MAGGIO
2010
A proposito della
manovra
Marcegaglia: l'ho
riletta,va aggiunta parola "crescita"
di Oeconomicus
Intervistata al termine dell'assemblea di Bankitalia, a
proposito dell’invito del Presidente Berlusconi di
“rileggere” i testo della manovra, il Presidente di
Confindustria, Emma Marcegaglia, ha detto: durante "Si,
l'ho riletta" e 'la nostra posizione, che viene fuori
anche da quanto ha detto oggi il governatore, e' che la
manovra affronta la riduzione della spesa pubblica, lo fa
con 24 miliardi, e riporta i saldi di bilancio al punto in
cui era necessario"; ma - spiega - "a questo vanno
aggiunte due cose, ossia ridefinire i limiti, i confini
della spesa pubblica, che negli ultimi sei anni è
cresciuta di sei punti di pil, e pensare anche alla
crescita e, quindi, a investire in produttività, ricerca,
e innovazione". Insomma, vanno bene "i tagli alla spesa",
ma è necessario "tornare a parlare del tema della
crescita".
Alla
Marcegaglia "é piaciuto il richiamo alla lotta
all'evasione fiscale. E' un grande tema - ha aggiunto - su
cui lavorare, non per coprire i buchi dei conti pubblici
ma in prospettiva per abbassare le aliquote fiscali che,
per chi paga le tasse, sono troppo alte.
Gli industriali,
dunque, continuano ad essere perplessi sulla manovra. Il
"gelo" nei confronti del Premier che la stampa ha potuto
constatare in occasione della recente assemblea di
Confindustria permane e le ragioni ci sono tutte. Siamo di
fronte ad una manovra monca che non interviene sullo
sviluppo, che non contiene misure capaci di incentivare la
produzione ed i consumi. In sostanza è una rozza manovra
di contenimento della spesa, nella quale "Il ragionier
Tremonti", come si è sentito ripetere nei saloni di
Palazzo Kock, non ha mostrato fantasia, non ha saputo
interpretare a fondo il ruolo di Ministro dell'economia,
quello che hanno saputo fare i colleghi di Francia e
Germania che, a misure di contenimento della spesa hanno
collegati significati interventi in favore della ripresa
dell'economia.
Manca la parola
"crescita", come dice Emma Marcegaglia. Non solo la
parola, ovviamente, che di parole questo Governo ne ha
dette fin troppo in economia, a cominciare da quelle che
nei mesi scorsi ci hanno illuso che fossimo i più virtuosi
d'Europa, ma i fatti, le misure atte a rilanciare
produzione e consumi. Ma in questo settore non ci sono
fondi.
31 maggio 2010
I magistrati verso lo
sciopero
(AGI) - Roma, 31
mag. - Magistrati verso lo sciopero. Contro la manovra
economica del governo. Lo ha confermato il presidente
della ANM Luca Palamara dopo un incontro a Palazzo Chigi
tra l'Associazione nazionale magistrati e il
sottosegretario alla Presidenza Gianni Letta. "Abbiamo
preso atto - ha detto Palamara al termine dell'incontro -
della conferma dei tagli che erano stati annunciati. Fino
a questo momento per senso di responsabilità, avevamo
congelato ogni iniziativa ma ora convocheremo il nuovo
Consiglio direttivo e siamo pronti allo sciopero e anche
ad altre forme di protesta alternative allo sciopero". "I
magistrati - ha aggiunto Palamara - vogliono fare la loro
parte in un momento così difficile per il Paese ma è grave
che si preveda che chi guadagna di più paghi di meno. E'
inaccettabile essere considerati un costo e non una
risorsa.
Ora basta, faremo sciopero ed altre forme
di lotta".
P.S.
In data odierna anche il Consiglio Direttivo
dell'Associazione Magistrati della Corte dei conti ha
votato un ordine del giorno nel quale delibera lo sciopero
della categoria rinviando la decisione in ordine alla
proclamazione dello sciopero ed alle sue modalità ad un
successivo accordo con le altre associazioni dei
magistrati amministrativi (TAR Consiglio di Stato) ed
ordinari.
Compitino per gli studenti del II anno di giurisprudenza
Quale Consiglio dei
ministri ha approvato il decreto legge alla firma del Capo
dello Stato?
di Salvatore Sfrecola
Nella bagarre di questi
giorni, all'inseguimento del testo più verosimile tra i
tanti pubblicati dai giornali, mi sono chiesto più volte
se, una volta definito il testo di quello che possiamo
ritenere una bozza di decreto legge approvato dalla
Consiglio dei ministri nella seduta del 25 maggio, prima
della firma del Capo dello Stato non sarebbe stato
necessario un nuovo passaggio in Consiglio dei ministri.
I decreti legge, ai
quali il Governo ricorre, ai sensi dell'articolo 77, comma
2, della Costituzione nei casi "straordinari di necessità
ed urgenza", sono deliberati dal Consiglio dei ministri in
base all'articolo 92, comma 1, della Costituzione e
secondo le disposizioni dell'articolo 2, comma 3, lettera
c) della legge 400 del 1988.
I decreti sono emanati
dalla Presidente da Repubblica in base alla disposizione
costituzionale dell'articolo 87, comma 5, della
Costituzione. Il potere di controllo presidenziale viene
riconosciuto anche sui decreti legge. Lo ha spiegato alla
Corte costituzionale con la sentenza 406 del 1989.
Il tema
all'attenzione, un compitino per gli studenti del secondo
anno di giurisprudenza, i quali affrontano lo studio del
Diritto costituzionale, è quello della corrispondenza tra
il testo approvato dal Consiglio dei ministri e quello sul
quale il Capo dello Stato appone la sua firma
nell'esercizio di quel controllo di costituzionalità che
portò, ad esempio, il Presidente della Repubblica Scalfaro
a respingere il decreto legge di depenalizzazione del
finanziamento illecito ai partiti, all'epoca di
Tangentopoli ( 5 marzo 1993).
Posto che l'urgenza
della decretazione esige naturalmente i tempi
ristrettissimi, ed essendo logico che i partiti, le parti
sociali e infine il Presidente da Repubblica possono fare
delle osservazioni che inducano il governo a delle
modifiche è logico ritenere che l'originaria deliberazione
del Consiglio dei ministri non sia idonea a sorreggere
formalmente il testo che il Capo dello Stato sottoscrive
perché non è quello deliberato dal Consiglio dei Ministri,
momento procedimentale essenziale nell'iter di formazione
del decreto.
È un problema a
teorico, diranno, molti lettori, ma è un problema
giuridico perché qualche giudice che ritenesse di
sollevare una questione di costituzionalità rispetto ad
alcune norme del decreto-legge potrebbe rilevare, altresì,
che il testo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale non
risulta identico a quello deliberato dal Consiglio dei
Ministri e che deve essere allegato alla verbale del
Consiglio stesso.
Ho detto una
questione teorica, perché probabilmente nessuno la
solleverà mai ma a fini didattici ritengo che gli studenti
del secondo anno di giurisprudenza potranno esercitarsi su
questa ipotesi di illegittimità costituzionale per
giungere alla conclusione che le regole a volte, di
recente troppo spesso, vengono manomesse.
31 maggio 2010
Io,
magistrato della Corte di cassazione
e la
manovra economica
(Da
“Il Messaggero” del 29.5.2010 -
http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=104177&sez=HOME_MAIL)
"Sono un consigliere della Terza
Sezione Civile della Corte di cassazione e sto per
compiere 54 anni. Sono entrato in carriera nel marzo del
1983. Questa settimana, a causa delle notizie sul
trattamento che la manovra fiscale vorrebbe riservare ai
magistrati, ho lavorato con profonda amarezza.
Io, come quelli del mio concorso, mi
troverei nella seguente condizione: il prossimo 19 marzo
2011 maturerei 28 anni di anzianità e, pertanto, dovrei
essere valutato dal C.S.M; se dovessi ricevere una
valutazione positiva, avrei diritto ad una progressione
economica, funzionale anche a ragguagliare il mio
trattamento a quello dei magistrati amministrativi con
equivalenti condizioni di servizio. Invece, sento dire
che, in forza di questa manovra (a parte il previsto
prelievo del 5% o del 10% sullo stipendio e l'esclusione
dell'adeguamento stipendiale agli aumenti già dati al
pubblico impiego nel triennio precedente), se sarò
valutato positivamente, mi sarà sì conferito il relativo
titolo, ma non l'aumento di stipendio.
Nella stessa condizione si troveranno
i colleghi che, a far tempo dal 2011, dovranno subire
valutazioni di professionalità, a cominciare da quelli più
giovani. Anche a loro sarà conferito il titolo se valutati
positivamente e, per la valutazione, dovranno prima
presentare una domanda, un'autorelazione, i titoli. Tutto
questo, però, senza corrispettivo. Io, come gli altri
colleghi che si vedranno riconosciuta la progressione solo
"per la gloria", mi troverò a lavorare con quei colleghi
che hanno conseguito entro il 2010 la stessa valutazione,
ma sarò pagato di meno.
Sono entrato in magistratura, provenendo da
una famiglia di modesta condizione economica, perché
credevo nel valore sociale del mestiere di magistrato.
Sono arrivato giovane in Corte di cassazione (nel 2004),
per concorso, e sono sempre stato soddisfatto ed
entusiasta del mio lavoro (non altrettanto delle
condizioni in cui si svolge, ma questo richiederebbe un
discorso a parte).
Nella mia carriera ho sempre dato
tanto al "mestiere", lavorando sempre anche di
sabato
e, spessissimo, di
domenica,
senza limiti d'orario (e qualcuno voleva metterci pure i
"tornelli"!). Lo stimolo di lavorare in cassazione (la
Suprema Corte!), così come la forte motivazione di far
fronte all'arretrato (ad esempio, in civile la Corte
riceve 30.000 ricorsi all'anno) per rispondere alle
esigenze dei cittadini, ha spinto me e i miei colleghi a
lavorare a ritmi ormai difficilmente sostenibili. Tanto
che quelli più anziani hanno preferito collocarsi in
pensione, lasciando la Corte scoperta di oltre cento
unità, ossia di circa un terzo del suo organico.
Ora sono inquieto. Ho moglie e figli a
carico e la mia è una famiglia monoreddito. Certo, non
sono un impiegato, né un operaio. Sono consapevole che
essi avranno preoccupazioni maggiori delle mie.
Non so, però, se sarà giusto
continuare a lavorare ai ritmi attuali. Non so se sarà
giusto sacrificare – come ho sempre trovato "naturale" per
il "mestiere" di magistrato, perché così insegnatomi dai
colleghi più anziani con cui ho lavorato e lavoro – due
terzi, e talvolta più, delle mie ferie, senza esservi
tenuto per dovere di ufficio.
Credo oggi di interpretare i
sentimenti dei miei colleghi; per questo ho vinto il mio
naturale riserbo di magistrato, spinto anche dalla notizia
che un mio validissimo e noto collega di sezione, di dieci
anni più anziano di me e con quaranta anni di servizio,
proprio oggi si è dimesso dalla Magistratura".
Raffaele Frasca
Consigliere della Corte di cassazione
P.S. Pubblico integralmente la lettera del
Consigliere Frasca perché offre, con serena dignità e
grande senso dello Stato, una testimonianza del disagio
dei magistrati italiani dinanzi alla manovra economica
all'esame del Presidente della Repubblica, ultimo
disconoscimento del lavoro di chi è chiamato ad
amministrare la Giustizia, dopo gli insulti pressoché
quotidiani del Premier e l'aggressione del quotidiano "di
famiglia", Il Giornale, diretto da un grande
giornalista che invecchiando comincia piegare la schiena
assumendo sempre più il ruolo di portavoce del Cavaliere.
Ieri titolava I giudici arrestano la finanziaria,
con un articolo di Alessandro Salustri, un giornalista che
si è fatto notare per il livore e la totale assenza di
serenità con cui interviene nelle trasmissioni televisive.
Nell'occhiello "Minacce e ricatti: i magistrati non
vogliono ridursi i lauti compensi neppure di un euro. Alla
fine la spunteranno, sostenuti da sinistra e Quirinale che
apre un braccio di ferro col governo. E poi parlano di
equità sociale nei tagli".
Sono parole che si commentano da sole. Più realisti del
re, si diceva una volta. Più cavallerizzi del Cavaliere si
deve dire oggi di questi giornalisti, una casta potente e
lautamente pagata, vicina alla politica che è in
condizione di cucire sugli "altri" etichette di ogni
genere purché gradite all'editore "di riferimento".
Ha proprio ragione Longanesi, con la frase che campeggia
in alto, sulla prima pagina di questo giornale, "non è la
libertà che manca, mancano gli uomini liberi!".
Salvatore Sfrecola
31
maggio 2010
La spesa pubblica non va
demonizzata
ma razionalizzata in
relazione alle esigenze
della comunità nazionale
di Oeconomicus
Ricorre sovente in
questi giorni, nei quali il dibattito sulla crisi
finanziaria internazionale preoccupa i governi e l'Unione
europea per la tenuta dell'euro, il richiamo all'esigenza
della diminuzione della spesa pubblica alla quale con il
decreto legge, che peraltro non ancora visto la luce, il
governo intende porre rimedio, tra l'altro, mediante i
famigerati "tagli lineari", cioè con quella riduzione dei
capitoli di spesa che percentualmente colpiscono tutti i
ministeri ed enti pubblici nella stessa misura. Famigerati
perché la medesima riduzione percentuale degli
stanziamenti di bilancio evidentemente non ha gli stessi
effetti su tutti gli enti destinatari di questo
intervento.
Nel complesso,
tuttavia, pur richiamandosi sovente sprechi che si
annidano in varie amministrazioni ed in varia misura, la
polemica sulle dimensioni della spesa pubblica non appare
definita in termini di razionalità con sostanziale
negazione del ruolo dell'operatore economico Stato e
degli enti pubblici da intendersi quale strumento di
gestione dei servizi pubblici e di sollecitazione
dell'economia.
È evidente,
infatti, che la spesa dello Stato e degli enti pubblici
locali e istituzionali non ha come finalità esclusiva o
prevalente quella di pagare gli stipendi, ma di mettere a
disposizione della comunità, dei cittadini e delle
imprese, strutture amministrative destinate a fornire
servizi il cui costo nella maggior parte dei casi
costituisce anche una sollecitazione per l'economia del
Paese. La spesa pubblica che si distingue in spesa di
funzionamento di investimento è in entrambi i casi una
preziosa sollecitazione nei confronti dell'economia.
Infatti, se i servizi resi dalla pubblica amministrazione
nelle attività amministrative, nell'istruzione, nella
sanità costituiscono un vantaggio prezioso per il
cittadino e le imprese, le spese di investimento in opere
pubbliche gestione e manutenzione del patrimonio mettono a
disposizione della comunità nazionale infrastrutture
importanti per le attività economiche e produttive.
Inoltre questi interventi di spesa sono sollecitatori di
forniture nei confronti della pubblica amministrazione,
forniture rilevanti le quali attivano sul mercato o
produzioni spesso importanti. Si pensi per un attimo che
le pubbliche amministrazioni acquistano di tutto sul
mercato interno e internazionale, dalle matite ai cannoni,
tutti i beni e i servizi dei quali le amministrazioni si
servono solo uno strumento di sollecitazione di attività
produttive che altrimenti troverebbero un mercato assai
più ridotto.
Questo profilo
della spesa pubblica, espressione della funzione economica
della pubblica amministrazione è quasi sempre trascurato.
Nelle polemiche contro "Roma ladrona", ad esempio, si
dimentica che molte imprese del Nord non avrebbero un
mercato se non ci fosse l'operatore pubblica
amministrazione in veste di acquirente. Anzi una nota
teoria economica attribuisce alla spesa pubblica, nei
momenti di crisi economica, il ruolo di volano
dell'economia, quando il potere politico si dedica alla
costruzione di reti infrastrutturali, oggi anche di
carattere tecnologico che, oltre a costituire una utilità
per le persone e le imprese, mette in moto un meccanismo
di lavoro e forniture destinato a restituire tono
all'economia nazionale.
Naturalmente
questa nostro riflessione presuppone che le dimensioni
della spesa siano compatibili con l'esigenza di non
aumentare il debito e che, quanto alla qualità, la spesa
sia idonea a perseguire quegli obiettivi di sviluppo che
ad essa vengono assegnati, senza sprechi, senza inutili
interventi e trascurino le effettive esigenze
dell'economia dei servizi sociali.
Da questo punto di
vista la polemica di questi giorni, anzi la polemica che
da tempo conducono alcune forze politiche e in particolare
la Lega a un certo o contenuto di validità in quanto la
selezione della spesa pubblica con criteri di efficienza
di efficacia e di produttività non sembra preoccupare
molto gli odierni governanti i quali evidentemente non
sono in condizione di fare una selezione, tagliando
inesorabilmente quel che non produce e non produrrà,
destinando le non rilevanti risorse verso quegli settori
nei quali vi è una esigenza di carattere sociale da
soddisfare e produzioni da sollecitare.
Alla luce di queste
riflessioni la manovra che si preannuncia appare
assolutamente inadeguata, non riferita ad interventi
strutturali cioè ad individuare riforme organizzative e
procedimentali capaci di ridurre i costi dell'apparato, ma
indirizzata a ridurre la spesa pubblica attraverso un
risparmio a carico delle retribuzioni dei dipendenti
pubblici, mentre le preannunciate riduzioni dei
trattamenti economici retributivi della casta appaiono
poco più che virtuali è comunque in idonei a costituire
una somma di un qualche rilievo nell'ambito delle misure
complessivamente destinati, sembra, a recuperare oltre 25
miliardi di euro.
Insufficiente
appare anche la ribadita necessità di colpire l'evasione
fiscale alla quale si provvede in quasi tutti i paesi
civilizzati norme di AN e aumento dei controlli che pure
vanno fatti ma attraverso delle disposizioni tributarie le
quali dissuada no all'evasione, ad esempio mettendo in
posizione di conflitto virtuale i contribuenti, ad
esempio mediante delle forme di deduzione di spese che
mettano in evidenza il percettore di un reddito che
potrebbe essere occultato. Tutta la vicenda delle somme
non fatturate dimostra che il nostro fisco non ha
individuato, cosa che potrebbe fare agevolmente prendendo
spunto da ordinamenti stranieri sperimentati, forme di
documentazione di attività e di redditi che impediscano di
fatto l'evasione.
Ognuno di noi si è
sentito dire dall'impresa che fa i lavori di manutenzione,
dal piccolo muratore che ristruttura un bagno per passare
ai prestatori di opere ed ai professionisti, medici e
dentisti, eccetera, che la parcella è di una certa
dimensione ma sarebbe inferiore se il cliente rinuncia
alla ricevuta del pagamento. Questo ragionamento che fa
intravedere nel soggetto che spende un vantaggio in
assenza della possibilità di utilizzare in qualche modo la
prova della spesa per ridurre i suoi oneri fiscali e il
reddito consumato, è la dimostrazione palese che il fisco
non ha capito che le deduzioni non sono fatte a scopo
pietistico, come per le spese sanitarie, ma corrispondono
ad una modalità di individuazione dei percettori di
reddito mediante, come già accennato, l'introduzione di un
conflitto di interessi fra chi paga e chi percepisce una
certa somma. È evidente, infatti, che se io fossi nella
condizione di dedurre sia pure in misura diversa, da uno a
100, le spese che effettuo a vario titolo io chiederei
sempre la fattura e tutti chiederebbero sempre la fattura.
Ma se quella somma rimane a carico del contribuente
nonostante sia stata trasferita ad un altro operatore, a
sua volta contribuente, è evidente che non c'è possibilità
di evidenziare il reddito e di comprimere l'evasione.
Le conclusioni di
queste brevi riflessioni, che hanno preso spunto da
un'antica e ricorrente polemica in ordine alle dimensioni
della spesa pubblica, e che c'hanno consentito di fare
qualche considerazione sul sistema fiscale delineano un
quadro sul quale prima o poi un governo serio dovrà
mettere mano per non continuare a subire gli effetti
negativi, politici e finanziari, di un'evasione che si
dice sia dell'ordine di oltre centomila miliardi. Per non
dire delle somme accertate e non riscosse per effetto di
un contenzioso tributario farraginoso che non tutela, se
non altro per i tempi di definizione dei giudizi, i
contribuenti onesti.
Per dirla tutta,
siccome ci rifiutiamo di ritenere che il governo non sia
in condizione, avendo strumenti adeguati a disposizione,
di individuare le aree di spreco, il fatto che non si
intervenga la dice lunga su certe contiguità tra la classe
politica e coloro che sono responsabili di queste zone
grigie dell'amministrazione.
29 maggio 2010
Chi ha visto il decreto legge?
La manovra
fantasma
di Salvatore Sfrecola
Si rincorrono sui
giornali e nelle e-mail che intasano la posta elettronica
delle amministrazioni pubbliche interessate ai tagli. Ma
il decreto legge non vede la luce perché, si mormora nei
corridoi dei palazzi del potere, è soggetto a modifiche,
molto diverse da quegli aggiustamenti o intese che
generalmente accompagnano nel linguaggio dei comunicati
stampa del Consiglio dei ministri la notizia
dell’approvazione di provvedimenti di una certa
complessità e di controversa definizione.
Questa situazione
che, con espressione abusata, è d’uopo definire kafkiana,
solo per non qualificarla sul piano giuridico quale atto
inesistente, se non allegato al verbale del Consiglio dei
ministri del 25 maggio, è un vero e proprio giallo
politico-istituzionale, considerato che nel comunicato
stampa si legge che "il Consiglio ha approvato un
decreto-legge che contiene misure finalizzate alla
stabilizzazione finanziaria e alla competitività
economica". Ha approvato un decreto legge, non delineato i
contenuti di un futuro decreto-legge. In parole povere,
trasparenza e correttezza istituzionale vorrebbero che il
testo fosse conosciuto o conoscibile. Da questo punto di
vista al di là del profilo strettamente giuridico, direi
procedimentale, dell’iter formativo del decreto legge, è
chiaro che si è pervenuti alla predisposizione del
provvedimento urgente senza una preventiva, adeguata
valutazione degli effetti delle misure che il governo
ritiene essenziali nell’attuale momento congiunturale. Il
sostanza, l’attuale situazione dimostra, senza possibilità
di smentita, che il complesso delle misure immaginate non
ha scontato un'adeguata valutazione dell'impatto non tanto
finanziari ma sociale e, in fin dei conti, politico cui
guarda con crescente apprensione il Presidente del
Consiglio il quale sente scendere rapidamente il grado di
consenso sul quale ha costruito il suo successo politico
ed elettorale.
La situazione
conferma quel rilevante grado di inadeguatezza rispetto
alle esigenze, soprattutto se caratterizzate da un
significativo livello emergenziale, dei responsabili
politici e degli staff tecnici che li supportano.
Significa che manca
il monitoraggio della situazione finanziaria, per cui le
mia provocatoria proposta di abolire la Ragioneria
generale dello Stato, e degli andamenti dell’economia che
ogni governo, sulla base anche delle rilevazioni
statistiche, ha il dovere di effettuare sistematicamente.
In sostanza un
governo degno di questo nome non dovrebbe essere colto
impreparato di fronte a fenomeni che si vanno delineando
in un consistente arco di tempo, mai da un giorno
all’altro, mai imprevedibili, come la crescita del debito
rispetto al PIL che richiede misure adeguate per rientrare
nei limiti del "patto di stabilità". Non siamo, infatti,
di fronte ad una emergenza naturale, di quelle capaci di
sconvolgere un paese in modo tale da non avere più punti
di riferimento nei dati economici e finanziari del giorno
prima.
Questo è lo
scenario che denuncia l'improvvisa concitazione con la
quale si corre ai ripari dopo aver detto e ripetuto giorno
dopo giorno, con una insistenza per la verità sospetta,
che tutto andava bene, che il governo aveva provveduto
alle persone e alle imprese, mentre cresceva la
disoccupazione e chiudevano ,una dopo l'altra, centinaia
di imprese, soprattutto nel Nord prospetto e innovativo.
Si è perso tempo, è
certo. Troppo tempo. Si dice che è accaduto anche in altri
paesi, che anche Francia e Germania sono state costrette
ad assumere misure drastiche, anche per cifre superiori a
quelle indicate nella manovra "approvata" il 25 maggio.
La differenza, a
leggere i giornali italiani specializzati e la stampa
francese e tedesca, sta nel fatto che quei governi hanno
approfittato dell'occasione di misure straordinarie a
sostegno dell'euro, per intervenire sulla struttura della
spesa pubblica e sulla sua capacità di incidere sullo
sviluppo economico e sui costi sociali delle rispettive
comunità. Differenza non da poco, anzi essenziale a
dimostrazione che in quelle realtà la classe politica,
assistita da organismi governativi di prim'ordine, è in
condizione di valutare programmare e decidere per il bene
del paese. mentre la tecnica italiana replica rozze
manovre del passato, come quei tagli "lineari" che
certifica l'incapacità di separare il grano dal loglio, la
spesa utile dallo spreco. Per mancanza di elementi
conoscitivi? O per incapacità politica di imporre scelte
razionali? In ogni caso il taglio "lineare" è
intrinsecamente ingiusto, perché colpisce
indiscriminatamente e nella stessa misura, per cui per
alcune amministrazioni i tagli non ha alcun effetto
concreto, mentre per altre potrebbero essere tombali. Così
come il concetto di "ente inutile", destinato alla
soppressione o all'accorpamento, significa molto spesso
ente del quale non è compresa la funzione o che quella
realtà istituzionale non ha trovato un "Lord protettore".
Un quadro
deprimente, di fronte al quale cresce la rabbia degli
italiani, certamente disponibili a sacrifici, purché non
siano richiesti dall'incapacità dei governanti.
28 maggio 2010
OSSERVATORIO EUROPEO
GRECIA, EURO, EUROPA: HAMILTON CERCASI
di Europeus
“Nessun paese, infatti, sia pur minimamente
informato su quella che e’ la natura della nostra
struttura politica, e’ tanto sciocco da stipulare negli
accordi che concedono agli Stati Uniti privilegi di una
qualche importanza quando, da parte sua, deve sempre
prospettarsi l’eventualità che i singoli stati dell’Unione
violino gli impegni assunti dall’Unione stessa“.
(Alexander Hamilton, Il Federalista, saggio 22 “ i
difetti della confederazione“)
Se ha ragione Hamilton, le misure che l’Unione
europea ha deciso non ci allontaneranno da altri calici
amari. Ma prima arrivano, meglio e’. Perché solo così,
l’attuale stato politico ed economico dell’Unione europea
farà il salto verso l’assetto federalista. Hic Rhodus,
hic saltus.
Il Consiglio Ecofin ed il Fondo Monetario
Internazionale hanno deciso un pacchetto di misure per
complessivi 750 miliardi di euro - dando vita ad un
meccanismo denominato per ora di " Stabilizzazione
Finanziaria Europea " - hanno firmato il " creditor
agreement " per la Grecia, e si sono impegnati per la
prima erogazione alla Grecia con scadenza 19 maggio 2010.
L'art. 122.2 del Trattato UE in vigore è stato
utilizzato per la prima volta. La decisione comprende: 60
miliardi di euro a forte condizionalità, nel contesto del
supporto UE/FMI; 440 miliardi di euro come " Special
Purpose Vehicle " dell'UE a complemento dei primi 60; 250
miliardi di euro come facility del FMI.
In questo contesto la Banca Centrale Europea ha
comunicato che a partire dal 10 05 2010: a) condurrà
interventi sul mercato del debito pubblico e privato
dell'euro-area; b) riattiverà le operazioni di provvista
di liquidità in dollari USA.
Il fabbisogno finanziario totale di Grecia, Portogallo,
Spagna e Irlanda nel 2010-2013 ammonta a 722 miliardi di
euro. Fabbisogno che può esser ridotto con interventi
addizionali di consolidamento del debito o di riduzione
del deficit, come Spagna e Portogallo sono stati
sollecitati a fare. Il pacchetto ( 750 mld di euro )
delle misure decise copre comunque il fabbisogno attuale
nel triennio (722 mld di euro ).
Il Meccanismo di stabilizzaziome potrebbe portare
all'emissione di titoli dell'Unione Europea ( eurobond )
ed essere dotato di basi giuridiche tali da farlo evolvere
verso un Fondo Monetario Europeo. In questa prospettiva
le decisioni del 10 05 2010 potrebbero costituire una "
fast track " verso l'unione fiscale ?
Ciò che è successo a Bruxelles il 9 maggio 2010 (e nei
giorni seguenti) è stato oggetto di importanti ed utili
commenti della stampa europea e mondiale.
E’ stato generalmente salutato con grande soddisfazione
per lo `scampato pericolo´ .
Ma la risposta fornita fotografa l´attuale precario
equilibrio politico-istituzionale dell´Unione. Quindi a
medio termine e’ inefficace. Abbiamo comprato un po’ di
tempo, se va bene.
Anche se saranno risolti i problemi politici e
tecnici necessari per portare in tempo utile ad esecuzione
quanto già deciso. Anche se sarà realizzata l’unione
economica proposta da Barroso basata su tre pilastri (
rispetto reale del patto di stabilità, sorveglianza sugli
squilibri macroeconomici, meccanismo permanente di
soluzione delle crisi).
Sta emergendo il problema originario dell'euro: una
moneta unica nello spazio istituzionale attuale europeo è
insostenibile.
Cosa vogliono i mercati? capire se alla fine tutto si
fascia e restano con carta in mano che non vale più niente
o se alla fine tutto si aggiusta ed hanno titoli di un
nuovo capace attore sulla scena multipolare mondiale !
Essi hanno studiato Hamilton: devono capire se, lasciando
più o meno le cose come stanno, distruggeremo
progressivamente il welfare, il lavoro, l’economia reale,
il mercato unico, la finanza e l’euro facendo la fine
dell’Unione sovietica e della Iugoslavia o se passeremo ad
un stato con un unico debito pubblico, con un unico
bilancio ed un unico ministro del tesoro: modello cinese o
modello statunitense ?
La ragione del calcolo ha preso il sopravvento sulla
passione della costruzione negli ultimi trenta anni in
Europa. E l’euro come “ l’uovo del serpente (monetario) “
– usando la metafora di Bergman – e’ stato usato per
incubare divisioni e scontri.
Oggi lo riconosce persino Delors.
Per l’ultima volta nella storia l’Europa può
salvarsi, ma tutta intera. Quale degli stati italiani
preunitari si sarebbe salvato - con un ruolo primario
sulla scena europea - nello scontro tra gli stati europei
nel secolo passato? E quanto avrebbe influito l’Italia se
la sua dimensione ed il suo potenziale non fosse stato
paragonabile ai grandi stati europei? come avrebbe fatto
l’Italia se avesse mantenuto le monete preunitarie? come
avrebbe fatto se non si fosse organizzato come stato
accentrato e con un unico bilancio oltre che con un’unica
moneta? Avremmo avuto Sella, Beneduce, Einaudi per ciò
che essi hanno significato nella storia identitaria
economica italiana?
La rinuncia alla moneta e quindi al tasso di cambio a
chi conviene? E perché? I paesi si indebitano se le
spese superano le entrate. In termini di commercio estero
se un paese importa più beni e servizi di quanti ne
esporta, esso dovrà indebitarsi all'estero. Quindi la
contropartita di un deficit della bilancia dei pagamenti è
un aumento del debito estero.
In teoria per ridurre l'indebitamento estero un paese
ha tre strade: 1) svalutare, misura rapida; 2) contenere
la spesa, misura che richiede tempo; 3) ristrutturare
l’economia reale cioè’ la sua competitività, i suoi costi
di produzione e la produttività, misura che richiede
ancora più tempo, spesso decenni.
La svalutazione sostituisce domanda estera a quella
nazionale, in modo rapido: svalutando il paese rende
immediatamente più costose le merci estere e più
convenienti le proprie, condannandosi però a “valere “
sempre meno. I paesi appartenenti a una unione monetaria
non possono svalutare: possono solo percorrere le altre
due strade.
Il contenimento della spesa migliora i conti con
l'estero riducendo le importazioni: se la gente ha meno
soldi da spendere, spende meno anche in importazioni. Si
producono effetti deflazionistici, minando alla lunga la
stessa capacita’ di crescere e di ripagare il debito, la
disoccupazione aumenta, le imprese chiudono. In teoria,
l'aumento dei disoccupati contiene i salari, e col tempo
le merci nazionali diventano più convenienti e le
esportazioni aumentano: alla domanda nazionale si
sostituisce domanda estera, e le cose tornano a posto. Ma
dopo, anche se riesce questo aggiustamento, la posizione
del paese e’ quasi sempre cambiata in peggio.
Nel trattato di Maastricht sta scritto che con la
moneta unica i paesi dell'eurozona si privano di uno dei
tre strumenti disponibili per riequilibrare i conti con
l'estero, quello più rapido: la svalutazione. Gli altri
due sono lasciati ai singoli stati.
Le condizioni che rendono sostenibile l'adozione di
una moneta unica sono quattro: flessibilità di prezzi e
salari, mobilità dei fattori di produzione, integrazione
delle politiche fiscali e convergenza dei tassi di
inflazione. Il loro ruolo è chiaro alla luce del fatto
che, come abbiamo chiarito, ai paesi che non possono
svalutare rimane solo la strada "lacrime e sangue".
Maastricht ignora le condizioni dettate dalla teoria
economica (flessibilità, mobilità, integrazione fiscale,
convergenza dell'inflazione) e insiste sul debito
pubblico, con l'intento di propugnare la riduzione del
peso dello Stato nell'economia, e di evitare riferimenti
alla reale natura del problema. L'approccio di
Maastricht è ideologico. Adottare una moneta unica in
un'area nella quale essa non è sostenibile impone
surrettiziamente e ideologicamente ai paesi membri una
rincorsa affannosa dei requisiti necessari (flessibilità,
mobilità, ecc.). Il mercato unico ha fatto qualcosa sotto
il profilo della flessibilità, della mobilità e
dell’inflazione. Il mercato unico potrebbe fare di più
sotto il profilo della competitività e produttività. Sotto
il profilo fiscale e del debito pubblico poco, molto poco.
Quando si arriva al debito non ha quasi più alcuna
funzione.
Ecco perché c’è bisogno di un Hamilton europeo: se la
Germania e la Francia e l’Italia e gli altri paesi europei
vogliono essere visti come un tutt’uno dai creditori
internazionali – e pesare nel mondo come tale – devono
mettere assieme debito, fisco e tesoro: il mercato deve
essere sicuro che si salvano tutti assieme, perché sa che
da soli non si salva nessuno di essi.
Il mercato sa che questa l’Unione hamiltoniana è
necessaria all’equilibrio mondiale.
Andando avanti così’, il prossimo tsunami è il crollo
del dollaro. Ecco perché il segretario USA del Tesoro si
affanna a dichiarare che gli Stati Uniti non sono la
Grecia. Ecco perché egli teme che le misure restrittive
dei singoli paesi europei possano portare ad una
situazione “ giapponese “ di deflazione e ristagno in
Europa con l’aggravante della mancanza di una politica
fiscale unica ed al limite di politiche “ beggar my
neighbour “. Gli Stati Uniti hanno bisogno dell’Europa
hamiltoniana.
Il ritorno ad un duopolio instabile USA-CINA, con,
India, Paesi arabi, Sudamerica e Africa che aspettano da
secoli e Russia che aspetta una rivincita renderebbe il
passaggio dal breve monopolio USA già al tramonto al
multipolio carico di incognite e di rischi più gravi forse
di quelli della guerra fredda. Gli USA hanno bisogno
dell’Europa Unita per poter giocare da primus inter pares
nel mondo multipolare e poter dare concrete assicurazioni
ai cinesi che essi non resteranno con un sacco di “
dollar balances “ di cui non sanno più che farsene.
La Cina, proprio in questi giorni, smentendo il Financial
Times, ha fatto sapere che continuerà ad investire nei
titoli di stato dell’area euro. E non è un fatto
congiunturale: “ non mettere tutte le uova in un paniere “
è la regola aurea nel medio e lungo termine.
Il XXI secolo ha più bisogno di Europa. Come diceva
Ronald Reagan ancora non abbiamo visto niente. Né code
tipo crisi del ’29, né suicidi dai grattacieli (purtroppo
qualcosa in Francia ) né crisi diffusa di legittimità
democratica.
Quanto siamo disposti, noi europei, a pagare per
continuare a contare qualcosa?
C’è un prezzo per il futuro? John Ferling in “ A leap
in the dark “ descrive il glorioso “salto nel buio “ dalla
confederazione alla federazione statunitense a partire da
una semplice constatazione: unirsi o perire. I tredici
stati si sono uniti prima col debito, nel fisco e nel
bilancio e poi nella moneta e sono cosi’ diventati 50 ed
il mondo più di due secoli dopo non può fare a meno di
loro.
E’ finito un ciclo, non la storia. La razionalità post
1989 in Europa deve cedere di nuovo alla passione.
Noi europei dobbiamo imparare a saltare ancora nel
buio perché non abbiamo più niente da perdere, se non la
impotenza dei singoli stati.
E tutto da guadagnare: il comune futuro.
28 maggio 2010
Il Cavaliere e il Duce:
la storia pro domo sua
di Salvatore Sfrecola
Preoccupato del consenso, che sente sfuggirgli di
giorno in giorno, per aver negato la crisi troppo a
lungo, senza prendere per tempo misure adeguate a
restituire incentivi allo sviluppo, Silvio Berlusconi
corre ai ripari e denuncia di non avere poteri.
E cita Benito
Mussolini
"Dicono che ho potere - è il brano scelto - non è vero,
forse ce lo hanno i gerarchi ma non lo so. Io so che posso
solo ordinare al mio cavallo di andare a destra o di
andare a sinistra e di questo posso essere contento". Per
far capire alla platea internazionale - il Cavaliere era a
Parigi per la riunione dell'OCSE - che "il potere se
esiste non esiste addosso a coloro che reggono le sorti
dei governi".
Affermazione
all'evidenza assurda, soprattutto per chi dispone in
Parlamento di un'amplissima maggioranza che gli
consentirebbe di modificare leggi e riordinare apparati
dello Stato. Il fatto è che quella maggioranza, che ruota
intorno a lui, è, prima che rissosa, composta in gran
parte di pervenu della politica, spesso giovanotti
e giovinette di bella presenza, il più delle volte senza
arte né parte, con studi molte volte "brevi", che non
hanno fatto mai un lavoro, che non hanno mai amministrato
neppure il condominio della casa dei genitori.
D'altra parte, le
caratteristiche di questa compagine il Cavaliere le aveva
delineate benissimo alla vigilia delle elezioni quando,
reclutando quelli che avrebbe "nominato" deputati e
senatori chiarì che a lui bastava un 30 per cento di
bravi, gli altri li avrebbero seguiti.
Non ha dunque
motivo di lamentarsi il Premier, anche per chi ha portato
al governo del Paese, spesso modestissime personalità di
seconda fila già nei partiti di provenienza.
Se non ha potere,
dunque, è perché non sa esercitarlo, anche per essersi
circondato, fin dal 1994, di yes men, quelli che
piacciono tanto ai potenti che non sanno esercitare
veramente l'arte del comando.
Venendo, poi, a
Mussolini, considerata la citazione storica di dubbia
veridicità perché proveniente dai fantomatici Diari del
Duce, questi di potere ne aveva, tanto da attuare una
sorta di diarchia che, manipolando lo Statuto Albertino,
costringeva Re Vittorio Emanuele III a quotidiane
acrobazie per mantenere la dignità della Corona. Mussolini
aveva addirittura inciso sulla linea di successione al
trono, che sarebbe stata sancita da una deliberazione del
Gran Consiglio del Fascismo.
Ma il tempo è
galantuomo, per cui quando il Gran Consiglio il 25 luglio
1943 votò la restituzione al Re del comando dell'Esercito
Vittorio Emanuele ne ha preso correttamente atto
accogliendo le dimissioni che l'attonito Cavaliere Benito
Mussolini riteneva sarebbero state respinte.
Da Cavaliere a
Cavaliere, il secondo, che sta perdendo a vista d'occhio
consensi, pensi al pensionamento, tanto per lui, l'uomo
più ricco d'Italia, non saranno un problema le norme sulla
falcidia delle liquidazioni che applica, con tanta
soddisfazione ed un pizzico di sadismo, ai lavoratori
dipendenti.
28 maggio 2010
La Ragioneria Generale
dello Stato, un ente inutile?
di Salvatore Sfrecola
Ho scorso l'elenco,
brevissimo, degli enti definiti "inutili" e come tali
destinati alla soppressione il più delle volte mediante
accorpamento ad altri enti del settore, come l'I.S.P.E.S.L.,
Istituto Superiore Prevenzione e Sicurezza sul Lavoro, che
sarà unito all'INAIL.
Non si parla,
invece, della Ragioneria generale dello Stato, ovvero del
Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, come
pomposamente da qualche tempo si chiama quell'antica
struttura del Ministero del tesoro, ora dell'economia e
delle finanze, secondo la regola invalsa negli ultimi anni
per giustificare la moltiplicazione dei posti
dirigenziali.
Naturalmente la mia è
una boutade, una provocazione. Come si fa a considerare
inutile la struttura cardine del controllo finanziario
dello Stato, del controllo interno, parte essenziale
dell'Amministrazione pubblica?
Invece è proprio
così. A sentire i funzionari della Ragioneria,
che si articola in uffici centrali del bilancio presso le
singole amministrazioni (un tempo si chiamavano Ragionerie
centrali, chissà perché le hanno cambiato nome!) questi
Uffici hanno un controllo contabile su tutte le operazioni
di gestione del bilanci. La Ragioneria, inoltre, dispone
di un centro di elaborazione dati sofisticatissimo. L'ho
visitato al La Rustica qualche anno fa (ma non so se è
ancora in funzione), una struttura avveniristica,
superprotetta, una specie di Fort Nox nostrano, sigillato,
a prova di bomba. Ricordo che chi mi guidava raccontava
con orgoglio che l'allarme era scattato perché d'inverno
sul muro di cinta si era posata una certa quantità di neve
il cui peso aveva attivato l'allerta.
Cose da fantascienza, come
i grandi schermi, immensi, sui quali venivano registrate
tutte le operazioni di tesoreria in entrata e in uscita,
in tempo reale, mi disse orgoglioso il funzionario che mi
illustrava la grande opera dell'ingegneria informatica. E
in effetti sui maxischermi comparivano linee colorate che
continuamente davano conto dell'andamento della gestione
del bilancio e della tesoreria.
E non finiva qui.
Quel "cervellone", mi fu detto, disponeva delle serie
storiche dei bilanci delle regioni, degli enti locali e
degli enti pubblici variamente denominati ma gestori di
denaro del cittadino. Lì, con orgoglio, si poteva
conoscere tutta la storia passata e presente della finanza
pubblica e prevederne l'evoluzione.
A parte questa
miracolistica informatizzazione, da quando lo faceva sui
libri mastri, la Ragioneria ha il conto degli impegni,
cioè delle somme che le amministrazioni accantonano a
seguito di obbligazioni "giuridicamente perfezionate",
come dice la legge.
Di più, la
Ragioneria, attraverso i suoi uffici nei ministeri ed i
sindaci o revisori negli enti pubblici controlla la spesa,
giorno dopo giorno. Non solo, ma riceve dalle
amministrazioni statali le proposte per la formazione del
bilancio di previsione, che valuta e assembla.
A questo punto mi
chiedo come sia sfuggita alla Ragioneria la pletora degli
sprechi nelle pubbliche amministrazioni, quelle spese
inutili che oggi pesano e per rimediare ad esse una parte
degli italiani sono stati chiamati a pesanti sacrifici.
Delle due l'una. O
la Ragioneria non tiene i conti, non li controlla e non è
in grado di valutare la "proficuità" della spesa, come sta
scritto nella legge di contabilità del 1918, il regio
decreto n. 2440, e allora va abolita come "ente inutile",
oppure la Ragioneria mette in preallarme il Ministro
dell'economia che non è in grado di eliminare gli sprechi.
In questo caso la colpa è del Ministro Tremonti.
Di chiunque sia la
colpa, è possibile che gli sprechi si sono accertati solo
oggi, perché giorno dopo giorno, come farebbe una famiglia
virtuosa o un'impresa seria, non sono state eliminate le
spese inutili? Era necessario giungere sull'orlo
dell'abisso per chiedere ad una parte degli italiani
sacrifici durissimi per mettere riparo agli errori o alle
omissioni di funzionari e politici?
Un'ingiustizia di
queste dimensioni, che colpisce aspettative spesso
collegate a spese effettuate, l'acquisto della casa,
l'avvio di un'attività commerciale o professionale per i
figli, le spese per l'istruzione superiore e
universitaria, l'auto nuova, non potrà non lasciare un
segno nei rapporti con la classe politica e con le
istituzioni.
E per concludere,
se è stata la Ragioneria ad omettere rispetto al suo ruolo
tradizionale come definito nelle leggi aboliamola. Il
risparmio sarà consistente, diretto, uomini e strutture, e
indiretto, i gettoni di presenza degli inutili revisori
dei conti.
Se, invece, come
credo, l'errore lo hanno fatto i politici che non hanno
ascoltato la voce dei ragionieri questi signori vanno
mandati a casa insieme al patetico onorevole Lupi, che
Berlusconi spedisce in televisione per difendere
l'indifendibile politica dell'esecutivo con argomenti da
avvocatello alle prime armi, un difensore d'ufficio che
dimostra agli occhi della gente tutta l'incnsistenza delle
sue argomentazioni.
26 maggio 2010
Sacrifici sì, ma via i
responsabili dello sfascio
di Senator
Accade alla squadre
di calcio, accade alle società, accade agli stati. L'11
che non fa gol, l'impresa che non fa profitti, lo stato
con deficit e debito pubblico. Ma, mentre la società di
calcio liquida l'allenatore e l'impresa in difficoltà
cambia gli amministratori, non sempre gli elettori mandano
a casa i responsabili dello sfascio dei conti pubblici.
O, meglio, non li
mandano a casa subito, per quella vischiosità del mondo
politico che rallenta il ricambio e, soprattutto, quando
manca l'alternativa, quando l'opposizione non si presenta
agli occhi dell'elettorato come credibile per sostituire
il governo in carica.
Tuttavia il
problema è questo. Chi ha sbagliato, anche solo per per
aver omesso di assumere per tempo le misure che avrebbero
potuto se non evitare quanto meno ridurre effetti della
crisi. Per far questo sarebbe stato necessario, quando si
sono presentati all'orizzonte dell'Italia e di altri paesi
segnali non equivoci di una crisi economica indotta non
solo da speculazioni finanziarie internazionali ma dallo
squilibrio nei rapporti interni tra produzione, lavoro,
risparmio.
Viviamo al di sopra
dei nostri mezzi, dice più d'uno. E' vero, ma dov'erano i
governi, al centro ed in periferia? Cosa hanno fatto,
quali misure hanno adottato quando si sono resi conto di
questa realtà? O non se ne sono resi conto?
Comunque hanno
sbagliato. E' innegabile. E come avviene nelle squadre di
calcio e nelle società, l'"allenatore" va cambiato.
All'interno della maggioranza o all'interno della classe
politica. Non c'è soluzione diversa.
Ciò perché
evidentemente chi è stato al timone non ha saputo condurre
la barca verso una navigazione sicura, dove il lavoro sia
assicurato a quanto più cittadini è possibile, dove le
famiglie possano svolgere il loro ruolo di fonte di
capitale sociale, cioè di gestione del ruolo essenziale
che la Costituzione assegna loro, fare figli, educarli ed
istruirli ad essere cittadini e lavoratori. E, poi, la
famiglia che consuma, così sostenendo la produzione, e
risparmia.
Poi il turismo, la
nostra grande, unica vera industria sempre potenzialmente
attiva, abbandonata dalla classe politica che non ha
assicurato infrastrutture e servizi, che non riesce
neppure a controllare il ristoratore che serve cibi
scaduti, che presenta un conto assurdo e via dicendo.
Troppe omissioni,
troppi errori. Colposi, gravemente colposi.
25 maggio 2010
La legge anticorruzione
sotto la lente dei magistrati contabili
Per
iniziativa del Gruppo "Rinnovamento" dell'Associazione
Magistrati della Corte dei conti si è tenuta questa
mattina la preannunciata Lectio legis, cioè una
lettura a più voci del disegno di legge recante:"
Disposizioni per la prevenzione e la repressione della
corruzione e dell'illegalità nella pubblica
amministrazione".
Nella prestigiosa Aula "Bonadonna" della sede centrale
della Corte in viale Mazzini Salvatore Sfrecola,
Segretario del Gruppo e Vice procuratore generale della
Corte dei conti ha aperto i lavori sottolineando come
l'iniziativa sia diretta ad una riflessione utile al
dibattito parlamentare con approfondimento delle singole
disposizioni del disegno normativo che prevede interventi
sulle amministrazioni dello Stato e degli enti locali,
chiudendo con norme che aggravano le pene previste dal
codice penale.
Dopo un indirizzo di saluto di Angelo Buscema, Presidente
dell'Associazione Magistrati, Fiammetta Palmieri,
Magistrato di Tribunale, addetta al Dipartimento per gli
affari giuridici e legislativi della Presidenza del
Consiglio dei Ministri, ha illustrato il disegno di legge
“anticorruzione”, oggi Atto Senato n. 2156, mettendo in
risalto i profili di novità rispetto alla precedente
legislazione.
Andrea Altieri, docente di diritto amministrativo - Link
Campus University of Malta, Avvocato di CONSIP si è
soffermato sul profilo della trasparenza nei contratti
pubblici presentando alcune proposte dirette ad evitare
interferenze politiche nella nomina delle commissioni di
aggiudicazioni e delle commissioni di collaudo.
Alessandro
Botto, Consigliere di Stato, Consigliere dell’Autorità per
la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture si è soffermato sul ruolo dell’Autorità
segnalando l'esigenza che non siano inutilmente aggravate
le procedure e mettendo in evidenza la necessità che le
notizie in possesso della banca dati siano accessibili a
tutti, evitando l'applicazione delle norme sulla privacy
quando non necessarie.
Ennio Colasanti, Consigliere della Corte dei conti,
Sezione relazioni internazionali ha illustrato l'apporto
delle regole dell'INTOSAI e dell'Unione Europea nella
regolarità dei conti e delle gestioni.
Laura Lunghi, Avvocato, cultore di diritto amministrativo
presso la Facoltà di Giurisprudenza de "La Sapienza", del
Gruppo Intesa San Paolo ha parlato della Banca Dati
nazionale dei contratti pubblici e delle prospettive che
può apportare alla trasparenza dell'azione amministrativa.
Tra l'altro auspicando una banca dati comunitaria.
Nel dibattito ha preso la parola, tra gli altri, il
Presidente Maurizio Meloni, Presidente delle Sezioni
Riunite in sede di controllo che ha rivendicato il ruolo
della Corte dei conti nell'approfondimento delle gestioni
ai fini del monitoraggio dei fenomeni di malagestione.
Salvatore Sfrecola, traendo le fila del dibattito ha dato
appuntamento a tutti alla ripresa autunnale con un
convegno di studio che consenta un confronto tra operatori
economici, funzionari dell'Amministrazione, docenti
universitari e magistrati delle varie giurisdizioni.
Ai presenti è stato rilasciato un attestato di
partecipazione.
24 maggio 2010
La crisi nello sfascio
dell'Amministrazione e della Giustizia
di Salvatore Sfrecola
Ho lasciato il
titolo un pò forte del nostro amico Senator perché
alcune sue considerazioni mi danno lo spunto per
riflettere ad alta voce su alcuni aspetti della crisi
finanziaria ed economica che preoccupa gli italiani, non
solo quelli che subiranno i tagli di stipendio, dei quali
parla con dovizia di particolari il Corriere della Sera
insieme alle altre misure preannunciate che si leggono sul
sito web del quotidiano.
Cominciamo
delineando il quadro di riferimento, per capire bene.
L'Amministrazione
pubblica è lo strumento del Governo per realizzare il
programma della maggioranza, proposto all'elettorato e
convalidato dal voto. Il Governo nazionale, come i governi
di regioni, province e comuni operano attraverso gli
strumenti normativi approvati dal Parlamento e per mezzo
di impiegati pubblici che rendono servizi, dispongono
pagamenti in favore di persone fisiche ed imprese,
riscuotono imposte e tasse.
Se ne deve dedurre
che, in un paese ben ordinato, la classe politica al
governo deve riservare la massima attenzione all'apparato
amministrativo perché dirigenti, funzionari ed impiegati
sono lo strumento per governare. Un'attenzione che si
realizza attraverso la messa a punto di strumenti
operativi adeguati alle esigenze e di uomini preparati
professionalmente e messi in condizione di lavorare e di
perseguire gli obiettivi stabiliti dalle leggi e precisati
dalle direttive politiche. Questi uomini vanno motivati,
ne va riconosciuto l'impegno lavorativo che deve essere
premiato quando merita. Contestualmente gli incapaci ed i
fannulloni devono essere puniti.
Accade, invece,
che, avendo trovato l'Amministrazione in condizioni non
ottimali, l'attuale classe politica di maggioranza, di
cultura prevalentemente privatistica, invece di sentire il
bisogno di rendere l'apparato idoneo all'obiettivo di
costituire strumento di miglioramento dei servizi resi
alla comunità, si è esibita in una costante denigrazione
del pubblico soprattutto agli occhi degli italiani.
Contestualmente un
sistema di spoil system esasperato, ancora di
recente censurato dalla Corte costituzionale (sentenza 5
marzo 2010, n. 81, commentata da Paola Maria Zerman
sull'ultimo fascicolo, il n. 5, di Diritto e Pratica
Amministrativa, il mensile de Il Sole-24 Ore),
ha reso la dirigenza pubblica precaria e, soprattutto,
subordinata al potere politico. Il Ministro, il Presidente
della regione, il Sindaco scelgono il dirigente,
stabiliscono il tempo della loro permanenza nella
funzione, determinano l'ammontare del loro trattamento
economico. Sono le stesse autorità politiche che dovranno
rinnovare la fiducia nel funzionario di lì ad un tempo
breve (di solito tre anni), sicché l'indipendenza del
dipendente "al servizio esclusivo della Nazione", come
dice l'art. 98 della Costituzione è stata beffata.
Le conseguenze sono
gravissime e si notano in questa stagione nella quale le
cronache sono piene di riferimenti a sprechi paurosi, a
ruberie a corruzione, tanto che il Governo è ricorso ad un
disegno di legge, del quale parleremo domani alla Corte
dei conti con alcuni esperti per cercare di analizzarne
pregio e difetti e rendere al Parlamento, che si appresta
ad iniziarne l'approfondimento, qualche utile suggerimento
indotto dall'esperienza di avvocati, dirigenti,
magistrati.
Una classe
politica con senso dello Stato si sarebbe avvalsa di
un'Amministrazione efficiente per rilevare ed eliminare
gli sprechi, per evitare ruberie e corruzione.
Una classe politica
che sente il Premier quotidianamente disprezzare
l'Amministrazione e vilipendere i magistrati è, invece,
indotta a sentirsi libera di profittare degli sprechi, che
interessano molte aziende produttrici di beni e fornitrici
di servizi, e magari di esercitarsi in concussione e
corruzione. Per cui la riforma vera della Giustizia
attende e quel che si fa aggrava il lavoro di giudici e
pubblici ministeri che in questo modo appaiono agli occhi
degli italiani inefficienti e concausa dello sfascio.
Diciamoci le cose
come stanno. Se l'Italia si trova in condizioni molto
vicine a quelle della Grecia molto è dovuto all'incapacità
della classe politica tutta, di destra e di sinistra, che
si è alternata al potere in questi anni, di prevedere e
prevenire le conseguenze di crisi economiche interne ed
internazionali. E questa incapacità deriva dall'aver
mortificato l'Amministrazione, cioè di essersi privata
degli occhi e degli orecchi per vedere ed ascoltare,
nonché delle mani per operare.
Chiacchiere se ne
sono fatte tante. Annunci, pure. Gli italiani li hanno
presi per buoni ma di fronte all'evidenza non c'è più
alcun dubbio. Non si è fatto quanto si poteva fare per
mettere il Paese al riparo degli effetti. Come in
medicina, anche in politica la prevenzione premia. Ha solo
un limite agli occhi di politici modesti, non desta
clamore, non produce consenso immediato. E questo per la
classe politica di oggi è un difetto grandissimo. Così
siamo seduti sull'orlo del baratro e continuiamo a sentire
slogan ripetitivi e all'evidenza privi di ancoraggio con
la realtà
Se si vuole
governare la crisi si devono mettere le mani nelle tasche
degli italiani. Non aumentando le tasse, evidentemente, ma
limando stipendi e riducendo servizi. Formalmente la
promessa del Premier è mantenuta. Nella sostanza è una
stangata!
23 maggio 2010
Il Premier non teme il
ridicolo
Annuncia niente mani
nelle tasche degli italiani, solo dei dipendenti pubblici!
di Senator
"E' assolutamente
falso che sia alle viste un aumento delle imposte'' ha
affermato ieri il Presidente del Consiglio, Silvio
Berlusconi, in un messaggio registrato ai Promotori
della Libertà. ''Non verranno toccate - precisa il
Premier - né la sanità né le pensioni, né la scuola né
l'Università. E' sicuro invece che il governo continuerà a
mantenere i conti pubblici in ordine con una politica
prudente, coniugando il rigore con l'equità e il sostegno
alo sviluppo. E ripeto: non aumenteremo le tasse. Non
metteremo le mani nelle tasche degli italiani''.
"Cercheremo invece con ogni mezzo - spiega Berlusconi
- di combattere le spese eccessive e di combattere
l'evasione fiscale. Sino ad oggi siamo riusciti a tutelare
le famiglie, i ceti più deboli, le imprese (soprattutto
quelle piccole e medie) con provvedimenti mirati, concreti
ed efficaci. Continueremo a farlo nei limiti delle
possibilità di bilancio portando avanti la politica di
buon senso degli ultimi due anni, con una gestione
economica che mantenendo in ordine i conti pubblici ha
messo il nostro Paese al riparo: un merito che ci è stato
riconosciuto internazioalmente da tutti, anche dai più
severi osservatori".
Dal canto suo il Presidente del Senato, Renato
Schifani, parlando a margine di una manifestazione a
Buonconvento (Siena), ha affermato
che se qualche
sacrificio verrà chiesto agli italiani "sicuramente sarà
graduato su livello sociale per calibrarlo. Qualche
sacrificio dovrà essere chiesto a chi se lo può
permettere". . Commentando la prossima manovra finanziaria
ed economica, Schifani ha ribadito che "sarà
significativa" ma si è detto certo che "si interverrà
sulla contrazione della spesa pubblica e in particolar
modo su quella non produttiva".
Qualche commento.
L'ipocrisia sta nel dire che non aumenteranno le tasse,
quando è previsto, a leggere il Corriere della Sera,
una significativa falcidia degli stipendi dei pubblici
dipendenti. Non solo degli amministratori e dei
collaboratori (la notizia dei 289 mila euro per il Capo di
Gabinetto del Sindaco Alemanno ne è scandaloso esempio) ma
dei dirigenti e dei funzionari sui quali incombono
responsabilità, prova ancora della lontananza del Premier
e della classe dirigente politica che lo circonda da una
consapevolezza del ruolo delle istituzioni, che, infatti,
non hanno saputo prevedere e frenare il dissesto del
settore pubblico. In queste condizioni è difficile pensare
alla ripresa dell'Amministrazione e ad un suo ruolo per la
ripresa e la lotta all'evasione fiscale.
23 maggio 2010
Solidarietà e
responsabilità
di Salvatore Sfrecola
La situazione
finanziaria e quella economica del Paese richiedono
sacrifici a tutti, soprattutto a chi dispone di redditi
più alti.
Oggi il Corriere
della Sera a pagina 8 illustra la manovra nei
contenuti di cui si ha notizia, secondo ipotesi
verosimili, stile Grecia, considerato che per avere un
senso la manovra deve compire un po' tutti in misura tale
da portare nelle casse dello Stato i miliardi di cui c'è
bisogno per sostenere l'euro e non aumentare il deficit.
Tutti
dobbiamo concorrere . Questo diffuso senso di
responsabilità non ci può, tuttavia, impedire di fare
alcune considerazioni di ordine generale: fino all'altro
ieri ci è stato detto che tutto andava bene, che il nostro
Paese era il più virtuoso dell'Europa, forse del mondo,
che stavamo lontano dalla condizione della Grecia. Ma
adesso adottiamo le stesse misure.
Stanno male anche la Germania e gli
Stati Unici d'America. Mal comune mezzo gaudio?
Mi chiedo chi ha consentito si
giungesse sull'orlo del precipizio senza prevederlo, senza
adottare misure anticipate di salvaguardia a tutela
dell'economia. E chi ha consentito negli anni che gli
sprechi nelle pubbliche amministrazioni continuassero
impuniti, che il malgoverno degli enti alimentasse la
corruzione che oggi viene alla luce per alcune inchieste
della magistratura.
Non mi
riferisco a questo a quel governo, al centro ed in
periferia, ma mi sembra amara constatazione che la classe
politica tutta non è stata all'altezza del compito, non ha
saputo guardare al di là del proprio naso e dei propri
interessi ben curati (indennità, case comprate o
ristrutturate, conti all'estero).
Sempre dal Corriere della Sera
abbiamo appreso che il Capo di Gabinetto del Sindaco di
Roma "gode" di una indennità di 298 mila euro l'anno
(immagino oltre allo stipendio di magistrato). Ed altri 49
collaboratori del medesimo Sindaco "godono" anch'essi di
sostanziose indennità, mentre il comune è in grave deficit
e l'unica entrata certa è data dalle multe per divieto di
sosta.
Per educazione, per cultura, oltre che
per professione, uomo "delle istituzioni" non posso fare a
meno di esternare queste mie perplessità perché quel che
ci è capitato sulla testa non è dovuto al Fato, ma
all'incapacità e disonestà degli uomini. Incapacità di
prevedere e prevenire, di guardate alle prossime
generazioni anziché alle prossime elezioni, come diceva De
Gasperi individuando in questa capacità di guardare al
futuro il tratto distintivo degli statisti rispetto ai
politici.
Attenzione, poi, al dibattito
parlamentare, perché siamo stati abituati ad emendamenti
"della maggioranza" che completano la volontà del governo
come consegnata nel decreto legge.
22 maggio 2009
Il Presidente della
Commissione Europea, Barroso, in visita al Gran Maestro
dell'Ordine di Malta
Roma, 21 mag. - (Adnkronos) - Il presidente
della Commissione Europea Jose' Manuel Barroso, illustra a
Roma il suo programma contro la disoccupazione in Europa,
con l'obiettivo di ''ridurre del 25 per cento il numero di
quanti sono esposti alla povertà e all'esclusione sociale'',
obiettivo, ha precisato, ''parte integrante della
strategia economica che la Commissione Europea sta
mettendo a punto per i prossimi 10 anni'', oltre che
impegno comune con l'Ordine di Malta che con i suoi 900
anni di vita e' ''la prima organizzazione umanitaria della
storia''.
Nella sua visita all'Ordine di Malta,
questa sera, Barroso e' stato insignito del ''Collare al
Merito melitense" dal Gran Maestro Fra' Matthew Festing,
''per il grande impegno e la profonda competenza con i
quali dal 2004 svolge il delicato incarico di Presidente
della Commissione Europea e per l'attenzione che ha
riservato all'Ordine di Malta sostenendone le attività con
profondo spirito umanitario''. Durante i suoi colloqui
sono stati ribaditi anche la volontà di rafforzare la
cooperazione sanitaria e umanitaria fra la Commissione
europea e l'Ordine di Malta (progetti umanitari congiunti
sono in corso in Congo, Tailandia, Cambogia e Myanmar) e
di collaborare alla tutela dei Luoghi santi e al dialogo
inter-religioso.
La cerimonia, che ha avuto luogo nella
Villa Magistrale a Roma, e' stata seguita da una cena di
gala alla quale hanno partecipato un centinaio di
ambasciatori e personalità delle istituzioni italiane tra
le quali il ministro per le Politiche europee Andrea
Ronchi, e vaticane come il presidente del Pontificio
consiglio per il Dialogo interreligioso, cardinale Jean
Louis Tauran.
Nel corso di una ''crisi economica e
finanziaria senza precedenti'' e durante l'Anno europeo
della lotta alla povertà' e all'esclusione sociale, ha
ricordato il Presidente, l'impegno per la creazione di
posti di lavoro e per una ''occupazione qualificata'' dei
cittadini europei e' una priorità dell'Unione europea.
''Non si possono chiudere gli occhi - ha detto - di fronte
alla sorte di 80 milioni di nostri concittadini poveri,
dei quali 19 milioni di minori''. L'Ordine di Malta e
l'Unione europea devono ''opporsi con determinazione e
soprattutto con i nostri valori'' ai disvalori creati
dalle crisi economiche che ''offrono un terreno fertile al
populismo, al ripiegamento su se stessi e all'egoismo''.
''Contro la precarietà e l'ingiustizia - ha detto -
occorre più che mai mobilitarsi con gli ideali di
giustizia e di solidarietà che animano il vostro Ordine''.
A proposito della nuova
disciplina delle intercettazioni
Una lezione dagli U.S.A.
un avvertimento per il
Premier
di Iudex
Severa lezione di politica criminale del
Sottosegretario U.S.A. alla Giustizia, Lanny Breuer, in
Italia per partecipare alle commemorazioni per Giovanni
Falcone: "Nessuna norma ostacoli l'ottimo lavoro dei
magistrati italiani. Grandi passi avanti nella lotta alla
mafia". Per l'Amministrazione Obama le intercettazioni
telefoniche sono uno "strumento essenziale delle indagini"
che non va indebolito. "Non vogliamo che succeda niente
che impedisca ai magistrati italiani di continuare a fare
l'ottimo lavoro fatto finora", ha affermato il
vice-sottosegretario del Dipartimento Penale Usa con
delega per la lotta alla criminalità organizzata,
Nel corso di un incontro con la stampa
all'ambasciata americana a Roma, Breuer ha ricordato
l'"ottimo livello di cooperazione" con la giustizia
italiana. "Sono cosciente del fatto che contro la
criminalità possiamo e dobbiamo fare di più".
L'esponente
del governo americano non ha inteso in alcun modo entrare
in valutazioni di merito sulla legislazione italiana in
materia di intercettazioni che ha esplicitamente
dichiarato di "non conoscere", ma ha dato una indicazione
sulla quale, peraltro, concordano tutte le persone di buon
senso.
Una cosa sono le
intercettazioni utili alle indagini, altra cosa sono gli
abusi dei giornali che pubblicano notizie riservate o non
funzionali alle esigenze della polizia e della
magistratura. Per queste rileva la regola della privacy,
non per tutto ciò che è funzionale alla repressione dei
reati.
Purtroppo il
Presidente del Consiglio, Berlusconi, il il Ministro
della Giustizia, Alfano, confondono le due esigenze perché
l'intento palese è quello di depotenziare le indagini
giudiziarie. Lo dimostra se non altro la circostanza che
il Cavaliere ha annunciato l'iniziativa limitativa delle
intercettazioni in un convegno di industriali, laddove si
annidano corruttori e concussi, ricevendo un applauso da
stadio.
Infine, la presa di
posizione del sottosegretario U.S.A. induce anche ad altra
riflessione. Forse il Presidente americano, "giovane e
abbronzato" ha voluto manifestare ancora una volta la
scarsa simpatia per il Cavaliere, troppo effervescente per
il costume governativo americano, con troppe amicizie
"pericolose", come il sovietico Putin con il quale
l'Italia fa affari che urtano la sensibilità d'oltre
oceano.
O, forse, Obama
vede il Cavaliere avviarsi a grandi passi sul viale del
tramonto.
21 maggio 2010
Tremonti non metterà le
mani nelle nostre tasche ma avremo tutti meno servizi
Si delinea una
finanziaria di sacrifici, ma non per tutti
di Oeconomicus
Non metteremo le
mani nelle tasche degli italiani, assicura il Ministro
dell'economia, Giulio Tremonti, sarà una finanziaria di
tagli alla spesa pubblica. L'affermazione non può
tranquillizzare in quanto lavorare sulla spesa pubblica,
necessario da tempo, non è facile perché la spesa
improduttiva si annida nelle pieghe dei bilanci, dello
Stato e degli enti pubblici, da quelli istituzionali a
quelli del servizio sanitario nazionale (quelle che adesso
si chiamano "aziende") e la selezione della spesa non è
facile, soprattutto non è da fare in poche settimane. Ne
consegue che i tagli non saranno selettivi ma orizzontali,
tot per ogni ente così da colpire, come è accaduto in
passato, tutti indistintamente con conseguenze scarse per
alcuni e gravi o gravissime per altri.
Non metteremo le
mani nelle tasche degli italiani, dice Tremonti, ma
taglieremo molti servizi, soprattutto nello stato sociale,
così i cittadini non pagheranno più tasse ma saranno
costretti a rinunciare a molti servizi o a pagarli di
tasca propria.
E' inevitabile che
accada così, che la spesa pubblica ridotta colpisca
soprattutto la sanità, dove si annidano gravissimi
sprechi, la scuola, i trasporti, ecc. Ma non saranno
necessariamente ridotti gli sprechi proprio per la
rozzezza della manovra che si preannuncia. Non è un
processo alle intenzioni. E' quanto è accaduto finora
tutte le volte che i governi, di destra e di sinistra, si
sono impegnati a tagliare la spesa pubblica.
A questo punto
s'impongono alcune domande e considerazioni. Chi ha fatto
deteriorare la situazione, chi non ha previsto, pur avendo
la possibilità di monitorare l'andamento della finanza
internazionale e dell'economia interna? Chi ha
sottovalutato i segnali che provenivano da altri paesi e
dagli indicatori dei vari fattori dell'economia?
Non basta dire che
altri hanno sbagliato e stanno, forse, peggio di noi. Gli
statisti degni di questo nome prevedono e corrono
tempestivamente ai ripari. Non è da ieri che l'economia dà
segni di rallentamento, che la gente non compra e non
risparmia come faceva una volta, mentre le imprese
chiudono e in migliaia perdono il lavoro, cioè escono dal
mercato dei consumi. Con la conseguenza che la produzione
rallenta e si perdono altri posti di lavoro. Il rapporto
tra i vari fattori dello sviluppo dell'economia e della
finanza è noto e non richiede grandi menti perché siano
delineati i termini della crisi rispetto alla quale
l'ottimismo è di rigore per evitare che la gente cada
nella disperazione, ma intanto il governo deve lavorare ed
adottare le misure idonee a restituire alla gente fiducia
e risorse.
Non c'è dubbio che
in molti abbiano sbagliato in Europa e nei singoli paesi.
I responsabili se ne devono andare a casa, come accade in
una società il difficoltà. Si cambiano gli amministratori.
In politica si cambiano le maggioranze o il partito o la
coalizione al governo cambia uomini.
Anche gli italiani
si attendono qualche segnale significativo. Deve saltare
qualche testa, a cominciare da quella di chi non si è
dimostrato all'altezza del ruolo. Il Presidente del
Consiglio deve capire che non si governa con amici,
compagni di scuola, amici degli amici. Servono doti
politiche e capacità operative. Una squadra per vincere
deve essere coesa e formata da persone capaci. Finora non
è stato così, Berlusconi ha dimostrato di non avere la
dote dei grandi politici, quella di saper scegliere
collaboratori di valore. Si è circondato di mezze tacche,
spesso infide ed adesso rischia grosso perché gli
italiani, che pure lo hanno votato, sentono che quella
fiducia si è incrinata per le difficoltà dell'economia e
gli scandali che stanno travolgendo politici e
amministratori. Anche qui il Premier deve fare il suo
mea culpa. Se non avesse sistematicamente denigrato la
pubblica amministrazione, la magistratura, le istituzioni
di controllo, la Corte costituzionale, facendo intendere
ai suoi che potevano violare impunemente le regole, oggi
non si troverebbe a perdere consensi tra la gente per le
vicende di una classe dirigente da terzo mondo, intenta a
lucrare miserevoli favori da imprenditori senza scrupoli,
la cui più grave responsabilità è senza dubbio quella di
aver messo fuori gioco operatori economici seri e non
disposti a percorrere la strada facile della corruzione.
19 maggio 2010
La finanziaria della
crisi
Pagheranno i soliti
noti?
di Salvatore Sfrecola
Al di là
dell'ottimismo di maniera che i governi sono
istituzionalmente tenuti ad ostentare, le prime
anticipazioni della manovra d'estate che il governo si
appresterebbe a presentare al Parlamento fanno intendere
che si andrebbe a pescare nelle tasche dei dipendenti
pubblici e dei pensionati.
Senza fantasia
avendo trascurato un'effettiva lotta all'evasione fiscale,
soprattutto prevenendo e contenendo il contenzioso
tributario, né combattendo la corruzione e la malagestione
del denaro pubblico che dilaga nel Paese, come dimostra la
cronaca di questi giorni, il Cavaliere affida al fido
Tremonti una manovra "lacrime e sangue" giustificata dalle
difficoltà interne ed internazionali per una stretta che
peserà essenzialmente sul pubblico, con rinvio del rinnovo
del contratto di lavoro e blocco degli incrementi
retributivi automatici e del turn over. Si
penserebbe anche di intervenire sulle grandi opere
evidentemente per rinviarne la realizzazione.
Cominciamo da
quest'ultimo argomento. A scuola, fin dal liceo e poi
all'università ci hanno spiegato che le grandi opere
pubbliche sono il "volano" della ripresa economica di un
paese in difficoltà. Sono strade, autostrade, porti,
aeroporti, i grandi immobili dei quali il Paese ha bisogno
per il suo sviluppo e che vengono accelerate perché
muovono capitali, ingenti produzioni ed una buona dose di
posti di lavoro.
Il fatto è che in
Italia, grazie alla corruzione ed all'incapacità
dell'Amministrazione pubblica di progettare le opere
pubbliche e seguirne la realizzazione, questi interventi
vengono a costare molto più che altrove per non dire della
durata dei lavori che vanno sistematicamente al di là dei
tempi previsti dai contratti d'appalto anche per effetto
del contenzioso che nella maggior parte dei casi oppone
imprese e stazioni appaltanti, con ricorso alla
definizione di riserve milionarie sulla definizione degli
stati avanzamento lavori e conseguenti arbitrati
regolarmente persi dalla parte pubblica.
Mettere mano
all'inefficienza ed alla corruzione nel settore delle
opere pubbliche significherebbe risparmiare e vedere
realizzati gli interventi nei tempi previsti.
Quanto agli statali
ed in genere ai dipendenti pubblici intervenire sui loro
stipendi e sul turn over è una scelta grezza e
sostanzialmente ingiusta cui ricorrono i governi con
scarsa fantasia e nessun coraggio di intervenire sui
gangli vitali dell'ìllecito e dello spreco. Laddove si
annidano le spese inutili o improduttive, decise spesso
sulla spinta di interessi inconfessabili.
Così, invece di
selezionare la spesa pubblica, mantenendone i livelli
essenziali al buon funzionamento delle istituzioni, il
Ministro Tremonti ci ha abituati ai tagli indiscriminati,
percentualmente determinati in modo aprioristico, con la
conseguenza che la stessa misura della riduzione per
alcuni è indifferente, per altri fatale, nel senso che
impedisce l'esercizio delle funzioni istituzionali.
E' stata la
filosofia che ha stroncato enti prestigiosi e di rilevante
funzione sociale o culturale e mantenuto in vita scatole
vuote solo perché politicamente assistite.
Quanto al turn
over, del quale si riempiono la bocca troppo spesso i
nostri governanti, questa misura per molte amministrazioni
ha un effetto gravissimo perché invecchia strutture
destinate a svolgere un ruolo importante. Si pensi ai beni
culturali, la più grande risorsa del nostro Paese, una
componente essenziale per il turismo, dove manca personale
e l'età media degli storici dell'arte è superiore ai
cinquant'anni.
Per non dire delle
conseguenze sull'occupazione, che pure andrebbero
considerate in un momento di grave crisi economica.
Da ultimo, posto
che il valore della spesa pubblica sta non nelle sue
dimensioni ma nella sua produttività, cioè nella capacità
di offrire servizi e di sviluppare virtuose sinergie con i
privati fornitori di beni e servizi, tagliare
indiscriminatamente significa soffocare migliaia di
piccole imprese che forniscono le strutture del settore
pubblico. Una cosa che questo giornale va dicendo fin
dall'inizio sperando che lo capiscano i nostri governanti,
soprattutto quelli che si fanno paladini del Nord - Nord
Est produttivo, che dovrebbero riconoscere il ruolo
dell'operatore economico pubblico nello sviluppo
dell'economia.
Insomma, risparmi
sì, ma scelte selettive e soprattutto lotta senza tregua
alla all'illegalità ed alla corruzione.
Solo così le
misure possono essere credibili ed i sacrifici accettati.
16 maggio 2010
Senza pudore
Per l'On Stracquadanio i
parlamentari che lavorano dovrebbero essere premiati!
di Senator
"Non
c'è niente da fare - ha scritto Quotidiano.net
- : quelli che stanno dentro il Palazzo non capiscono
che la gente ne ha abbastanza dei loro privilegi e,
anziché proporre di tagliarli, addirittura c'è chi chiede
di aumentare gli stipendi dei parlamentari che attualmente
oscillano attorno ai 15 mila euro mensili, benefit
esclusi.
La proposta era
stata avanzata dell'on. Giorgio Stracquadanio: "Credo che,
se lavorano e se si impegnano, i parlamentari debbano
essere pagati di più. Auspico un sistema che ne controlli
il rendimento, la resa. Giusto punire i pochi fannulloni,
ma quelli che si impegnano devono poter essere premiati
secondo i principi meritocratici. Fra tutti solo una
settantina non lavorano. O meglio: fanno altri lavori. Gli
altri sgobbano eccome''.
Peccato che a
distanza di pochi giorni il Ministro Calderoli, un
leghista che capisce la gente, propone di diminuire gli
stipendi di parlamentari e membri del governo. Gli fanno
eco altri politici, Casini in testa, per dare un esempio.
Povero
Stracquadanio non si è reso conto di aver fatto
un'affermazione paradossale. In sostanza, se lavorano i
parlamentari meriterebbero una indennità superiore. E se
non lavorano? Pensa che debbano essere puniti, ma non dice
come.
Sintomatico il
commento del senatore della Lega Nord, Piergiorgio
Stiffoni: "Solo uno con un simile cognome poteva
esprimersi in questo modo. Credo che la politica abbia
bisogno in questo momento di riavvicinarsi alla gente, non
certo ad allungare ancor di più le distanze". Gli ha fatto
eco il senatore Felice Belisario, capogruppo dell'Idv a
Palazzo Madama: "In una situazione
di gravissima crisi economica, con famiglie che non
riescono ad arrivare alla fine del mese, è una follia che
un parlamentare osi soltanto pensare di aumentarsi lo
stipendio". "Spiace che l'esponente del Pdl non abbia
invece previsto il ritiro dell'indennità se i parlamentari
non fanno niente. Il Parlamento è fermo dall'inizio della
legislatura, sequestrato per risolvere i problemi di
Berlusconi, dei suoi ministri e sottosegretari.
Stracquadanio stia tranquillo: se la maggioranza la
smettesse di prendere solo ordini dal Presidente del
Consiglio e si decidesse ad esaminare provvedimenti che
servono al Paese e che l'IdV ha presentato in numero
cospicuo, l'Italia avvertirebbe meno la pesante crisi
internazionale".
15 maggio 2010
Per
moralizzare la vita pubblica ed uscire dalla crisi
Il
Parlamento greco approva una nuova legge anticorruzione
Approvata il 12 sera in aula nei suoi tratti
essenziali, sarà formalmente votata martedì prossimo dal
Parlamento greco, dopo l'integrazione degli emendamenti,
la legge anti corruzione voluta dal premier, Giorgio
Papandreou. Riferisce l'ANSA che, in base alla nuova
legge, ministri, politici, amministratori locali e
funzionari dello stato potranno essere allontanati dai
loro incarichi e i beni confiscati.
La legge costituisce una risposta alla esigenza di
moralizzazione della vita pubblica considerata elemento
fondamentale per riformare il paese, salvarlo dal
dissesto finanziario e garantirne la ripresa.
La legge, che proibisce agli uomini politici e ai
funzionari pubblici di detenere conti o interessi
off-shore, prevede la prigione per gli evasori fiscali
ed ammende fino ad un milione di euro. Un'amnistia sarà
accordata a chi denunci attività corruttive.
15
maggio 2010
Il Premier e la scelta
dei collaboratori
Chi è causa del suo
mal...
di Senator
"Nessuna indulgenza
e impunità per chi ha sbagliato", tuona Silvio Berlusconi
di fronte al quotidiano stillicidio delle liste che anche
il quotidiano "di famiglia", Il Giornale, appunto e quello
vicino al Premier, Libero, pubblicano di giorno in giorno
con attacchi violenti a personalità del governo e del
partito.
Per cui se è
un'epurazione viene dall'interno della maggioranza, una
sorta di resa dei conti che fa gongolare i peones, quei
parlamentari "nominati" che non potevano avere altro ruolo
che quello dei portatori d'acqua, quel settanta per cento
della forza parlamentare che Berlusconi alla vigilia delle
elezioni aveva indicato come destinati "ad obbedir
tacendo" all'elite, quel trenta per cento al quale il
Cavaliere affidava le sue fortune parlamentari.
Sennonché la
minoranza capace non si è dimostrata tale per virtù
professionali e personali se il Governo deve ripetutamente
ricorrere a decreti legge ed a voti di fiducia ed oggi
occupa le prime pagine dei giornali per miserevoli storie
di bustarelle e di affarucci impunemente coltivati.
Ma qui il Cavaliere
dovrebbe fare un po' di autocritica. Se non avesse fin dal
1994 predicato l'insofferenza verso la pubblica
amministrazione ed i suoi funzionari e le regole della
legalità presidiate dalla magistratura probabilmente
avrebbe potuto reclutare uomini e donne con più senso
dello Stato e rispetto delle regole. La forsennata critica
ai giudici ed ai pubblici ministeri, lodati solo quando
pronunciavano sentenze favorevoli, l'aggressione rabbiosa
anche alla Corte costituzionale, presidio di legalità e
del corretto rapporto tra le istituzioni, hanno fatto sì
che un manipolo (absit iniuria verbis!) di avventurieri
s'insinuasse ai vari livelli di gestione della cosa
pubblica nella convinzione dell'impunità indotta dai
programmi enunciati dal premier in tema di regole e di
giustizia.
Ora che sente che
molti suoi collaboratori hanno gravemente peccato contro
la fede pubblica Berlusconi minaccia l'epurazione.
Potrebbe essere tardi, mentre cresce il disgusto della
gente perbene e di quella che la crisi economica ha
impoverito e privato del lavoro. Non a caso il Capo dello
Stato paventa azione violente di disperati che potrebbero
ammantare azioni terroristiche di contenuti politici o di
farneticazioni ideologiche.
Non basta che il
fido Ministro della Giustizia Alfano richiami il Ddl
contro la corruzione "che si fonda su l'inasprimento delle
pene e un sistema di maggiore trasparenza dentro la
pubblica amministrazione" o che Frattini invochi "nuove
regole, che comprendano anche l'ineleggibilità per tutti
coloro che sono stati condannati per reati connessi alle
loro funzioni, e questo non riguarda solo i politici"
preannunciando "una forte accelerazione del ddl del
Governo contro la corruzione".
Potrebbe essere
tardi per l'immagine del Premier che gli italiani hanno
sentito troppe volte imprecare contro i magistrati e le
loro inchieste, soprattutto contro le intercettazioni
telefoniche e ambientali, quelle che proprio in questi
giorni si sono dimostrate lo strumento indispensabile per
scoprire le malefatte della "cricca".
14 maggio 2010
Un assaggio di
federalismo fiscale
Più tasse per coprire i
buffi della sanità
di Salvatore Sfrecola
La sanità in
deficit richiede più tasse per quattro regioni, Lazio,
Campania, Calabria. "Andiamoci piano prima di alzare le
imposte" dice il neo Governatore del Lazio, Polverini. Non
vuole legare l'inizio della sua azione di governo ad un
"prelievo" supplementare. Si parla di sanità ed il
"prelievo" è di casa.
Il buco è di 420
milioni, i debiti sono pari a sette miliardi dice la
Renata laziale (in senso geografico s'intende), una
situazione seria che denuncia il malgoverno di anni, di
troppi anni nei quali si sono succedute giunte di destra e
di sinistra e manager, si fa per dire, appartenenti ad
entrambi gli schieramenti. capaci solo di liquidare
fatture miliardarie a progettisti di opere mai realizzate
perché la regione cambiava continuamente destinazione agli
immobili o alle strutture ospedaliere.
Non basta. C'è il
capitolo delle forniture di beni e servizi che costano più
che alle strutture ospedaliere private, alcune delle quali
di elevata professionalità, con tecnologia d'avanguardia
ed utilizzazione piena. Sono quasi degli eroi questi
imprenditori privati della sanità, come gli enti
ospedalieri religiosi che "vantano" cifre da capogiro non
corrisposte dalla Regione.
Non intendiamo, si
badi bene, fare l'esaltazione della sanità privata. Il
pubblico deve garantire a tutti i cittadini servizi di
elevata qualità, considerati i costi che le aziende
sostengono.
Tutti sanno che
decenni fa una degenza ospedaliera, per il solo profilo
alberghiero, costava al pubblico qualcosa come 6-700 mila
lire al giorno. Una tariffa da albergo superlusso sul
canal Grande. Una cosa inconcepibile, nota a tutti, da
tutti denunciata, un problema mai risolto.
Pagava lo Stato,
praticamente a piè di lista. Non è più possibile. Così le
regioni dovranno far fronte al disastro dei conti della
sanità con risorse proprie, recuperandole da altre
funzioni che ne soffriranno e dalle imposte e tasse
regionali.
E' il primo acconto
di federalismo fiscale, non proprio quello che si
attendono i leghisti che ritengono che nell'Italia
federale gran parte delle risorse devono rimanere sul
territorio. Così come ritengono che finora le opulente
(fino a ieri) regioni del Nord davano alla comunità
nazionale più di quanto ricevessero. Una leggenda smentita
dalla Ragioneria Generale dello Stato e dall'Istituto di
Studi sulla Contabilità Pubblica (I.S.Co.P) già anni
addietro.
Come sempre in
Italia si chiude la stalla quando i buoi sono fuggiti. La
sanità ha rappresentato ovunque la spesa più rilevante
delle regioni, un settore dove fare affari di ogni genere.
Gli esempi non servono, sono sotto gli occhi di tutti.
14 maggio 2010
Tra stress fisico e
logoramento politico
Il Cavaliere è stanco
di Senator
Mi ha colpito
Berlusconi in televisione, la sera prima della definizione
del piano di salvataggio europeo, quando si andava
delineando la soluzione sulla base del piano Sarkozy
Merkel, poi presentato al pubblico italiano come l'accordo
Sarkozy Berlusconi. Intervistato dalla televisione, il
Presidente del Consiglio afferma di essere soddisfatto
perché è prevalsa la linea italo francese. Alla richiesta
di chiarimenti ribadisce è prevalso l'accordo tra Italia e
Francia. Ed alla successiva domanda dei giornalisti dice
che è passata la linea portata avanti da Italia e Francia.
Per tre volte il Cavaliere ribadisce un concetto astratto,
quello della linea politica, dell'intesa tra i due paesi.
Non spiega niente. Neppure vagamente accenna al contenuto
della posizione italo francese. Avrebbe potuto dire
qualcosa di generico, del tipo la Banca Centrale Europea
interverrà per assicurare la tenuta dell'euro, o qualcosa
di simile.
Il premier, invece,
ripete per tre volte lo stesso concetto, praticamente con
le stesse parole, sembra quasi balbettare. E' evidente che
è stanco. E' logico che lo sia dopo il tour de force
al quale la gravissima situazione della Grecia e le
difficoltà emergenti in Portogallo e Spagna costringono i
governanti d'Europa, preoccupati del contagio, di quello
che è stato chiamato "effetto domino".
Il premier stanco è
anche l'immagine di un leader logorato dalla guerriglia
che gli porta Gianfranco Fini, che non ha gran seguito, ma
desta comunque preoccupazione perché quella goccia che
quotidianamente l'ex leader dell'ex Alleanza Nazionale fa
cadere sulla pietra del Popolo della libertà più
che per scavare per tentare di allargare le crepe che
naturalmente caratterizzano il composito partito creato da
Berlusconi, fatto di ex socialisti (soprattutto) ex
democristiani ex socialdemocratici ed ex repubblicani, con
qualche liberale tanto per consentire al Cavaliere di dire
che anche lui è liberale.
Berlusconi fa
spallucce. Fini lo infastidisce e basta. In realtà non ne
ha paura. Il Presidente della Camera ha un seguito
modesto, la stampa riprende le sue esternazioni perché
fanno notizia come sempre fa notizia una parola fuori dal
coro, perché la sinistra applaude all'ex leader della
destra immaginando che possa essere il cavallo di Troia
capace di favorire l'incursione nella cittadella del
potere.
Il Presidente del
Consiglio e leader del maggior partito italiano è tentato
dallo scioglimento anticipato delle Camere per nuove
elezioni nella convinzione, suffragata dal recente
successo elettorale nelle elezioni regionali, che potrebbe
fare il pieno, frenare l'espansione della Lega, un'armata
che avanza ma a passo lento e ridurre ai minimi termini la
componente finiana, dopo che ha portato dalla sua parte La
Russa, Gasparri e Matteoli.
La scelta non è
facile. C'è il rischio che esplodano le contraddizioni del
PdL e che la Lega cresca più di quanto prevedibile, anche
al Centro. Le dichiarazioni prudenti, ragionevoli,
ispirate a senso dell'attualità dimostrano che il partito
di Bossi punta in alto. Anche qualche battuta antiunitaria
non rallenta l'espansione del partito nato nel Nord Est.
Gli italiani sono preoccupati della situazione economica,
della carenza di lavoro e cominciano a pensare che il
Cavaliere sia sul viale del tramonto. Lui lo sente e si
preoccupa.
13 maggio 2010
Scajola: più preoccupato
che arrogante
di Senator
E' parso un atto
d'arroganza, di quelli ai quali la casta ci ha abituato,
ma, in verità, la decisione di Claudio Scajola di non
andare a testimoniare a Perugia quale persona "informata
sui fatti" è in realtà evidentemente motivata dalla
preoccupazione di passare da testimone ad indagato.
"Vedrò i
magistrati. Il 14 andrò a Perugia e dopo riferirò al
Parlamento", aveva detto l'ex Ministro dello sviluppo
economico il 3 maggio. Ieri il suo avvocato,Giorgio
Perroni, dice che Scajola non andrà perché, dice, non è
assicurato "il rispetto delle garanzie difensive
normalmente previste". Perché, "sulla base delle notizie
di stampa, lui è soggetto solo formalmente non indagato ma
sostanzialmente indagato perché lo accusano di cose non
vere che però tali sono riportate".
Si tratta di una
dichiarazione che si commenta da sola, una confusa
giustificazione indotta da un'evidente preoccupazione. Se
l'ex Ministro non ha niente da temere può certamente
documentare la correttezza del suo operato, spiegare con
quali fondi ha potuto acquistare l'appartamento fronte
Colosseo per una cifra, a quel che si legge sui giornali,
che tutti avremmo speso volentieri per ottenere lo stesso
immobile.
Tutto qui. Il ruolo
pubblico dell'ex Ministro impone a lui un obbligo di
chiarezza, quello che un tempo era la regola per cui ogni
pubblico amministratore, all'atto di assumere la carica
doveva rendere pubblico l'ammontare del suo patrimonio e
che avrebbe dovuto ugualmente presentare a rendiconto al
termine della gestione pubblica del potere.
E' un fatto che
oggi molto spesso si entra in politica con le classiche
toppe sul sedere, spesso senza aver mai fatto un lavoro,
per poi arricchirsi rapidamente.
13 maggio 2010
Federalismo
fiscale dietro l'angolo
E' in arrivo la
nuova "service tax" proposta dal Ministro Calderoli.
di Senator
"È il momento della
"service tax"
-scrive l'On. Antonio Borghesi sul suo sito
www.antonioborghesi.it,
parlamentare veronese dell'Italia dei Valori -
un'imposta unica chiamata a sostituire gli attuali
balzelli degli enti locali come tassa sui
rifiuti, di scopo o addizionale Irpef e Ici, ma non sulla
prima casa. L'idea è stata lanciata questa settimana dal
ministro della Semplificazione
Roberto Calderoli
di fronte alla commissione bicamerale sul federalismo.
"Non
abbiamo intenzione di reintrodurre l'Ici -
ha spiegato l'esponente del Carroccio - il nostro
obiettivo è quello dell'autonomia impositiva e della
semplificazione delle entrate tributarie". Insomma, "un
lavoro di sfoltimento" che però, spiegano gli esperti, non
potrà che venire alla luce alla fine del percorso
federalista".
"Se si trattasse di una mera sostituzione di
altre imposte, senza alcun aumento della pressione
fiscale, potremmo anche convenirne. Ma in una situazione
come quella attuale, con i Comuni ormai impossibilitati a
qualunque azione a causa del “patto di stabilità”,
non fidarsi è
meglio. La “excusatio non petita” che
intendono reintrodurre l’Ici ci preoccupa non poco.
Non ci
stupiremmo infatti che, come spesso
accaduto in passato,
la “service tax”
si risolvesse in una nuova “fregatura” per i contribuenti
onesti, costretti a pagare di più per
avere meno servizi di prima. Noi di Italia dei Valori
vigileremo sulla questione
“dalla parte del
cittadino”."
Abbiamo
riportato integralmente l'opinione dell'On. Borghesi che,
tra l'altro, è Professore Ordinario di
Economia e Gestione delle Imprese presso la facoltà di
Economia dell’Università di Verona, per aprire un
dibattito sul tema del federalismo fiscale, il passo
avanti richiesto dalla Lega, preteso come condizione per
la prosecuzione dell'esperienza governativa con
Berlusconi.
Ora
non è dubbio che il federalismo o è fiscale o non è e che
quindi non è immaginabile la nuova articolazione della
repubblica nata dalla riforma del 2001 senza un'ampia
autonomia fiscale delle regioni Il fatto indubbiamente
positivo sta nela responsabilità che gli amministratori
regionali e, di seguito quelli delle province e dei comuni
assumeranno dinanzi ai cittadini contribuenti per i
servizi che le amministrazioni renderanno. Finirà, dunque,
quella sorta di irresponsabilità per la quale oggi gli
amministratori locali gestiscono risorse in gran parte
trasferite dallo Stato, spesso generosamente pronto a
ripianare i debiti, com'è accaduto per Roma.
Tuttavia la preoccupazione dell'On. Borghesi non è
espressione di una opposizione a tutti i costi neri
confronti del governo in carica e della sua maggioranza.
E', infatti, inevitabile che regioni ed enti locali, di
fronte alla necessità di far fronte ai servizi richiesti
ed in presenza di gravi situazioni deficitarie, come
quelle provocate dall'irresponsabile ricorso ai derivati,
saranno in molti casi indotti in materia di imposte e
tasse locali ad effettuare alcuni "ritocchi" la parolina
magica che serve ad edulcorare la cattiva notizia. E c'è
da temere sempre, considerato che nel passaggio dalla lira
all'euro a dare il cattivo esempio sono stati lo Stato e
gli enti locali, il primo raddoppiando il canone RAI, i
secondi perfino l'importo della sosta oraria nei parcheggi
a pagamento. Lo ha fatto Roma portando ad 1 euro la sosta
oraria che in termini di lire ne valeva 1000.
2 maggio 2010