari dello Stato, suoi naturali collaboratori. Invece non ha trascurato occasione per mostrare scarsa considerazione, quando non aperto disprezzo, per i dipendenti pubblici tra i quali, devo dirlo per l'esperienza maturata in funzioni di collaborazione ministeriale e quale magistrato della Corte dei conti, ho sempre trovato professionisti di valore nei vari settori, con grande senso dello Stato, nonostante gli stipendi e le condizioni di lavoro non siano ottimali.

     Chiedo dunque al Presidente Monti di tenere presente, nella sua difficile impresa di far funzionare l'Italia, innanzitutto il ruolo dei dipendenti pubblici, i quali andranno certamente redistribuiti tra le varie funzioni, alcune delle quali da tempo trascurate (penso al settore dell'arte e della cultura in generale che costituiscono la grande attrattiva del nostro turismo), ma vanno indubbiamente motivati dai ministri di riferimento e dalla dirigenza statale perché sappiano esprimere il massimo del loro capacità professionale, della loro voglia di fare, della capacità di immaginare procedure più snelle, quali desiderano i cittadini e le imprese perché l'amministrazione non sia un costo ma un'opportunità per i singoli e per il Paese.

     Se il Presidente Monti comprenderà le ragioni di questa mia sollecitazione indubbiamente metterà al centro della sua azione di governo il rafforzamento dell'apparato pubblico e la considerazione del ruolo della pubblica amministrazione e dei suoi addetti. Per fare questo tuttavia non dovrà ricorrere al solito professore universitario di diritto amministrativo o dintorni che dell'attività pubblica conosce le leggi e la patologia dell'atto, ma dovrà scegliere una persona che sappia parlare ai dipendenti pubblici e li sappia motivare. Perché il prestigio di servire lo Stato deve tornare ad essere, come è stato in alcuni momenti della nostra storia e come nelle grandi democrazie occidentali che vantano una lunga esperienza statuale, grandi imperi, quindi con grandi burocrazie, motivo di orgoglio per i dipendenti e per i cittadini che ad essi si avvicinano per chiedere la soddisfazione di diritti e il rispetto di interessi.

     Non so chi potrà consigliare Monti su questo versante della politica del governo. Non mancano conoscitori dell'amministrazione, ma non sono molti che abbiano la capacità di dare un senso ad un'azione di trasformazione e di riorganizzazione dell'amministrazione che sia idonea a contribuire in modo determinante alla rinascita del Paese. Abbiamo ancora un po' di ore per verificare se Monti avrà prestato attenzione ai temi della funzione pubblica o se sarà nella scelta del ministro competente ancora un'occasione mancata per cui evasione fiscale e corruzione continueranno a correre ed a pensare per un paio di centinaia di miliardi di euro ogni anno sull'economia e sull'immagine del paese.

12 novembre  2011

 

 

Il governo dei tecnici

di Salvatore Sfrecola

 

     Sembra ormai certo che si vada ad un governo tecnico, cioè ad un esecutivo formato da professori universitari, alti dirigenti dell'amministrazione, professionisti con esperienze in vari settori dell'economia e della finanza. È accaduto altre volte che, in un momento di difficoltà, la politica si sia affidata a personalità estranee ai partiti, soprattutto quando avrebbe dovuto adottare misure impopolari delle quali nessuno intendeva assumersi le relative responsabilità.

     Tuttavia l'esperienza dimostra che ci sono tecnici e tecnici, alcuni dotati anche di una elevata sensibilità politica, altri chiusi nella loro esperienza ed impermeabili a quanto proviene dalla società civile, un po' arroganti, inadatti a dialogare con l'apparato amministrativo dello Stato e con le categorie interessate dalle misure che il governo "tecnico” intende adottare. L'esperienza insegna, infatti, che, a fronte di un Lamberto Dini, ministro del Tesoro e poi Presidente del Consiglio, con significative esperienze alla Banca mondiale e la Banca d'Italia, altri hanno dimostrato assoluta insensibilità ed incapacità di guardare lontano. È il caso del Ministro Brunetta, un tecnico la cui mancata comprensione del ruolo è pari all'arroganza che ha caratterizzato la sua azione in un settore delicato della cui importanza probabilmente neppure il Presidente del consiglio si è reso conto.

     Si tratta dunque di capire quale sarà la strada percorribile, sia che venga designato Mario Monti, sia che, per effetto del malessere che percorre la maggioranza, il Presidente della Repubblica ricorra ad altra personalità estranea ai partiti.

     I nomi che si fanno, che probabilmente non sarebbero indicati da Monti, dimostrano che anche gli osservatori che operano nella stampa d'informazione sono condizionati dall'esperienza negativa delle precedenti designazioni tecniche. Per cui, ad indicazioni di tutto rispetto, del tipo di Saccomanni, Direttore generale della Banca d'Italia, si sente ripetere il nome di Franco Bassanini, giurista certamente di valore, sapiente ispiratore di ASTRID, un centro di studi che ha prodotto rilevanti apporti al dibattito scientifico sui temi della Costituzione e dell'Unione europea, ma che da Ministro della funzione pubblica si è dedicato soprattutto ad attuare sue personali idee dell'amministrazione che non l'hanno resa più efficiente.

     In sostanza quel che intendo dire è che la scelta va indirizzata verso tecnici i quali, insieme ad una elevata capacità professionale che consenta loro di proporre con autorevolezza le riforme necessarie, abbiamo anche una sensibilità politica che li porti a individuare la migliore iniziativa possibile, da perseguire in tempi brevi, con ampio consenso ed effetti percepibili dall'opinione pubblica.

     L’auspicio, dunque, è che il futuro Presidente del Consiglio abbia la capacità di individuare i ministri con un criterio che consenta al governo di disporre nelle varie branche dell'amministrazione di guide illuminate ed autorevoli che consentano di uscire dall'attuale difficile situazione restituendo smalto alle politiche pubbliche che negli ultimi anni hanno macinato molte risorse senza che i cittadini abbiano percepito effetti positivi perduranti nel tempo.

     Se questo non avvenisse, sarebbe una sconfitta per tutti, per la politica che ha fatto un passo indietro riconoscendo i propri limiti ed errori di anni, e per il Presidente “tecnico”, che non dimostrerebbe quella capacità di guardare lontano che fa di un tecnico uno statista.

12 novembre 2011

 

 

 

L'alluvione sommerge la credibilità delle istituzioni

di Salvatore Sfrecola

 

     Sarebbe ingiusto gettare la croce addosso a chi oggi amministra comuni, province e regioni, per le disgrazie che hanno colpito nei giorni scorsi Genova e prima ancora altre aree della Liguria e l'alta Toscana, per i morti e le devastazioni. Ma è certo che non si può tacere rispetto ad eventi che, sia pure eccezionali, scontano in buona parte inadempienze recenti e più antiche, nella regolazione dei torrenti ed, in genere, nella tutela del territorio, compresa la tolleranza degli abusi edilizi, colposamente sanati per motivi elettoralistici.

     Lo abbiamo sentito in questi giorni nelle polemiche giornalistiche e televisive nelle quali si è sentito di torrenti cementificati e ridotti nelle dimensioni per fare spazio ad insediamenti che, forse, formalmente legittimi per effetto di disposizioni comunali, sono stati consentiti in aree che hanno violato la natura e messo a repentaglio, come si è visto, l'incolumità della gente.

     E' emerso in modo evidente nel pomeriggio di oggi sia sul Primo canale che sul Cinque per bocca del Sindaco di Genova, Vincenzi, che, in risposta ai cittadini che l'accusavano ed a quanti l'interrogavano da studio, ha ammesso inadempienze e ritardi, non imputabili a sua responsabilità ma alla mancanza di risorse ed alle limitazioni poste dal "patto di stabilità", che non consente di utilizzare risorse pure disponibili (sia pure non in senso contabile).

     Una somma di fatti negativi, dunque. Errori indotti dalla demagogia e disattenzione per le opere di prevenzione. Un dato, questo, che ricorre ad ogni disgrazia di origine naturalistica a dimostrazione che in questo Paese la classe politica, tutta, trascura da sempre le opere che necessarie per mettere in sicurezza il territorio, opere importanti e costose che, agli occhi degli amministratori, locali e nazionali, non portano consensi. Infatti si tratta di interventi destinati a durare nel tempo, mentre si privilegia da sempre ciò che si può inaugurare con grande enfasi nel corso del mandato. E' la politica del "taglio del nastro", che esclude opere irrigue, l'intervento sugli acquedotti, quelli che perdono oltre il 50% della loro portata, e in genere gli interventi di messa a norma di fiumi e torrenti e comunque la prevenzione, anche quella che consiste  nella vigilanza sul corso dei fiumi per individuare eventuali fattori di rischio per una esondazione, ad esempio per l'accumularsi di detriti che possano influire sul corso normale delle acque.

     Stupisce che, di fronte ad una situazione nota a tutti, che torna all'attenzione dell'opinione pubblica ad ogni alluvione, il prode e garbato Giletti, se la sia presa con la burocrazia anziché con la classe politica, quella cui spettano le scelte delle opere da eseguire e che, in fin dei conti è responsabile anche dell'efficienza dell'Amministrazione.

     In ossequio alla verità.

6 novembre 2011

 

 

 

Lo promette il governo, con cinque anni di ritardo

Una garanzia statale sui mutui dei giovani per la prima casa

di Salvatore Sfrecola

 

     Questa sera a Ballarò l'On. Maurizio Lupi, Vicepresidente della Camera ed autorevole esponente del Popolo della Libertà, ha detto che tra le misure che il Governo si appresterebbe ad adottare, nel quadro delle misure per il rilancio dell'economia, ci sarebbe una garanzia dello Stato sui mutui concessi dalle banche a giovani per l'acquisto della prima casa.

     In sostanza, lavoratori precari, che non potrebbero avere un mutuo dalle banche, non potendo offrire idonee garanzie, sarebbero assistiti dallo Stato attraverso una garanzia sul pagamento delle rate del mutuo.

     Ottima iniziativa, ne aveva fatto cenno anche il Ministro della gioventù Meloni.

     Ci auguriamo di vedere presto questa norma (dovrebbe essere inserita nell'emendamento alla legge di stabilità) che, per la verità, era stata immaginata nel disegno di legge sullo Statuto dei diritti della Famiglia elaborato nel corso della legislatura 2001-2006 da una apposita Commissione istituita dal Vicepresidente del Consiglio, Gianfranco Fini, e da me presieduta, una Commissione della quale erano stati chiamati a far parte esperti ed esponenti delle associazioni familiari. La Commissione aveva lavorato in Gruppi di lavoro coordinati dall'Avvocato dello Stato Paola Maria Zerman.

     Abbiamo atteso più di cinque anni. Anni perduti che avrebbero potuto assicurare certezze a tante giovani coppie. Una norma semplice che avrebbe consentito, pur con risorse limitate, di assicurare garanzie ad un significativo numero di mutui.

     Perché non si è fatto prima? Né alla vigilia delle elezioni del 2006, né successivamente?

     Sono i misteri di questa politica che non coglie le opportunità che vengono offerte dall'esperienza che, in questo caso, i  componenti della Commissione avevano messo a disposizione di una iniziativa di grande significato politico e sociale. Disattenzione politica colpevole e suicida.

1 novembre 2001

 

 

 

Se avocassimo allo Stato i beni dei politici

che ci hanno portato sull'orlo del fallimento?

di Senator

 

     La 13ª disposizione della Costituzione stabilisce che “i beni, esistenti nel territorio nazionale, degli ex re di Casa Savoia, delle loro consorti e dei loro discendenti maschi, sono avocati allo Stato”.

     Mi sono sempre chiesto quale fosse la motivazione giuridica e morale di questa espropriazione nei confronti di cittadini italiani ai quali, altresì, una norma eccezionale, successivamente abrogata,  aveva negato il diritto di elettorato attivo, la possibilità di ricoprire uffici pubblici e cariche elettive, nonché l'ingresso e il soggiorno nel territorio nazionale. Mi sono chiesto, in particolare, perché questa norma fosse più severa e limitativa di un diritto che la Costituzione riconosce a tutti cittadini rispetto a quanto previsto per “ i capi responsabili del regime fascista", quanto "al diritto di voto e alla eleggibilità", limitati ad un quinquennio dall'entrata in vigore della Costituzione e comunque da stabilire con legge.

     Anche la eccezionalità della situazione politica ed il timore connesso all'iniziale fragilità della Repubblica non sembrano poter giustificare, al di là della comprensibile limitazione dei diritti politici, l'avocazione dei beni personali di una famiglia la cui storia è indissolubilmente legata alle vicende politiche dell'Italia fino alla conclusione del moto risorgimentale ed alla istituzione del Regno unitario.

     Il ricordo di questa ricorrente riflessione su una avocazione di beni che ho sempre ritenuto e ritengo ingiusta, mi fa pensare alla possibilità di una avocazione, certamente giustificata dagli eventi, da applicare nei confronti dei responsabili dell'attuale classe politica che, avendo trascurato di tenere sotto controllo l'evoluzione della crisi finanziaria internazionale e di predisporre gli strumenti per limitarne quantomeno gli effetti, sono responsabili di un danno notevolissimo arrecato alla finanza pubblica ed all'economia del Paese. Si tratta di una classe di governo che, nella maggior parte dei casi, ha assunto funzioni pubbliche disponendo di scarse risorse personali, quando non ne era completamente priva, la quale, in conseguenza dell'esercizio del potere, si è notevolmente arricchita.

     Questa ricchezza si può definire “profitti di regime”.

     Mi rendo conto che questo non sarà possibile, che una tale decisione potrebbe conseguire solo ad un moto rivoluzionario che nessuno auspica. Ma è certo, che, magari solo con una pubblica iscrizione nel registro delle infamie, i responsabili dello sfascio del Paese dovranno essere consegnati alla storia, a soddisfazione di quanti hanno subito i danni per la scellerata gestione della cosa pubblica ed a monito dei futuri politici, perché sia dato un contenuto effettivo a quella norma della nostra Costituzione, l'articolo 54, secondo la quale "i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”.

     Sono certo che anche questa sanzione morale non sarà attuata, che quanti hanno profittato della loro posizione politica, arricchendosi, potranno godere delle loro ricchezze, e non saranno chiamati a risarcire in qualche modo il danno enorme cagionato allo Stato e alla comunità intera. Anzi è certo, come insegna la storia, che molti di questi cambieranno rapidamente casacca e li troveremo a gestire la nuova realtà politica convinti di essersi rifatti una verginità. Per la cronaca, probabilmente, non per la storia. Che non dimentica.

1 novembre 2011

 

 

 

Renzi contro Bersani

Non è un problema di età ma di idee

di Senator

 

     La polemica che oppone Matteo Renzi, Sindaco di Firenze, a Bersani è certamente generazionale, dei giovani che non sopportano la gestione sclerotizzata di quanti sono abituati, dalla prima Repubblica, ad una guerra di posizione che, come nelle migliori tradizioni militari, in realtà è una guerra “di logoramento”, che colpisce tutti, chi vince e chi perde, chi governa e chi è all’opposizione, dome dimostra la situazione attuale.

     E allora Renzi precisa che soprattutto occorre  "cambiare le facce". Sul palco della “Leopolda” il Sindaco di Firenze ne ha per tutti: “abbiamo capito che ci sono tanti elementi di difficoltà. Però noi pensiamo che sia di centrosinistra dire che questo mondo globalizzato offre molte opportunità al nostro Paese e che alla destra non si può replicare con gli slogan, la conservazione e senza il coraggio”. La tre giorni del “Big bang”, nel quale Renzi si propone leader del centrosinistra, vuol essere innanzitutto bando al pessimismo ed al vittimismo della sinistra. Per Renzi non si vince senza rischiare, proporre ricette innovative, premiare il merito e rottamare “l'egualitarismo” che mortifica “l'uguaglianza”.

     Il messaggio di Renzi è innanzitutto quello del superamento della sterile diatriba tra berlusconismo e antiberlusconismo per guardare al futuro verso la premiership cui ha dimostrato di riferirsi nella finzione scenica, quando si è chiesto cosa farebbe se fosse presidente del Consiglio. Risposte che si sono intrecciate con un dibattito intensissimo via Internet (centinaia di migliaia di contatti via streaming, Facebook e Twitter).

     Ma il Sindaco di Firenze è prudente. “Se uscissimo da qui con una candidatura faremmo un tragico errore”, per cui rinvia ai prossimi tre mesi, quando, aggiunge, “faremo conoscere le nostre proposte in tutta Italia”. Probabilmente anche per vedere se il governo dura. Comunque è pronto a candidarsi.

     Intanto si discute delle “cento idee per l'Italia”, consultabili via Internet, subito stroncate da Bersani che le ha ritenute “vecchie”, degli anni ’80.

    Il cuore post-thatcheriano del Sindaco di Firenze batte forte per liberalizzazioni e privatizzazioni, senza preoccuparsi di mandarle a dire al sindacato, e, però, al tempo stesso, esalta la big society, il terzo settore e l'associazionismo. E' uno schema che sa di "vecchio"? Consentitemi di dubitarne.

     Del leader del Partito Democratico dice “Ha l'età di mio padre”. E di Berlusconi: “ha l'età di mia nonna”.

     La storia, aggiunge, “la scrivono i pionieri non i reduci”.

     Alla Leopolda ha parlato anche Luigi Zingales, economista, una cattedra negli Stati Uniti. “L'Italia non cresce perché è malata - ha detto -. Il male oscuro del Paese è che è governato né dai migliori né dai mediocri, ma dai peggiori. Siamo una "peggiocrazia" e se non ricostruiamo un senso civile e morale, se non sradichiamo il sistema, non abbiamo futuro”.

     In ogni caso da Firenze è venuta una salutare boccata d’ossigeno per un sistema Paese indubbiamente bisognoso di modernizzazione.

     Un consiglio vorrei dare al “giovane Renzi”. Punti su idee nuove e facce nuove, ma non solamente su una rivoluzione generazionale. L’esperienza insegna che vi sono giovani-giovani e giovani-vecchi, anziani vivaci e pronti al confronto ed alla novità, quando l’esperienza non si cristallizza ma genera impegno e stimola il rinnovamento che, non dimentichiamolo, esige piena consapevolezza degli errori passati.

1° novembre 2011

 

 

 

 

 

 

 

 


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