SETTEMBRE 2009
Perché l'Italia non è un
Paese normale?
Quando muore un soldato
di Bruno Lago
Perché quando muore un
soldato in missione l’intero Paese viene investito da un
dramma emotivo che coinvolge i media, l’opinione pubblica,
la classe politica e le forze armate e sembra smarrito il
senso della misura e della razionalità ?
Perché quando muore un
soldato la classe politica rimette sistematicamente in
discussione le ragioni che hanno portato alla decisioni
dell’intervento militare?
Perché risulta così
difficile comprendere alla classe politica che queste
discussioni indeboliscono la posizione dei nostri soldati
sul campo e possono negativamente influire sul loro
morale?
Perché in situazioni
di conflitto e di pericolo per le truppe, i parlamentari
di opposte fazioni non fanno fronte comune come accade in
altri paesi, secondo il principio efficacemente
sintetizzato nel mondo anglosassone del “Right or wrong
it is my Country”?
Perché anche
autorevoli rappresentanti dei governi in carica davanti a
queste morti appaiono in difficoltà e non hanno il
coraggio di dichiarare apertamente all’opinione pubblica
che la partecipazione alle missioni militari, anche se
pericolose, è necessaria per le responsabilità ed il ruolo
dell’ Italia nel mondo?
Perché quando si parla
di “missioni” dei nostri soldati, ci si affretta sempre a
specificare che sono missioni “di pace” quasi che parlare
di guerra potrebbe turbare l’opinione pubblica?
Perché quando muore un
soldato in missione la magistratura italiana apre sempre
un’inchiesta rivolta evidentemente non a incriminare il
terrorista ma a indagare sulle “eventuali” responsabilità
dei comandi militari?
Perché non si parla
dei nostri soldati in missione se non quando vi sono
caduti?
Perché quando un
soldato caduto proviene dalle regioni meridionali i media
nazionali accreditano la tesi che sì, era volontario, ma
solo perché non aveva altre possibilità occupazionali?
Perché quando muore un
soldato i media in genere (televisioni e carta stampata)
sono così naturalmente portati ad enfatizzare gli aspetti
emotivi e si intervistano i parenti stretti per “sbattere
in prima pagina” il loro dolore?
Perché quando muore un
soldato, anche giornali importanti come il Corriere
della Sera e il Sole 24 Ore dedicano quattro
pagine ed i telegiornali dieci minuti ad un evento che,
per quanto luttuoso, è nell’ordine delle cose?
Perché quando muore un
soldato, solo la vedova nel suo dolore riesce a dichiarare
“Sono orgogliosa di mio marito!” mentre simili pensieri o
dichiarazioni ben raramente provengono dai politici?
Perché tutto questo
non accade in altri paesi che hanno pagato tributi più
alti in termini di vite umane in queste missioni?
Perché l’Italia non
riesce ad essere un Paese “normale”?
20 settembre 2009
P.S. L'articolo esprime
compiutamente ed efficacemente la linea del giornale. Una
sola precisazione, per non ingenerare dubbi sul ruolo
della magistratura in questi casi. In presenza di una
notitia criminis, cioè di un fatto che costituisce
reato, nella specie un omicidio, la competente Procura
della Repubblica ha il dovere di avviare accertamenti per
individuare gli autori del delitto che, anche se
stranieri, sono soggetti, ai sensi dell'art. 10 del codice
penale, alla giurisdizione del giudice italiano per aver
ucciso un nostro concittadino. Ovviamente, nello stesso
tempo, possono essere svolti accertamenti per verificare
se l'evento è stato possibile a causa di comportamenti
colposi (in ipotesi omissivi) dei responsabili della
sicurezza degli uomini. Del resto non sarebbe possibile
trascurare eventuali, gravi trascuratezze colpose di chi
ha compiti di comando.
Un nuovo incontro di
"Identità e Confronti"
Sud: mito e realtà
Riprende, dopo le
ferie estive, l'attività di "Identità e Confronti",
l'Associazione culturale promossa da Adriana Elena
Lucchino e presieduta da Giancarlo Elena.
Stavolta si parlerà
di "Sud: mito e realtà" in un incontro/dibattito con
Marcello Veneziani, che ha scritto un bel libro
intitolato, appunto, "Sud", e gli On.li Francesco Aracri e
Marcello Taglialatela .
Modera Giancarlo
Elena.
L'appuntamento è
per il 29 settembre, alle ore 21,00, nella sala delle
conferenze della Fondazione Nuova Italia, in Roma, via in
Lucina, 17.
Come di consueto al
termine è previsto un dopocena offerto dall'Associazione
con il contributo dei soci, cioè delle signore che daranno
ancora una volta prova della loro abilità culinaria.
20 settembre 2009
Una partecipazione
inopportuna
Proietti Cosimi nella
Commissione d'inchiesta
sui disavanzi sanitari
regionali
di Senator
Ricevo da un
lettore una segnalazione a proposito dell'Onorevole
Francesco Proietti Cosimi, ritornato in questi ultimi
giorni alla ribalta delle cronache per fatti vari. Il
lettore si stupisce che il parlamentare del Partito
della libertà, già di Alleanza Nazionale, sia
dal 10 giugno componente della "Commissione parlamentare
di inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause
dei disavanzi sanitari regionali". Lo conferma il sito
della Camera dei deputati. (http://www.camera.it) nella
pagina dedicata al parlamentare ed alla sua biografia.
Il lettore
sollecita mie considerazioni in proposito, vista la
maxinchiesta sulla truffa alle ASL del Lazio dello scorso
anno, della quale hanno dato notizia tutti i giornali, in
particolare il Corriere della Sera e l'Espresso,
che hanno pubblicato stralci di intercettazioni
telefoniche che hanno interessato proprio Proietti Cosimi
e l'ex moglie del Presidente della Camera, On. Gianfranco
Fini, Daniela di Sotto.
Il lettore si
chiede "come è possibile?" E mi chiede se sia normale che
un deputato "sfiorato" dal dubbio di illeciti in materia
sanitaria sia inserito in una Commissione parlamentare
d'inchiesta che ha il compito di indagare sugli errori in
campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari
regionali.
Il nostro lettore
si è dato la risposta da solo. Come a lui, anche a me la
cosa non pare normale. Per carità di patria diciamo che è
inopportuna. Desta sconcerto, mette in difficoltà l'on.
Fini del quale il Proietti Cosimi è stato a lungo
segretario. Non c'è dubbio che avrebbe dovuto scegliere,
per prudenza, un altro incarico, per tenersi fuori da
eventuali polemiche e per non mettere in difficoltà il
Presidente della Camera.
Non è solo un
problema di stile!
19 settembre 2009
Italian style sotto
tiro
di Oeconomicus
Ad agosto dello
scorso anno UnSognoItaliano ha ospitato una nota
che illustrava
il
progetto V.I.E. Vetrine Italiane Estero, un'idea per
rilanciare l'export italiano in gravi difficoltà. Un
progetto delineato da un abile uomo di pubbliche
relazioni, Armando Zippo, che rilevava ancora una volta
"una mancanza di strategia e di superficialità". Quel
progetto non ha avuto seguito, non ha destato interesse da
parte autorità o di imprenditori.
Sarà colpa della crisi, della recessione che blocca le
iniziative, smorza la fantasia, comprime le volontà. Il
problema è di vaste proporzioni ed attiene anche alle
regole (violate) della concorrenza.
Né dà buona prova il
Corriere della Sera in un servizio del 18
luglio u.s. a pagina 11. Focus:
Stili di vita e affari: con l'eloquente titolo
d'apertura : "Se il cibo, di italiano, ha solo
il nome". Il servizio calcola un
danno di 56miliardi di euro per i soli
mercati extraeuropei. Danno che secondo alcuni
osservatori sarebbe calcolato per difetto; perché nel
servizio partono dal presupposto che il mercato europeo è
sotto controllo. Basterebbe invece guardare
la Spagna, anche superficialmente, per rendersi conto del
contrario.
Copiano tutto : dai loghi ai prodotti, dalle
paste, alla mortadella (con una "l" e con la specifica
di "Boloñia"). L'articolo mette in evidenza la difficoltà
per i prodotti italiani di avere prezzi competitivi. Per
questo che la proposta V.I.E. suggeriva di cerare delle
boutique, delle vere vetrine dei prodotti di qualità;
difficilmente copiabili e di sicuro riferimento e positiva
ricaduta per i prodotti più commerciali.
Sempre nello stesso servizio, l'articolo di chiusura è
ancor più triste e grave : "Agro-pirateria
anche nei nostri ristoranti". Infatti i
ristoranti "italiani" sono fra i più taroccati, sopratutto
qui in Spagna, alla faccia del famoso accordo della
partecipazione della cucina italiana a quella spagnola (e
persino marocchina) per ottenere il riconoscimento UNESCO
di cucina mediterranea. Di fatto, la cucina italiana è
stata appiattita su quella spagnola e marocchina! Sarebbe
più che utile riattivare il progetto di
"Certificazione dei ristoranti italiani all'estero"
; all'epoca avviato da Alemanno quand'era
Ministro dell'Agricoltura. Sarebbero così
costretti ad utilizzare almeno prodotti nostrani; e non
come ora che persino la pasta è taroccata.
19
settembre 2009
Morire in una missione
di pace
Il dolore e l'orgoglio
di Salvatore Sfrecola
"La strage dei parà
scuote l'Italia", ha titolato ieri a nove colonne, in
prima pagina, il Corriere della Sera. Quei nostri
soldati, in servizio di pace, morti in zona di guerra, li
piangiamo tutti, anche quelli che traggono dalla tragedia
motivo per differenziare la loro posizione e chiedono il
ritiro del nostro contingente.
"Tutti a casa? La
tentazione da evitare", titolava sempre ieri Franco
Venturini, l'esperto di politica estera del Corriere,
perché la nostra presenza in una missione ONU e NATO è
segno della partecipazione dell'Italia ad una strategia
politica importante, controllare un'area del vicino
oriente nella quale si manifestano iniziative
destabilizzanti dell'intero scacchiere e contenere uno dei
focolai che alimentano il terrorismo internazionale.
Niente ritiri unilaterali, dunque.
'Non possiamo permetterci
di ridurre ora il nostro impegno in Afghanistan''. E'
quanto ha detto all'ANSA il portavoce della Nato
James Appathurai, sottolineando che l'obiettivo
dell'Alleanza è quello di far sì che gli afghani possano
prendere in mano la loro sicurezza. ''Ma questo va fatto
in modo appropriato e misurato'' attraverso un'opportuna
strategia di transizione, ha spiegato.
Un ritiro immediato
non lo chiede neppure Bossi che, a caldo, aveva immaginato
il ritorno dei nostri soldati per fine anno. Sarebbe uno
sfilarsi dalle intese internazionali con conseguenze
evidenti anche sulle relazioni con i nostri alleati con i
quali si definiscono non solo strategie antiterrorismo ma
anche rapporti di natura economica e commerciale.
L'Italia ha reagito
con compostezza e dignità al triste evento delle sei vite
stroncate nell'attentato di Kabul. Soffre ma è cresciuta.
Un tempo avremmo avuto la "rivolta delle mamme". Oggi il
Paese è maturo per comprendere che quelle vittime sono
conseguenza di un rischio professionale, come quello che
corrono ogni giorno Carabinieri, Poliziotti e Finanzieri
quando, nell'adempimento del loro dovere, cadono sotto i
colpi di delinquenti di varia estrazione.
Fatti salvi certi
isterismi politici di fasce marginali della Sinistra e
l'ignobile reazione di alcuni ambienti dell'autonomia di
cui dà oggi notizia Il Giornale, la maggioranza
degli italiani comprende che il Paese non può rimanere a
guardare gli altri che fanno la politica internazionale
attraverso contingenti militari in missione di pace.
D'altra parte abbiamo appreso, fin dai libri di scuola,
che il piccolo Piemonte, il Regno di Sardegna di Vittorio
Emanuele II e Cavour, per assicurarsi una presenza nel
concerto delle nazioni e per acquisire un ruolo
internazionale che giovasse alla causa dell'unità
d'Italia, aveva inviato i suoi Bersaglieri a combattere
in Crimea alla Cernaia, a fianco di Francia e Regno Unito
contro l'Impero Russo nei pressi dell'omonimo fiume il
16 agosto
del
1855.
Forse non bastano
queste missioni di pace. Gli interessi che si servono del
terrorismo sono troppo diffusi e potenti perché la lotta
ai Talebani abbia effetti sicuri e immediati. Eppure
qualche risultato apprezzabile è stato raggiunto. Il
terrorismo è stato certamente contenuto. Il prezzo del
petrolio, attraverso il quale si alimentano alcuni paesi
che il terrorismo finanziano o tollerano, è sceso e, tra
alti e bassi, non stressa più, come nei mesi scorsi,
l'economia occidentale e dei paesi emergenti.
La situazione
internazionale è comunque complessa e non fa intravedere
soluzioni in tempi brevi. Il fatto è che, anche se non
sembra, questa è una guerra economica nella quale alcuni
paesi e gruppi di potere si servono del terrorismo per
condizionare l'economia di altri. Non è una guerra aperta
e questo rende difficile intravedere l'avversario e far
comprendere alla gente i motivi di certe operazioni.
Tuttavia è
sufficiente vedere chi ci guadagna, per capire chi è
dietro alcune guerre che infiammano aree delicate del
mondo, come l'Afghanistan, appunto. Nelle quali masse di
diseredati sono utilizzate per premere sull'opinione
pubblica e sui governi.
"Non credo ci sia
nulla da rivedere nella missione italiana in Afghanistan",
ha detto il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano,
parlando con i giornalisti a Tokyo, dopo aver reso omaggio
alle vittime ed indirizzato un commosso pensiero alle loro
famiglie. L'Italia non può permettersi di rimanere
isolata.
19 settembre 2009
Vespa a tutto campo
L'aedo del potere
di Senator
Ognuno di noi ha
una sua vocazione, religiosa o civile, un'attitudine
particolare che coltiva con impegno. Quella di Bruno
Vespa, peraltro giornalista di valore, è l'esaltazione del
potere costituito, in modo plateale, senza riserve,
sempre.
A Porta a Porta
nell'intervista a Berlusconi, assenti possibili
contraddittori politici, Vespa ha schierato giornalisti
che mai avrebbero osato criticare il Premier e, con loro,
il solito Sansonetti, condannato a fare la parte del
cattivo, un ruolo al quale evidentemente non crede neppure
lui che si limita ad un simulacro di opposizione,
limitandosi a generiche e stereotipate enunciazioni di
tesi tra ideologia veterocomunista e storia della prima
repubblica senza che mai l'ospite sia realmente messo in
imbarazzo.
Megafono di coloro
che contano, oggi Berlusconi, ieri i vari personaggi della
Democrazia Cristiana, "l'azionista di riferimento", come
ebbe a rispondere anni addietro quando fu accusato di
essere troppo filodicci, Vespa ossequia il potere che lo
ricambia di attenzioni. Ad ogni nuovo libro accorrono a
presentarlo, da Berlusconi a D'Alema, da Fini a Casini,
passando per le seconde file locali e nazionali. E' una
ressa, nessuno vuol mancare. E poi copertine e pubblicità
in televisione per convincerci, in prossimità delle
festività di fine anno, di leggerlo e regalarlo.
E così di questi
polpettoni, che non sono mai riuscito a finire avendoli
iniziati solo per dovere di informazione, che riprendono
pari pari le cronache politiche dei mesi precedenti,
arricchite dall'intervista che dà il titolo al volume, con
lunghe e noiose descrizioni dei luoghi ove si incontrano
gli inquilini del Palazzo, sono piene le biblioteche degli
italiani. Li regaliamo e ce li regalano, un omaggio
all'autore, un balzello pagato all'editore che è sempre
uno di "area".
Per fortuna la
formula di Porta a Porta prevede che la
trasmissione sia tirata per le lunghe anche oltre
mezzanotte, così abbiamo un motivo per spegnere il
televisore dopo aver fatto ripetutamente zapping alla
ricerca di qualcosa di più interessante. Ricerca spesso
insoddisfatta, almeno per quel che riguarda
l'informazione, rigorosamente controllata, per cui si
finisce per guardare un film d'annata, scelto apposta per
non togliere audience al mattatore. Eppure a volte
non funziona, come nei giorni scorsi quando la giusta
rivendicazione del Governo di alcuni obiettivi raggiunti
in Abruzzo è diventata un insopportabile peana al
Presidente del Consiglio che continua a ritenere che agli
italiani faccia piacere. E un po' è vero, considerati i
voti che il Partito della libertà porta a casa. Ma alla
lunga questo modo di proporsi non regge. Gli italiani sono
abbastanza smaliziati per credere che è sempre oro tutto
quel che luccica.
Se fossi il Premier
mi darebbero sommo fastidio i Vespa, i Fede, i Feltri i
Belpietro, gli Arditti, uomini intelligenti, buone penne
ma un po' troppo... al vento!
E
torna acconcia una frase di Leo Longanesi del 1956:
" Non è la libertà che manca, mancano gli uomini liberi"
18 settembre 2009
L'Islam degli eccessi
Torturata dal marito
perché convertita al Cristianesimo
di Salvatore Sfrecola
Non è ancora passato l'orrore della morte della giovane
marocchina Sanaa uccisa dal padre perché innamorata di un
italiano, per di più cattolico, un delitto che la stessa
madre della ragazza ha ritenuto in qualche modo
giustificato che Corrispondenza Romana, riprendendo
AsiaNews, dà conto di un altro raccapricciante episodio
accaduto a Dhaka ai danni di una donna e la figlia le
quali avevano
seguito il percorso del figlio
maschio, che, prima di partire per l’estero, aveva
abbracciato la fede cristiana.
Il marito ha bruciato una
copia della Bibbia, poi ha promesso anche a loro due un
"trattamento simile”.
Torturata e minacciata di morte dal marito, al quale ha
tenuto nascosta “la conversione del figlio maschio”
dall’islam al cristianesimo. È la vicenda di una donna del
Bangladesh, che “teme per la propria vita”. I parenti sono
musulmani e nemmeno la polizia è interessata a
proteggerla. Nonostante le violenze, anche lei, insieme
alla figlia più grande, ha deciso di convertirsi e prega
perché l’uomo – un giorno – possa “scoprire l’amore di
Cristo”.
“Nel 2006 mio figlio Jahirul Islam è partito per
Sydney – ha raccontato Khainur ad AsiaNews
– per approfondire il percorso di studi. Non mi aveva
detto nulla della conversione al cristianesimo, quando era
in Bangladesh”. Khainur (nella foto con le figlie)
ricorda “perfettamente” il giorno in cui il figlio le ha
parlato: “era il 18 giugno del 2009, all’inizio sono
rimasta scioccata”.
Da 22 anni il marito, Aminul Islam, lavora in Arabia
Saudita; a giugno è tornato in Bangladesh per un periodo
di vacanza. Egli ha cominciato a esercitare pressioni
perché Jahirul sposasse una ragazza musulmana, non prima
però di aver compiuto il tradizionale pellegrinaggio alla
Mecca. Progetti respinti con forza dal figlio, che
rivendica la “fede cristiana”. “Quando le richieste di mio
marito si sono fatte pressanti – spiega Khainur – ho
raccontato della conversione. La notizia lo ha sconvolto,
ha iniziato a picchiarmi, accusandomi di essere la
responsabile perché gli ho permesso di studiare
all’estero, all’università cattolica di Nostra Signora, a
Sydney”. La donna descrive le “numerose violenze” subite
dal marito, il quale le ha anche proibito di parlare al
figlio.
Jahirul ha suggerito alla madre di rivolgersi al rev.
Alex Khan, il quale per primo ha seguito il percorso di
conversione del figlio. Il pastore l’ha sostenuta – né i
parenti, musulmani, né la polizia l’avrebbero aiutata – e
ha avvertito un senso di conforto e di pace. “Ho
conosciuto l’amore di Cristo – aggiunge – e ho iniziato a
leggere passi della Bibbia con l’aiuto del pastore e di
mia figlia Arifa Sultan”.
Nei giorni scorsi ha annunciato al marito di essersi
convertita al cristianesimo. Egli ha legato e picchiato in
maniera brutale la moglie e la figlia più grande, davanti
agli occhi delle sorelline più piccole. Aminul ha anche
bruciato la Bibbia, minacciando di riservare “un simile
trattamento” anche alle due donne.
“Abbiamo paura” ammette Khainur, ma resta il conforto
della preghiera. “Preghiamo regolarmente” aggiunge la
figlia “perché un giorno mio padre scopra l’amore di
Cristo. Lo perdono anche se mi ha picchiata come fossi una
bestia; non ho paura di essere bruciata da mio padre, come
ha fatto con la Bibbia”.
link:
http://new.asianews.it/index.php?l=it&art=16320
18
settembre 2009
Cattolici "adulti" e
laici "infantili"
di Salvatore Sfrecola
C'è una regola,
antica e sempre valida, per valutare la capacità delle
idee che si confrontano in un dibattito. Non per dire
quale è giusta o meno, ma per dedurre se contribuisce e in
che misura all'approfondimento del tema in discussione: la
serenità di giudizio e la completezza dell'analisi che
sostiene una determinata opinione. Soprattutto la
faziosità, che inevitabilmente assume "atteggiamenti
privi di obiettività e quindi settari" (Vocabolario della
lingua italiana Treccani) è indice di scarsa attitudine al
confronto costruttivo. Con la conseguenza che il dibattito
non fa un passo avanti e riduce l'approfondimento
dell'argomento oggetto della discussione.
Sono riflessioni
indotte dall'odierno editoriale di Giovanni Sartori, uno
studioso delle istituzioni della democrazia che sovente
richiamo e del quale generalmente condivido le analisi e
le conclusioni, ma che scrivendo sul Corriere della
Sera, a proposito della proposta di legge sul
testamento biologico, un testo normativo che più
esattamente detta "Disposizioni in materia di alleanza
terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni
anticipate di trattamento" (Atto Camera n. 2350), giunto a
Montecitorio dopo un sofferto iter in Senato che lo ha
licenziato in un testo unificato largamente condiviso, ha
dato prova di una mentalità preconcetta.
Quel che delude
nello scritto di Sartori è soprattutto un viscerale
anticlericalismo d'altri tempi e degno di miglior causa,
che vorrebbe negare al mondo cattolico, non alla Chiesa in
quanto istituzione, lui campione della democrazia, il
diritto di interloquire con chi esprime altre culture,
religiose o laiche, per definire una disciplina normativa
di un momento particolare della vita, quello della sua
fine, che rispetti la volontà della persona evitando che
essa sia prevaricata, magari per interessi economici,
approfittando di un precario stato di salute.
In questa veemenza
anticlericale Sartori giunge ad affermazioni che fanno
dubitare abbia letto il testo al quale pure ispira la sua
critica. Infatti, nel formulare la previsione che il testo
approvato dal Senato sarà
ritoccato dalla Camera, giunge alla conclusione che "anche
così resterà un testamento che viola la volontà del
testatore. Perché questo è l’intento della Santa Sede".
E per dimostrare che i Pontefici possono sbagliare (chi
mai lo ha dubitato se non in tema di verità di fede!)
mette in mezzo tutto e di più, le parole di Papa Ratzinger
in Africa, a proposito di preservativi e di Aids (ma forse
non sa che quelle parole sono state considerate da
autorevoli epidemiologici espressione di un richiamo ai
valori cui devono ispirarsi i rapporti umani che ha anche
un effetto positivo nel contenimento dei contagi), senza
dimenticare fatti storici antichi cui i Papi si sono
riferiti più volte per condannare certi errori del
passato, dovuti più al braccio secolare che al clero.
Ancora Sartori prendendo spunto da una frase del Cardinale
Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana,
secondo il quale non è accettabile "un diritto di libertà
tanto inedito quanto raccapricciante: il diritto di
morire" dimostra ancora di non conoscere il testo di legge
all'esame della Camera che all'art. 1 (tutela della vita e
della salute) "riconosce che nessun trattamento sanitario
può essere attivato a prescindere dall'espressione del
consenso informato" garantendo "che in casi di pazienti in
stato di fine vita o in condizioni di morte prevista come
imminente il medico debba astenersi da trattamenti
straordinari e non proporzionati, non efficaci e non
tecnicamente adeguati rispetto alle condizioni cliniche
del paziente e agli obiettivi di cura". Per cui è una
assoluta sciocchezza affermare che "si vuole persino
negare la libertà di morire senza inutili sofferenze e
prolungate agonie".
E chiude con la solita, stantia, ripetitiva affermazione
che "questa imposizione, questa illibertà, esisterebbe
solo da noi". Argomento principe di chi intende buttare a
mare cultura, valori, principi della nostra civiltà, che
ha messo l'uomo al centro della affermazione e difesa dei
valori. Non solo perché l'uomo è fatto ad immagine di Dio,
ma perché la vita è comunque un valore di interesse della
comunità e va salvaguardata e difesa fin quando è
possibile. Anche ad evitare precoci dipartite di anziani
dei quali qualcuno, magari, attende l'eredità. Un po' come
nell'aborto. Ma siamo sicuri che qualche volta non sia
stato "consigliato" o "imposto" un aborto per motivi
ereditari?
Sono domande che Sartori certamente non si è posto e
richiamando Prodi che si è detto "cattolico adulto", nel
senso che si sentirebbe libero di pensare diversamente
dalla gerarchia (ma certamente non in questioni di fede),
non si è reso conto di aver dato corso ad un rigurgito
anticlericale che dimostra che ci sono ancora laici
infantili che scrivono cose che l'inventore
dell'espressione "libera Chiesa in Libero Stato", quel
Camillo Benso di Cavour del quale mi piacerebbe ci
ricordassimo alla vigilia dei 150 anni dell'unità
d'Italia, certamente non avrebbe sottoscritto.
16 settembre 2009
Cavour, Giolitti,
Mussolini, De Gasperi in soffitta:
il migliore Presidente
del Consiglio è stato ed è Berlusconi
di Senator
Adesso si comprende
perché il Governo stenti ad assumere iniziative concrete
per le celebrazioni dei 150 anni dell'unità d'Italia.
Chi vogliamo
ricordare, forse Camillo Benso di Cavour o il suo
successore Bettino Ricasoli, o Urbano Rattazzi e poi
proseguendo Francesco Crispi, Antonio Giolitti, Benito
Mussolini, Alcide De Gasperi, Amintore Fanfani, Giuseppe
Segni, Giulio Andreotti, Francesco Cossiga, Bettino Craxi?
Non c'è bisogno. Il migliore è lui, il Cavalier Silvio
Berlusconi. Non lo dicono le cronache, non si sono ancora
pronunciati gli storici. Ma Lui è certo e
sottolineando di aver
governato più a lungo di Alcide De Gasperi (ma meno di
Mussolini) ha aggiunto: “Credo sinceramente di essere
stato, e di essere, di gran lunga il miglior presidente
del Consiglio che l’Italia abbia potuto avere nei 150 anni
della sua storia”.
"Chi si loda
s'imbroda", dice un vecchio proverbio. Ma Lui incurante di
questi detti popolari insiste. Coraggioso, petto in fuori
e pancia in dentro, con sprezzo del pericolo continua
imperterrito.
Sarà vera gloria?
Ai posteri l'ardua sentenza!
12 settembre 2009
Il Fini degli errori
di Senator
Fini nella bufera,
non da oggi. Dopo l'attacco di Feltri su Il Giornale
che con la definizione di "compagno" mette in risalto
l'azione del Presidente della Camera che va controcorrente
su tutto ciò che per Berlusconi rappresenta la sicurezza
di vasti consensi. Dal testamento biologico alla politica
dell'immigrazione l'ex leader dell'ex Alleanza Nazionale
si mette sempre per traverso, forse per togliersi i tanti
sassolini che ha collezionato nelle scarpe da quando
Berlusconi è entrato in politica. Sì, è vero, che,
candidato alla poltrona di Sindaco di Roma Fini aveva
incassato il consenso di di Berlusconi: "se votassi a Roma
voterei Fini". Ma poi è stata una sequenza di schiaffoni
mollati dal leader di Forza Italia rispetto ai quali Fini
ha cristianamente mostrato l'altra guancia.
C'è solo il dubbio
della scelta. Un esempio: la Cabina di Regia, l'incarico
di coordinamento della politica economica del Governo, che
un vertice di maggioranza all'inizio del 2003 aveva deciso
di affidare a Fini Vicepresidente del Consiglio. Occorreva
riordinare il Dipartimento per gli affari economici della
Presidenza del Consiglio ed attribuire a Fini la delega
alla Presidenza del Comitato Interministeriale per la
Politica Economica, il C.I.P.E., il gabinetto
economico. Un incarico di facciata in assenza di poteri
effettivi e di un sistema informativo capace di mettere in
condizioni la Presidenza del Consiglio di disporre delle
stesse fonti informative del Ministero dell'economia e
delle finanze.
Un potere modesto,
più di facciata che altro. Eppure dopo un balletto di mesi
nei quali le proposte di Fini venivano sistematicamente
modificate ed aggiornate, qua una virgola, lì un aggettivo
diverso. Alla fine non se ne è fatto niente. Berlusconi
non ha voluto dare a Fini neanche questa modesta
soddisfazione di facciata, considerato che i "poteri" che
si dovevano attribuire al Vicepresidente del Consiglio non
avrebbero potuto neppure scalfire il potere di Tremonti.
Sarebbe stato come fare solletico ad un elefante con una
piuma. Niente. Eppure questo niente Berlusconi non lo ha
dato a Fini. Il quale qualche mese dopo ha avuto, è vero,
l'incarico di Ministro degli affari esteri ma solo perché
Buttiglione non ha ottenuto il posto di Commissario
europeo e Frattini è dovuto andare a Bruxelles. Se non ci
fosse stata questa coincidenza Fini avrebbe continuato a
fare il Vicepresidente praticamente senza delega, se si
esclude il Dipartimento Nazionale per il Coordinamento
delle Politiche Antidroga presieduto dal Prefetto Soggiu,
mollato da Fini appena la Moratti e Muccioli hanno fatto
capire che il funzionario, ex Generale della Guardia di
Finanza non andava più bene.
Il fatto è che Fini
non vuole assumersi responsabilità di governo, di gestione
di risorse. Sbagliando, perché un leader politico non
cresce solo con manifestazioni di carattere ideologico,
con interviste televisive e giornalistiche giovandosi dei
una certa disinvoltura dell'eloquio e nell'aspetto.
Fini, se mira alla
successione di Berlusconi, ma anche se solo vuole contare
in politica avrebbe dovuto assumere nel nuovo Governo
Berlusconi un ministero di peso, l'economia, l'interno o
la difesa e concorrere, in quella posizione, alla politica
generale del governo, così contando nel nuovo partito.
Invece ha esordito con l'ironico "siamo alle comiche
finali", quando Berlusconi dal predellino aveva
preannunciato il Partito della Libertà, mentre avrebbe
dovuto prendere subito la tessera numero 2. Poi si è
defilato rispetto alle responsabilità di governo
scegliendo di occupare un posto dal quale non si cresce,
la Presidenza della Camera, una bella vetrina, certamente,
come era stato il Ministero degli esteri nella fase finale
del precedente governo Berlusconi. A lui, lo hanno capito
tutti, piace apparire più che essere. Ma così non va da
nessuna parte. Ha perso il partito e la corrente in mano a
uomini di stretta osservanza berlusconiana. In più va
controcorrente e quindi, al di là degli applausi di
convenienza della sinistra, non è affidabile per nessuno,
perché dal più alto scranno di Montecitorio non fa
l'arbitro ma scende in campo. Cosa gravemente scorretta.
Sbaglia e continua
a sbagliare. Anche per le persone delle quali si circonda.
Modeste, quando non servili, quelle che a lui piacciono
molto (come a tutti i politici, del resto), persone che
gli suggeriscono quel che intuiscono a lui piace sentire.
Non amici, ma opportunisti che mirano ad incarichi nel
sottobosco politico e degli incarichi istituzionali
riservati alla scelta della politica.
Un tempo nei
palazzi di potere si diceva, indicando un personaggio
illustre, quello lo ha nominato Fanfani, quell'altro era
vicino ad Andreotti, quel tale giudice costituzionale è
stato designato da Moro. Ed erano tutti professionisti con
grande capacità e spiccata sensibilità istituzionale. Di
quelli che Fini ha messo in pista è meglio non dire, se di
alcuni si può dire che sono modesti è un gran complimento.
Un leader che non
sappia circondarsi di personalità di rilievo non va da
nessuna parte. E, infatti, Fini tenta con iniziative
estemporanee di comparire sui giornali a giorni alterni,
con lo stesso ritmo con il quale Berlusconi gli molla un
ceffone.
9 settembre 2009
UN POLLO SERVE SEMPRE
di J.L.R.
Quando si combina un guaio bisogna trovare un “pollo”
da colpevolizzare e punire.
Succede che l’Influenza “aviaria” colpisce il mondo:
uccelli ed affini (polli inclusi) sterminati senza pietà e
così gli umani in gran parte si salvano con pochi danni.
Passano mesi e che succede ? Arriva una Pandemia di
Influenza “suina”.
Allora via ad una strage di suini che si rivela
inutile:
Adesso vogliono salvare gli umani utilizzando il
“pollo” per produrre vaccini!
Se riesce vuol dire che sacrificare un “pollo”
conviene sempre; se non riesce i “polli” ci hanno rimesso
come al solito.
9 settembre 2009
P.S. e battute ironiche del nostro amico J.L.R. si
prestano a qualche ulteriori considerazione. Da queste
"pandemie" chi ci guadagna e chi ci rimette? Ci guadagnano
i produttori di generi affini all'animale sospetto. Poi
chi produce il vaccino. Dell'influenza aviaria, alla quale
sono stati attribuiti poco più di un centinaio di decessi
su miliardi di uomini, non si è parlato più
all'improvviso, dopo che erano state acquistate, se
ricordo bene, quaranta milioni di dosi di vaccino. E'
troppo chiedere che fine hanno fatto? E torna la domanda
richiamata nel titolo di un pezzo di qualche settimana fa:
"chi influenza l'influenza"?
Il "compagno" Fini e
l'amico Cavaliere
di Gianni Torre
E' stato un evidente
gioco delle parti nel quale il Cavaliere da sempre è
bravissimo. Fini si smarca da Berlusconi e dalla sua
maggioranza, punta al Quirinale, fa prove di
anticlericalismo tardomassonico e il leader del Partito
della Libertà, tempo due giorni, lo fa bacchettare, per
poi sbracciarsi in attestazioni di antica e perdurante
amicizia.
L'attacco di
Vittorio Feltri al Presidente della Camera, Gianfranco
Fini, è duro, secondo il tradizionale linguaggio del
direttore de Il Giornale. In un editoriale Feltri
accusa Fini di aver cambiato posizione su gay,
immigrazione e biotestamento.
"Sulla vicenda Boffo - scrive Feltri - ti sei
comportato tu, e non Il Giornale, in modo vergognoso. Hai
espresso un'opinione dura verso di me senza conoscere,
nella migliore delle ipotesi, i fatti. Se li avessi
conosciuti saresti stato piu' prudente. Invece hai sparato
per il piacere di sparare o per convenienza, che e' ancora
peggio". Dopo aver ricordato a Fini la frase da lui
pronunciata due anni fa, 'Un maestro elementare non puo'
essere un gay', Feltri osserva: "Prendo atto che in un
biennio hai cambiato posizione sui gay e non li consideri
più - era ora - immeritevoli di stare in cattedra".
"Però un'altra volta avvisaci prima delle tue virate,
altrimenti ci cogli impreparati. A proposito di virate -
continua Feltri - sei ancora di destra o da quella parte
ti sei fatto superare da Berlusconi? Non e' una domanda
provocatoria.
Nasce piuttosto da una constatazione. Sulla questione
degli immigrati parli come un vescovo. Sul testamento
biologico parli invece come Marino, quello della cresta
sulle note spese dell'Università da cui e' stato
licenziato".
Feltri osserva che sugli immigrati a Fini non
interessano soluzioni alternative, "sennò faresti proposte
anziché lanciare critiche alla tua stessa maggioranza. Ti
sta a cuore la simpatia della sinistra che non sai più
come garantirti. Il motivo si può intuire, se sbaglio
correggimi. Miri - conclude Feltri - al Quirinale perché
hai verificato che la successione a Berlusconi avverrà con
una gara cui e' iscritta una folla".
Tempo poche ore che
ecco giungere le dichiarazioni di Berlusconi che giura di
non aver nulla che fare con l'iniziativa del direttore
del giornale di famiglia. Lo stesso era accaduto per il
"caso Boffo". Che il Cavaliere sia tanto amante della
libertà d'informazione da lasciare libero un suo
dipendente di sparare a zero contro il "alleato" illustre,
il Presidente della Camera nonché già leader di una delle
componenti del Partito della libertà?
Da non crederci. E,
infatti, non ci crede nessuno.
Intanto Fini deve
meditare sulla strategia messa in piedi per crescere
politicamente e smarcarsi dal Cavaliere senza metterselo
contro. Ci si chiede se segua consigli o definisca tattica
e strategia di testa propria. Insomma, se sia eterodiretto
o sbagli di testa propria visto che colleziona "occasione
mancate" quando avrebbe potuto puntare alla successione
del Cavaliere con poche mosse azzeccate, giovandosi di
vetrine prestigiose delle quali non ha saputo sfruttare i
vantaggi, da una Vicepresidenza senza deleghe, ad un inane
passaggio dalla Farnesina del quale non si ha ricordo
alcuno, all'attuale Presidenza della Camera che crede di
valorizzare facendo il giocatore anziché l'arbitro.
8 settembre 2009
In vista del dopo
Berlusconi
Quadro politico: prove
tecniche di riposizionamento
di Senator
È stato rilevato da
più di un osservatore politico negli ultimi tempi che gli
avvenimenti della politica sono caratterizzati sempre più
da un accentuato nervosismo dei protagonisti, molti dei
quali sembrano ispirarsi ad esigenze di individuazione di
nuove posizioni in vista di un mutamento dell’attuale
assetto.
Fuor di metafora, è
evidente che molti dei protagonisti della vita pubblica,
di primo piano, ma anche i peones della
maggioranza, quella pletora che Berlusconi apertamente ha
dimostrato di disprezzare alla vigilia del voto quando
disse che gli servivano solo 30 parlamentari bravi per
governare le Camere, ritengano che l’attuale sia una fase
conclusiva del ciclo politico iniziato nel 1994 con la
discesa in campo di Silvio Berlusconi, un imprenditore
abile, dotato di significative amicizie politiche,
tuttavia in gravi difficoltà. Si diceva fosse indebitato
per grosse somme con le banche. Tanto che qualcuno gli
avrebbe consigliato di impegnarsi in politica per
rimediare alle difficoltà, nel senso che è evidente come
una posizione politica di preminenza può assicurare
all’imprenditore vantaggi notevoli nei contratti di
sponsorizzazione e pubblicità, se non altro.
Facendo uso di un
linguaggio nuovo e di una notevole capacità di
comunicazione, essenziale e di facile percezione, a
cominciare dalla denominazione del partito “Forza Italia”,
con i colori della bandiera nazionale quell’imprenditore,
presentandosi come novità, quando, in realtà, doveva molti
dei suoi successi agli autorevoli appoggi politici dei
quali aveva goduto negli anni (significativo il decreto
legge con il quale il Governo Craxi aveva contraddetto la
decisione del Pretore di chiudere le sue televisioni) ha
fatto breccia nei cuori e nella mente di un elettorato
deluso, quando non disgustato, di una classe politica alla
quale rimproverava, più che la corruzione, l’inefficienza,
assolutamente incapace di governare i destini di un popolo
che non riusciva a percepire come l’Italia potesse essere
tra le sei o sette più importanti potenze industriali del
mondo con gli intollerabili costi di gestione di un
apparato pubblico tra i più inefficienti.
Reclutando tra
democristiani di secondo piano, liberali ormai senza più
partito, radicali opportunisti e socialisti allo sbando
dopo l’inchiesta di “mani pulite”, Silvio Berlusconi ha
messo su un’armata poco coesa, come dimostreranno i
ripetuti ricorsi al voto di fiducia nonostante l’imponente
maggioranza, ma sicuramente fedele, anche perché con
scarso senso politico e istituzionale. Ben pochi di coloro
che ha portato in Parlamento dal 1994 avrebbero, infatti,
potuto sperare in un’elezione basata sul consenso
personale se il Partito non avesse fatto quadrato su di
loro. Personaggi nella maggior parte dei casi modesti,
senza esperienza di governo, neppure nel più piccolo degli
enti locali, immediatamente calatisi nel ruolo, pertanto
arroganti, infastiditi dalla presenza di regole e dei
giudici che al rispetto di quelle regole li invitavano.
Questo non vuol dire, ovviamente, che di questa armata non
facessero parte anche alcuni che, dotati di qualche
intelligenza politica e di voglia di apprendere, abbiano
fatto bene alla testa di organismi statali e regionali.
Senza contraddire il Capo, senza lasciare insoddisfatte le
aspettative sue e quelle dei suoi amici imprenditori ai
quali si doveva assicurare una normativa che ne
assicurasse le esigenze, sulla base di una visione
“privatizzata” della gestione delle risorse pubbliche,
assumendo che il modulo operativo privatistico fosse
maggiormente idoneo al perseguimento di obiettivi di
pubblico interesse, in precedenza sempre rimessi
all’esercizio dei poteri pubblicistici che
tradizionalmente hanno fatto prevalere gli interessi delle
amministrazioni e degli enti rispetto alle aspettative dei
privati quando con essi configgenti.
Nulla di male se
l’obiettivo, pubblico interesse=bene comune, fosse
raggiunto nel modo più veloce e compiuto. Purtroppo non è
stato quasi mai così. Si è confusa, in sostanza, la
mancata capacità di fare del pubblico, per incapacità
della classe politica di governare i fenomeni, con
l’incapacità tout court del sistema e ci si è
prodigati nel perseguimento di obiettivi di efficienza che
in realtà giovavano quasi solo al privato gestore.
Questa fase della
vita politica italiana sembra destinata a concludersi in
tempi che non è facile prevedere ma che certamente non
saranno lunghi. Che Berlusconi veda accorciarsi la
prospettiva del suo premierato lo dimostra l’incapacità di
gestire politicamente l’aggressione della quale è stato
oggetto, in gran parte a causa delle diverse versioni che
ha ripetutamente offerto di fatti privati i quali, per
averlo visto come protagonista, sono necessariamente di
natura pubblica, considerato che le amicizie e le
frequentazioni del Presidente del Consiglio, ancorché
occasionali, con persone non limpide possono rivelare
anche profili di sicurezza dello Stato, come insegna la
storia.
Ritenendosi
diffamato, il premier ricorre ai giudici, dei quali
ripetutamente ha dimostrato di non avere stima, fino a
ritenere che fosse necessaria una particolare
conformazione mentale, addirittura patologica, per fare
quel lavoro, chiedendo risarcimenti milionari. Per cui
l’accusa dell’opposizione di attentare, di fatto, alla
libertà di stampa.
Il premier che
confonde una battaglia politica, le accuse
dell’opposizione, con una vicenda giudiziaria, la
diffamazione che sarebbe contenuta negli articoli de La
Repubblica e dell’Unità, dimostra, secondo
alcuni, compreso Galli della Loggia che ne ha fatto
oggetto oggi di un editoriale sul Corriere della Sera,
che il Presidente è alle corde, almeno psicologicamente.
Sta di fatto che
Letta e Tremonti studiano da successori, lanciando
messaggi alla Chiesa, il primo scrivendo libri che
assumono a tratto ispiratore alcuni tradizionali leit
motiv della carità cristiana, il secondo, con un
presenzialismo sempre più impegnato ed abilmente
propagandato.
Intanto Gianfranco
Fini, che si è disfatto di Alleanza Nazionale,
passata armi e bagagli sotto le ali del Premier cui
rispondono Gasparri, La Russa e Matteoli, immaginando
gli giovasse una certa politica apertamente anticlericale,
laicista, che scimmiotta istanze massoniche d’altri tempi,
non si perita di apparire, oltre che essere, un arbitro
che entra in gioco, a gamba tesa, rinunciando al ruolo
super partes che sembrava aver scelto per puntare in
alto, apertamente al Quirinale. Ma con quali voti, per
assicurare quale ruolo di equilibrio se da Presidente
della Camera sponsorizza e preannuncia scelte di campo che
spettano ai partiti nel confronto delle opinioni, non a
chi quel confronto deve assicurare si svolga liberamente.
C’è poi, Bossi,
anch’egli ammiccante alla Chiesa, nonostante le prese di
distanza della gerarchia dalla politica dell’immigrazione
voluta dalla Lega.
Emerge anche la
posizione di Casini, che, dopo aver giocato la carta
dell'autonomia evitando l'abbraccio mortale del Cavaliere,
si ritrova corteggiato per essere determinante in alcune
realtà locali se il Centrodestra vorrà prevalere nelle
regionali del 2010.
Si va verso un
Centro più grande?
Ma anche verso una
nuova Destra liberale e nazionale che necessariamente non
potrà più essere quella "inventata" da Berlusconi con la
sua eterogenea armata di profughi dei partiti della Prima
Repubblica, senza ideologie ma anche senza ideali civili,
senza quella religione delle istituzioni che da sempre ha
caratterizzato i partiti a destra dello schieramento
politico.
Tutto è in
movimento, dunque. Farà degli scongiuri il premier un po’
attore? Per tutti questi che lo vedono sul viale del
tramonto. O farà qualche mossa per guidare la successione?
Farà come quegli artisti o atleti che escono di scena nel
momento del massimo fulgore per mantenere il ricordo dei
successi o come gli altri che non riescono a staccare e
accompagnano il declino con errori su errori e, in fin dei
conti, con essi fanno dimenticare ciò che di buono avevano
realizzato un tempo?
Dio fa impazzire
coloro che vuol perdere! Potremmo disinteressarcene se le
vicende della vita politica italiana non avessero una
gravissima ripercussione su noi tutti.
7 settembre 2009
Le esternazioni del Ministro Tremonti tra demagogia e
realtà
di Marco Tullio
Le recenti esternazioni del Ministro dell’Economia al
Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini di fine
agosto con l’attacco agli economisti rei di non aver
saputo prevedere la crisi economica - provocata in buona
parte dai banchieri rapaci ed insaziabili, altra categoria
sempre nel mirino del Ministro dopo le più recenti
esternazioni londinesi hanno trovato una risposta nella
lettera indirizzata a inizio settembre da 16 economisti
italiani al Corriere della Sera.
Del resto diciamolo francamente: pur riconoscendo al
Ministro capacità tecniche e mediatiche che lo fanno
risultare il più brillante esponente del Governo in
carica, quel suo atteggiamento da primo della classe,
sempre infallibile e più intelligente degli altri, lo
rende spesso detestabile ai più. Nel caso specifico di
Rimini, il desiderio di riuscire simpatico ad una platea
entusiasta di giovani ciellini, ha spinto il Ministro ad
affermazioni dal sapore demagogico e populista, concluse
con l’invito a tacere agli economisti con toni decisamente
fuori dalle righe. La risposta è arrivata dopo pochi
giorni con la lettera al Corriere che contiene
un’orgogliosa rivendicazione del ruolo e dei compiti degli
economisti e la sfida al Ministro a dibattere in modo
pubblico e trasparente le sue idee circa il futuro del
Paese. Non solo, la lettera ha maliziosamente ricordato
che certe “previsioni” contenute nell’ultimo libro di
Tremonti circa l’approssimarsi di una crisi, in realtà
tali non sono sia per la tempistica che per
l’indeterminatezza delle stesse.
A differenza di Tremonti, gli economisti non si
sottraggono all’autocritica e riconoscono di avere in
genere sottovalutato cause e conseguenze di un’anomala
crescita del credito. Del resto solo pochi giorni prima il
prof. Spaventa in un bell’intervento su lavoce.info
aveva affrontato l’argomento delle responsabilità della
categoria per non aver sufficientemente allertato la
politica circa i pericoli per l’economia e la finanza
conseguenti i rischi crescenti assunti dagli operatori.
A ben vedere i firmatari della lettera sono stati
anche troppo “soft” con il Ministro non avendogli
ricordato le posizioni assunte e gli errori di strategia
durante la precedente esperienza di governo, quando
Tremonti impersonava la contabilità di stato “creativa”
per diminuire con artifizi contabili il peso del debito
pubblico e accenderne del nuovo, nel rispetto formale dei
parametri di Maastricht. Tutti ricordiamo le polemiche con
Eurostat ed il successivo flop di alcune “invenzioni” di
quegli anni come Infrastrutture dello Stato Spa.
Dopo Rimini, questo week end si è tenuto il G20 di
Londra ed ecco di nuovo riaccendersi il fervore
giustizialista del Ministro, questa volta contro i
banchieri e le banche la cui dimensione ed influenza
sarebbero troppo cresciute mettendo in pericolo la
stabilità delle economie. Pur essendo state salvate in
molti casi dai governi, dice Tremonti, le banche non si
mettono al servizio delle imprese per rilanciare
l’economia ma si preoccupano solo dei loro bilanci.
L’impressione che si ricava da queste “esternazioni”
scarsamente fondate da un punto di vista tecnico è che
Tremonti stia cercando una popolarità politica ed una
visibilità presso l’elettorato non più da “tecnico” ma da
leader politico, cercando di posizionarsi in vista di
futuri sviluppi politici nazionali. Se così fosse, pur
riconoscendo la liceità dell’obiettivo, spiace constatare
la mancanza di obiettività da parte di un Ministro che
vede i meriti per la stabilizzazione delle economie solo
dalla parte degli uomini delle istituzioni e colpe in
tutti gli altri, economisti, accademici e banchieri.
A ben vedere Tremonti è in buona compagnia perché
questa caccia agli ”untori” responsabili della crisi ha
visto altri leader politici europei rilasciare
dichiarazioni forti contro i banchieri. Del resto con il
propagarsi della crisi dell’economia reale e quindi della
disoccupazione, la ricerca dei capri espiatori è un
problema comunemente sentito dalla politica di fronte agli
elettorati nazionali!
Quello che non viene ricordato però è che una delle
ragioni principali della crisi economico finanziaria è
stata la mancanza di una efficace regolamentazione dei
mercati che ha consentito gli eccessi di cui oggi si
scontano le conseguenze. E di chi la responsabilità di
questa mancata regolamentazione se non della politica?
Questa considerazione per quanto ovvia non pare
interessare il Ministro che, assorbito dalla sua missione
riformatrice, non ritiene evidentemente che gli
amministratori pubblici abbiano delle responsabilità in
materia.
Naturalmente il discorso è molto più complesso e
travalica gli ambiti nazionali. La stessa normativa UE è
frutto di compromessi tra ordinamenti legislativi
tendenzialmente più orientati alla regolamentazione
dell’attività economica (Germania, Francia, Italia) e
ordinamenti più liberali che si ispirano a principi di
autoregolamentazione (Regno Unito, Olanda). Per questo i
paesi dell’Europa continentale hanno criticato fortemente
la blanda regolamentazione dei mercati finanziari
internazionali tendenzialmente ispirata dai principi della
finanza anglo-americana. Le riforme concordate ed
intraprese a livello internazionale vanno nella direzione
di maggiori controlli e poteri alle authority ed alle
istituzioni internazionali.
Ma un’ulteriore considerazione dovrebbe essere fatta
per valutare nella giusta prospettiva la congiuntura
economica che stiamo attraversando. Lo sviluppo dei
mercati e degli strumenti finanziari e la globalizzazione
dell’economia internazionale, prima di arrivare alla
crisi attuale di cui forse cominciamo a intravedere la
fine, hanno portato dei benefici economici inimmaginabili
anche solo venti anni fa’, consentendo una crescita del
prodotto lordo mondiale mai conosciuta prima e facendo
emergere da fame e sottosviluppo centinaia di milioni di
uomini nei paesi in via di sviluppo. Anche nei paesi
occidentali naturalmente si sono sentiti questi benefici e
ceti sociali meno abbienti hanno potuto accedere a modelli
di consumo non accessibili precedentemente. Lo sviluppo
eccessivo del credito ha tuttavia creato in vari settori
delle bolle speculative con i contraccolpi economici che
conosciamo. Tuttavia attribuire le responsabilità di
quanto accaduto negli ultimi anni nel bene o nel male a
singole categorie, siano esse gli economisti o i
banchieri, sarebbe un esercizio poco serio.
7 settembre 2009
L’immagine delle
istituzioni
e quella degli
uomini che le incarnano
di Senator
Essere “come la moglie di
Cesare”, cioè “al di sopra di ogni sospetto”. È una frase
diventata proverbiale a dire che coloro i quali occupano
posti di responsabilità nelle istituzioni pubbliche
debbono essere inattaccabili. Neppure un dubbio sulla loro
moralità pubblica e privata. Plutarco, nel decimo capitolo
della Vita di Giulio Cesare, ci dice che in occasione di
una festa dedicata alla dea Bona, cui potevano partecipare
soltanto le donne, Pompea, moglie di Cesare e sacerdotessa
della dea, avrebbe accolto nella sua abitazione, un suo
spasimante, Publio Clodio, travestito da suonatrice. Ma
l’inganno venne scoperto. Pompea fu
processata per oltraggio al
pudore e alla religione. Al processo Cesare si dichiarò
convinto dell'innocenza della moglie e quando gli chiesero
perché avesse divorziato, rispose che l'aveva fatto
perché la moglie di Cesare doveva essere al di sopra di
ogni sospetto.
Così nelle pubbliche istituzioni un tempo
amministratori e funzionari sospetti di corruzione,
concussione o di illecito arricchimento altrimenti
conseguito venivano rimossi. Spesso si mettevano da parte
di loro iniziativa.
Un tempo, perché più di recente cose di questo genere non
accadono. Anzi, al primo sospetto, avallato dalla stampa o
dall’iniziativa di qualche Pubblico Ministero la reazione
del sospettato è quella di aggredire giornali e
magistratura.
È un segnale brutto, del degrado di un costume pubblico il
quale ignora che il servizio allo Stato ed alle
istituzioni è funzione destinata a soddisfare interessi
superiori, delle istituzioni, appunto, e della comunità
nel suo complesso che attraverso le istituzioni persegue
gli obiettivi di generale interesse, quello che si chiama
il bene comune.
In questi giorni il tema torna di attualità per
alcune vicende che hanno colpito negativamente l’opinione
pubblica che vorrebbe mai dover dubitare della lealtà
istituzionale degli uomini, e delle donne, ovviamente,
preposti a posizione di responsabilità che siano in
qualche modo rappresentativi della istituzione.
La reazione della gente ad episodi che mettano in
evidenza l’inadeguatezza degli uomini è immediata e
rischia di travolgere le istituzioni in conseguenza della
cattiva scelta e della ritardata reazione rispetto ai
fatti. Nel senso che nessuno fa come Cesare che, pur
dicendosi convinto della innocenza della moglie, l’ha
ripudiata dicendo che la moglie di Cesare non poteva
neppure essere sfiorata dal dubbio della colpevolezza.
La regola vale per le istituzioni dello Stato e degli
enti pubblici come per le istituzioni religiose, come ha
ricordato il Prof. de Mattei a proposito del “Caso Boffo”,
la cui immagine non può essere messa in discussione da
comportamenti pubblici o privati di propri rappresentanti.
Pubblici e privati, perché ad onta di alcune
contrarie affermazioni che si leggono sui giornali non c’è
distinzione per chi ricopre una carica pubblica tra la sua
immagine pubblica e quel che fa in privato, tanto è vero
che un tempo (sempre “un tempo” ahimè!) all’atto
dell’assunzione di un pubblico dipendente si chiedevano
elementi di “buona condotta” (art. 2 del d.P.R. 10 gennaio
1957, n. 3) che attestavano un comportamento conforme al
ruolo pubblico rivestito.
Per questo, con una storica sentenza la Corte di
cassazione, all’inizio degli anni ’90, ritenne, innovando
rispetto ad una consolidata giurisprudenza, che anche le
istituzioni soffrano della lesione dell’immagine prodotta
dall’azione delittuosa dei propri funzionari. E condannò
quanti furono corrotti nell’occasione dell’acquisto di
aerei Locked per l’Aeronautica Militare a risarcire il
“danno morale” provocato allo Stato.
Da allora quel danno “allo Stato” ha formato oggetto
di un numero rilevante di sentenze della Corte dei conti
alla quale è stato riconosciuto proprio dalla Cassazione
nella veste di giudice della giurisdizione, la competenza
a giudicare della lesione portata allo Stato e agli enti
pubblici dal comportamento illecito di amministratori e/o
dipendenti.
Accadeva un tempo, dobbiamo dire anche in questo
caso, perché un recente decreto legge n. 78 del 1° luglio
2009, convertito dalla legge n. 102/2009, ha di fatto
soppresso la giurisdizione della Corte dei conti in tema
di danno all’immagine, limitandola a casi di condanne
irrevocabili per delitti contro la pubblica
amministrazione (corruzione, concussione, peculato, ecc.).
Ma se viene platealmente sperperato il pubblico denaro, se
un docente chiede prestazioni sessuali alle proprie
studentesse per favorire il superamento dell’esame, se il
maestro o la maestra abusano del bambino lasciato dai
genitori alle loro cure, l’immagine ed il prestigio
dell’amministrazione non ne risentono? Il Parlamento ha
deciso di no.
6 settembre 2009
In videocollegamento con Cernobbio per il
Workshop Ambrosetti
Il Presidente della Repubblica,
Giorgio Napolitano, delinea
Progetti, azioni e strumenti comuni per ridare fiducia
nell'Europa
di
Salvatore Sfrecola
A tutto campo, sui temi dell’economia e dello sviluppo e
delle prospettive istituzionali, il Capo dello Stato ha
ieri esposto ai partecipanti al Workshop Ambrosetti le sue
idee in un momento difficile dell’economia, richiamando il
ruolo dell’Europa e, indirettamente, le iniziative
necessarie della politica italiana.
In continuità con la precedente edizione
dell’incontro settembrino che a Cernobbio riunisce
politici, imprenditori ed espressioni significative della
società civile, Napolitano, rispondendo alle parole di
saluto del Professor Mario Monti, ha sottolineato come
l'anno trascorso sia stato “cruciale per noi che ci siamo
sempre sentiti e ci sentiamo impegnati senza riserve nella
storica impresa della costruzione europea: è stato un anno
cruciale perché ci ha dato drammaticamente il senso delle
responsabilità dell'Europa, delle prove e delle sfide cui
è esposto il ruolo dell'Europa nel mondo d'oggi. In un
mondo cioè percorso da cambiamenti radicali nei suoi
equilibri, e investito da una crisi globale che ha colpito
le nostre economie e le nostre società e messo in
questione le prospettive del nostro sviluppo”. E, pur non
sottovalutando “gli sforzi compiuti e i contributi offerti
dall'Unione Europea, in primo luogo nel semestre di
presidenza francese”, in quanto “i piani di rilancio
allora adottati di fronte al manifestarsi della crisi in
tutta la sua gravità hanno dato dei risultati, come hanno
sottolineato avantieri, nella loro lettera al Presidente
di turno del Consiglio, il Cancelliere signora Merkel, il
primo ministro Brown e il Presidente Sarkozy” ha voluto
sottolineare come essi “hanno ragione nel ribadire che
quei piani vanno portati avanti risolutamente, perché "la
crisi non è terminata" e comunque è destinata a provocare
serie conseguenze sul mercato del lavoro nei prossimi
mesi”.
Il Presidente ha, quindi, invitato a “riflettere
sulle difficoltà e sui limiti, politici e istituzionali,
che hanno impedito all'Unione di andare al di là della
condivisione e concertazione di indirizzi da perseguire
concretamente paese per paese”. E si è chiesto “quali
maggiori risultati e vantaggi si sarebbero potuti
conseguire definendo progetti e azioni comuni, mettendo in
opera strumenti comuni?” Una domanda e una verifica alla
quale, secondo Napolitano, “pare difficile sfuggire”.
“E' comunque importante – ha aggiunto il Capo
dello Stato - che l'Europa abbia saputo fare la sua parte
nel nuovo contesto di collaborazione mondiale che è venuto
emergendo nell'ultimo anno : così, in particolare, nel G20
di Londra. Ed è importante che in vista del nuovo G20 di
Pittsburgh l'Unione Europea si impegni - come hanno
suggerito nella lettera da me già citata, tre autorevoli
capi di Stato e di governo - sui temi di un nuovo quadro
di regole per il settore finanziario: temi su cui si è
specificamente molto impegnata l'Italia in occasione del
G8 de L'Aquila, nella comune convinzione che si debba in
questo momento bloccare il rischio di un ritorno a
pratiche e comportamenti che hanno provocato una così
grave crisi finanziaria come quella ancora non superata”.
“Ci si deve augurare – ha continuato il Capo dello
Stato - che nel prossimo G20 le voci europee risultino
univoche. Univoche anche sulle questioni di riforma del
Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Una
nuova governance globale, capace di guidare la ripresa
economica mondiale su basi sostenibili, lungo linee
diverse da quelle del passato, non può scaturire da un
succedersi, a scadenze sempre più ravvicinate, di vertici
di capi di Stato e di governo in diverse formazioni, ma
può poggiare solo su istituzioni internazionali più
rappresentative e più efficaci. E i paesi europei che già
oggi fanno parte, ad esempio, del Fondo Monetario
Internazionale, dovrebbero affrontare il problema di
accrescere il loro peso, la loro influenza, unificando le
quote di cui dispongono in seno a quella istituzione. In
effetti, a qualunque aspetto si guardi dell'esperienza
dell'ultimo anno e della possibile evoluzione del processo
di globalizzazione, risulta incontestabile l'esigenza che
l'Europa faccia più decisi passi avanti sulla via
dell'integrazione, rafforzi la sua capacità di azione
comune. L'Unione Europa è stata favorita dalla coincidenza
tra l'emergere di situazioni critiche nel secondo semestre
del 2008 e una presidenza forte come quella francese. Se
ne è giovata sul piano della politica internazionale,
contribuendo a disinnescare la crisi russo-georgiana, e se
ne è giovata nel fronteggiare l'emergenza finanziaria
mondiale”.
Poi l'esigenza "di una sia pur misurata
armonizzazione fiscale" che Napolitano richiama
sottolineando che l'Unione Europea non può esitare ancora,
"dopo quel che è accaduto". Ed ha aggiunto che "molte
possono essere le domande della stessa natura relative
alla necessità di superare la soglia di persistenti
chiusure nazionali e spinte centrifughe. Così, ad esempio,
la domanda relativa ai limiti che tuttora incontra un
impegno comune europeo in materia di immigrazione e, su un
piano necessariamente distinto, a garanzia
dell'inalienabile diritto all'asilo per chi sia costretto
a richiederlo. Si tratta, sempre, di esprimere più volontà
politica, più disponibilità alla ricerca paziente, nel
rispetto reciproco, di validi punti d'incontro".
Infine il Capo dello Stato ha affrontato un tema
istituzionale a lui caro e ricorrente nel dibattito sul
futuro dell'Europa: "può l'Unione Europea affrontare il
futuro con presidenze del Consiglio europeo che si
avvicendano casualmente ogni sei mesi? Può affrontare il
futuro senza darsi una direzione unitaria e degli
strumenti validi per esprimere una politica estera e di
sicurezza comune? Può l'Europa evitare un fatale declino
del suo ruolo in un mondo sempre più diverso da quello del
passato, senza riuscire ad esprimersi, a crescere, ad
agire come entità unitaria, attraverso politiche e
istituzioni comuni?" La risposta "è netta: no, è
indispensabile sciogliere quei nodi. Tanto per cominciare,
concludendo la vicenda, che si trascina da 8 anni, del
nuovo Trattato dell'Unione, portando a termine la ratifica
del Trattato di Lisbona e procedendo decisamente alla sua
attuazione. Il futuro dell'Europa, e per essa dell'Unione
Europea, non può rimanere sospeso al filo della defezione
anche di uno solo del 27 paesi i cui governi hanno
solennemente firmato un Trattato".
In risposta a Felipe Gonzalez, Presidente
Gruppo di Riflessione sul futuro dell'Europa, sulla
necessità di una Europa più coordinata di fronte alla
crisi e alle sfide della globalizzazione, Napolitano si è
chiesto "se si possa dire che nell'ultimo anno è stata
prevalente la tendenza ad un ripiegamento sugli interessi
nazionali. Ci sono stati dei momenti e ci sono state delle
questioni che hanno visto emergere una maggiore capacità
di espressione dell'impegno comune dell'Unione Europea.
Però certamente il problema c'è, e io vorrei mettere in
evidenza come questo ripiegamento su logiche strettamente
nazionali o piegate agli interessi nazionali sia un
ripiegamento illusorio. E' una pura illusione pensare che
qualsiasi Stato membro dell'Unione Europea, a partire dai
più grandi, possa far valere propri interessi nazionali al
di fuori di uno sforzo congiunto europeo. Il mondo è
talmente cambiato che non si vede come nessuno dei nostri
paesi possa recuperare un suo ruolo autonomo e distinto,
reagire solo con le sue forze alle sfide della
globalizzazione, senza invece mettere al servizio di un
accresciuto ruolo dell'Unione Europea in quanto tale le
proprie energie. C'è dunque una questione di volontà
politica, una questione di forza e di direzione politica
dell'Unione che richiede - io ritengo - anche adeguate
soluzioni istituzionali".
Francois Fillon, Primo Ministro francese, ha
interrogato il Presidente Napolitano sulla riscoperta
del ruolo dell'Europa anche nel Mediterraneo . Nel
ringraziarlo per la domanda il Capo dello Stato ha detto
che "noi abbiamo forse scoperto in alcuni momenti, in
particolare nel secondo semestre del 2008 e grazie in
particolare all'autorevolezza della Presidenza Francese,
che l'Europa è più forte, ha più potenzialità e può
contare più di quello che essa stessa non creda. Mi
auguro che si sia anche capito che invece gli Stati
nazionali, ciascuno per suo conto, ciascuno da solo,
sono più deboli forse di quanto qualcuno pensi. Quindi,
necessità assoluta di agire insieme e di darci
istituzioni e politiche comuni".
Tra queste politiche l'Italia - ha detto
Napolitano - consideria "molto importante quella
dell'Unione per il Mediterraneo. Credo che anche la
soluzione che si è trovata sul piano lessicale - Unione
per il Mediterraneo - abbia un significato. Si tratta di
un impegno che deve coinvolgere tutti gli Stati membri
dell'Unione. E' una politica della Unione, non è la
politica soltanto di alcuni paesi dell'Unione Europea
che si affacciano sul Mediterraneo".
Wolfang Schussel, già Cancelliere Federale
dell'Austria, ha chiesto a Napolitano come restituire
fiducia all'Europa. "La domanda è meno semplice di
quanto appaia", ha esordito sul punto il Presidente,
aggiungendo che "se vogliamo far rivivere un moto di
fiducia nell'Unione Europea, innanzitutto dobbiamo
trasmettere ai cittadini l'immagine di una Europa che
parla con una sola voce. Perché se, invece, le voci
europee danno luogo ad una talvolta assordante o
deprimente cacofonia, è molto difficile che si abbia
maggior fiducia nelle istituzioni europee, nell'Europa,
nel progetto europeo in quanto tale".
Il Presidente continua dicendo di Io mi permetto
di spezzare una lancia per il Parlamento europeo perché
qui talvolta veramente ci troviamo di fronte a dei
paradossi: il Parlamento europeo è oramai dal 1979 eletto
diretto dai cittadini a suffragio universale, costituisce
una istituzione rappresentativa democratica pienamente
legittimata. E quando io vedo da qualche parte ripetersi,
invece, che il Parlamento europeo è meno legittimato
democraticamente dei Parlamenti nazionali, veramente
reagisco in modo molto critico: non ci sono basi per una
affermazione del genere. Se si diffonde tra i cittadini,
anche in questo modo, sfiducia in una istituzione che,
come si è detto, è una istituzione chiave dell'impresa
europea, ci si assume una grave responsabilità. D'altronde
il Parlamento europeo è quello che, anche in quest'ultimo
periodo, ha dato prova di saper fornire dei contributi
positivi, stimolanti e dinamici alla costruzione di una
Europa unita. Quindi, io chiedo anche che ci si faccia,
come leadership politiche e di governo nazionali, un esame
di coscienza per il modo in cui si è condotta la recente
campagna elettorale per il Parlamento europeo. E' chiaro
che diminuirà la fiducia nel Parlamento europeo se si
continuerà a fare delle campagne elettorali in cui si
dovrebbe parlare di Europa e invece si parla di vicende
politiche strettamente nazionali, e così si dimostra
scarsa sensibilità, prima ancora per il ruolo del
Parlamento europeo, per il ruolo dell'Europa stessa".
Ponderate, efficaci, le parole del Capo dello
Stato saranno senza dubbio oggetto di commenti ed
approfondimenti anche dalla nostra classe politica che
troppo spesso sembra trascurare che l'Europa è ormai un
riferimento imprescindibile della politica economia e
sociale dei singoli paesi. Per gestire l'resistente e
per proiettarsi in un futuro nel quale i protagonisti
dell'economia mondiale non possono essere i singoli
stati ma le grandi comunità della produzione e della
finanza.
6
settembre 2009
NUOVE CERTEZZE
SULL'AEROPORTO DI FIUMICINO
di J.L.R.
La preoccupazione sulla vivibilità e la consegna dei
bagagli all'aeroporto di Fiumicino è stata
stressata dall'immediata indagine effettuata dal
pragmatico Ministro Matteoli.
Il Ministro ha comunicato che recenti approfondite
indagini hanno confermato (vedi mio scritto del 27/08/09)
che "...nulla di nuovo a Fiumicino...", parafrasando E.M.
Remarque. L'inefficienza è statisticamente costante nel
tempo! Quindi i bagagli continuano ad arrivare in ritardo
e molti si perdono come nel 2008: non c'e' urgenza di
intervenire, nulla è cambiato, tutti lo sanno.|
Grazie Ministro: in questi tempi difficili abbiamo sempre
più bisogno di certezze!
5
settembre 2009
P.S. Per la verità ieri pomeriggio, di ritorno dalla
Turchia, ho avuto la straordinaria sorpresa di trovare la
valigia sul nastro di consegna solo poco dopo
l'atterraggio dell'aereo. E' chiaro che una rondine.. non
fa primavera.
In compenso ho fatto, sia pure per una decina di minuti,
una fila all'unico posto di controllo passaporti aperto
per i cittadini dell'Unione Europea (dei tre
complessivamente in servizio). Intanto a fianco dei
passeggeri in fila tre agenti di polizia conversavano
allegramente. Non sarebbe stato possibile metterli al
lavoro ed attivare un altro posto di controllo? Possibile
che si abbia difficoltà ad immaginare una gestione dei
servizi flessibile, così che se arrivano più aerei insieme
e con molti passeggeri si possa ampliare il numero dei
posti di controllo, magari chiedendo a qualche dipendente
il sacrificio di rinviare a più tardi quell'amena
conversazione che certamente aveva lo scopo di alleviare
il peso del servizio?
Ad Istanbul i posti di controllo erano una ventina. C'è
voluto un secondo per passare il controllo.
Il confronto francamente mi ha mortificato come italiano.
Salvatore Sfrecola
SE IL MEDICO
DIVENTA ANCHE MANAGER
di J.L.R.
Il compito del Medico non è mai cambiato.
E’ ben scritto: rileggendo il giuramento di Ippocrate
si rileva la sua assoluta attualità.
Pur cambiando l’epidemiologia, la diagnostica, la
terapia, è rimasto fermo il punto chiave che il Medico
deve assistere e curare secondo scienza e coscienza
chiunque, senza distinzione di razza, religione, casta od
altro.
Il resto è subdolo tentativo di cambiare “le carte in
tavola” e tirare il camice del medico verso interessi
nazionali, politici, ecc., comunque di parte.
Il Medico deve fare solo il Medico: ciò è già molto
difficile.
L’attività medica (non solo negli Ospedali
Universitari) significa assistenza, aggiornamento
scientifico, attività scientifica, attività didattica.
In un'epoca in cui l’evoluzione medico-biologica è
travolgente (quello che sembra essere vero mentre scrivo
può non essere vero tra 24 ore) e spesso non è possibile
leggere in tempo gli articoli delle maggiori riviste
scientifiche che riguardano la stretta specializzazione di
nostra competenza…….ci viene chiesto di fare/essere
manager!
Nostro Signore, non a caso, disse che non si possono
servire due padroni !
Ma abbiate pazienza, tutti sanno che per fare i
manager (ed anche i semplici commercialisti!) bisogna
studiare (anche laurearsi), aggiornarsi, partecipare a
Masters, avere esperienza; tanto questo è vero che i
manager vengono pagati a milioni annui.
Allora come si può venire a dire con serietà che un
Medico debba essere anche un manager: forse viene detto
per scaricare le responsabilità finanziare ed
organizzative di altri, a dir poco, sconsiderati!
Se un Medico è un ottimo manager, probabilmente è un
medico scadente (un “traditore”della medicina di Ippocrate),
se è un ottimo Medico ben aggiornato e qualificato non
potrà aver avuto il tempo di imparare a fare il manager.
Un'altra fantastica idea è quella di coinvolgere il
Medico nella progettualità architettonica delle strutture
sanitarie? Ciò non sarebbe male (ma restano i problemi di
cui sopra) vista la dimostrata incompetenza dei “geometri
di basso livello” che operano nel settore sanitario nel
nostro Paese.
Benissimo, allora per trovare un ottimo Medico, buon
manager e buon architetto sarebbe bene chiedere ad un
ricercatore (medico/biologo) di cominciare a cercar di
clonare Leonardo da Vinci!
Allora correttamente sarebbe meglio dire che a fianco
di un Medico che occupa un ruolo dirigenziale (Professori
Universitari, Primari, Direttori di strutture sanitarie,
scientifiche, ecc) debba essere assicurata la presenza di
un manager e che quindi il Medico dovrebbe pensare “solo”
a studiare, aggiornarsi, insegnare, curare, alleviare le
sofferenze di tutti quelli che si rivolgono a lui.
Ai pazienti serve che il Medico sappia fare il suo
lavoro e non perda un solo minuto per imparare ed
aggiornarsi in benchmark, budget, swap,
costi del personale e tutto il resto.
Ricordiamoci che allorquando il medico sarà un
perfetto manager e verranno stabilite e codificate linee
guida diagnostiche e terapeutiche per tutte le patologie,
e che la Legge controllerà pedissequamente il rispetto di
queste, non ci saranno più Medici (con la M maiuscola) e
molti meno pazienti per precoce mortalità, con grande
soddisfazione per la riduzione delle spese sanitarie.
PS Attenti poi che i Manager ex medici pretenderanno
anche loro milioni annui di stipendio !
4 settembre 2009
Riflessioni e
domande sul caso Boffo
di Roberto de Mattei
Il caso Boffo va bene al di là delle relazioni tra
Berlusconi e il Vaticano, entro cui lo si vorrebbe
ingabbiare, e pone un problema di fondo alla Chiesa
cattolica.
La questione si riassume in questi termini: può
l’organo dei vescovi italiani essere diretto da un uomo
che è stato condannato per molestia e che, soprattutto, è
sospettato di essere in una condizione definita dal
Catechismo della Chiesa «intrinsecamente disordinata» e
«contraria alla legge naturale» (n. 2357)? Poco importa
come il fatto sia venuto alla luce. Quel che importa è che
il direttore di “Avvenire” non lo abbia mai esplicitamente
negato, aggiungendo alla doverosa smentita una altrettanta
categorica condanna di ogni comportamento omosessuale.
Il problema non tocca in alcun modo la vita privata
degli uomini politici, e tantomeno dei direttori dei
giornali italiani, ma – insistiamo su questo punto perché
è centrale – riguarda il direttore di un giornale
appartenente alla Conferenza Episcopale Italiana (CEI). La
domanda che poniamo alle autorità ecclesiastiche è la
seguente: è legittimo invocare il “rispetto della vita
privata” in casi come questo?
Berlusconi, Bossi, Casini, Fini e anche Franceschini,
Prodi e Veltroni, sono liberi di comportarsi come vogliono
nella loro vita privata. È lecito naturalmente giudicare
la coerenza, o l’incoerenza, tra i loro comportamenti
pubblici e privati ma, in ultima analisi, per la Chiesa la
loro azione pubblica è più importante di quella privata.
Per questo è preferibile un uomo politico immorale, ma
contrario alla legalizzazione dell’immoralità, ad un altro
uomo politico morigerato nella vita privata, ma favorevole
a istituzionalizzare l’immoralità nelle leggi e nel
costume.
Ben diverso è il caso di un personaggio designato
dalla CEI per un incarico così delicato, quale è quello di
essere il portavoce dei vescovi italiani. Per tutti gli
incarichi di responsabilità nelle istituzioni ecclesiali,
quali direttori di testate cattoliche, professori o
insegnanti in università cattoliche o pontificie, rettori
di seminari, superiori di ordini religiosi, parroci e
vescovi, la Chiesa ha sempre richiesto, e non può cessare
di richiedere, una rigorosa coerenza tra la vita pubblica
e quella privata. Le ragioni sono molteplici, e anche
ovvie.
In primo luogo la Chiesa non propone solo una
dottrina astratta, ma anche modelli di vita, incarnati,
nel più alto grado, dalla santità. Non si può pretendere
la santità da tutti, ma da tutti si esigono comportamenti,
anche privati, non contrari alla legge naturale e
cristiana. Quando ciò non accade, ci si trova in una
situazione di grave decadenza morale, come spesso è
avvenuto nella storia della Chiesa. Questa situazione deve
essere contrastata e non subita, o peggio ancora
giustificata. E questo, non per mancanza di carità nei
confronti delle membra deboli della Chiesa, che rimangono
sempre fratelli da amare, ma per l’amore, più alto, che è
dovuto in primis alla legge divina e poi a tutta la
comunità cristiana che, con fatica, a questa legge cerca
di conformarsi.
Una seconda ragione nasce dallo stretto rapporto
intercorrente tra le istituzioni e gli uomini che le
rappresentano. Un poliziotto implicato in una rapina
danneggia in maniera grave la credibilità della
istituzione a cui appartiene. Allo stesso modo chi predica
la morale, quando la trasgredisce nei fatti, causa un
danno non solo a sé stesso, ma ai princìpi che cerca di
trasmettere al prossimo.
Oggi esiste una violenta offensiva contro la Chiesa,
che mira a screditare i suoi rappresentanti, dipinti di
volta in volta come pedofili, ladri, corrotti, razzisti,
omosessuali, e comunque sempre in contraddizione con i
princìpi da loro professati. L’unica replica possibile a
questa manovra è la forza della Verità. Se le accuse sono
false, vanno smascherate e denunciate. Se sono vere, non
bisogna coprire i vizi, e tantomeno trasformarli in virtù,
ma occorre estirparli prontamente, sottolineando la
distinzione necessaria tra la Chiesa, sempre santa e
immacolata, e gli uomini di Chiesa, deboli e fallibili
come tutti i mortali. Essi vanno sempre amati, anche
quando sbagliano, ma mai giustificati per i loro errori.
Che senso ha esprimere loro “stima” e “solidarietà”?
Vi è ancora una ragione, fondata sul principio
secondo cui se non si vive come si pensa, si finisce col
pensare come si vive. Oggi la Chiesa è impegnata in una
dura battaglia contro il relativismo culturale e morale
che aggredisce la società. Questa battaglia esige idee
forti, ma anche uomini forti, coerenti con le proprie
idee. La pratica del relativismo morale conduce
inevitabilmente al relativismo ideologico, minando il
fronte di resistenza al nemico. Una delle cause più
profonde della debolezza culturale della Chiesa nel mondo,
sta oggi proprio nella debolezza morale dei suoi
rappresentanti. Ad un posto di responsabilità come quello
di direttore del giornale dei vescovi, bisognerebbe
designare un cattolico forte e coerente, e non già un uomo
di compromesso culturale e morale.
Se così non fosse, se cioè dovessimo immaginare che
la vita privata di un personaggio destinato ad alta carica
dai Pastori della Chiesa fosse priva di incidenza sulla
sua attività pubblica, dovremmo chiederci perché mai la
Santa Sede abbia inviato un congruo numero di visitatori
apostolici presso un importante congregazione religiosa,
sotto inchiesta per le trasgressioni morali private del
suo fondatore. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi. Perché
mai le università cattoliche e pontificie dovrebbero
chiedere patenti di fede e di morale, pubblica e privata,
ai propri docenti? Se si ammette il principio invocato per
difendere il direttore di “Avvenire”, le conseguenze per
la Chiesa sarebbero devastanti.
Al di là del disgusto per l’intera vicenda, quel che
appare grave ai semplici fedeli, quali noi siamo, non è
l’attacco a Dino Boffo di Vittorio Feltri, che in fin da
conti fa il suo mestiere di giornalista, ma il silenzio
con cui lo scandalo giudiziario è stato fino ad oggi
coperto da chi aveva il dovere di intervenire e ha ora
quello, impellente, di rimuovere dal suo incarico il
direttore di “Avvenire”.
Che Dio illumini i nostri uomini di Chiesa!
2 settembre 2009