NOVEMBRE 2009
Mannheimer e il partito di
Fini
La scommessa della
disgregazione del PdL
di Senator
Per Mannheimer il
partito di Fini, nell'ipotesi di un distacco dal Partito
della Libertà vale il 6%, calcolo difficile, ovviamente,
fondato su intenzioni formulate in un momento nel quale
un'elezione, quella per le regioni, è troppo vicina ed
un'altra, quella per il rinnovo del Parlamento, è ancora
lontana. Un dato, dunque, che lo stesso Mannheimer ritiene
necessario assumere con prudenza considerato per il
gradimento per Fini non può essere convertito oggi, come
non era ieri, in voti.
La simpatia per il
leader dell'ex Alleanza Nazionale nasce soprattutto a
sinistra in relazione alle sue prese di posizione laiche e
controcorrente in tema di immigrazione. E qui non è chiaro
quanto sia vero il consenso e quanto, invece, le posizioni
che Fini assume in contrasto con il Partito siano
apprezzate perché in dissenso da Berlusconi.
Devo dire che il 6%
mi pare obiettivamente troppo, un po' meno dei voti che AN
aveva quando si presentava da sola nell'ambito della
coalizione di Centrodestra. Va considerato, infatti, che i
colonnelli che tenevano il partito sono passati armi e
bagagli all'obbedienza di Berlusconi, prima Gasparri, poi
La Russa, infine Matteoli. A Fini in consiglio dei
Ministri resta solo Andrea Ronchi, fedelissimo quanto
modesto.
Il Fini che non
riesce ad essere grato a quanti s'impegnano per lui, che
si circonda di personaggi il più delle volte estremamente
modesti, non ha un controllo apprezzabile delle restanti
milizie di AN, mentre le sue iniziative "corsare" hanno
profondamente deluso quanti negli anni si sono battuti per
una scelta nazionale, ispirata ai valori cattolici, ad una
destra moderata ma decisa a rivendicare un ruolo di
equilibrio all'interno del sistema. Un partito di destra,
si potrebbe dire, parafrasando una vecchia definizione
della Democrazia Cristiana, che guarda al
centro.
Quella ipotesi è
svanita, ritrovatosi improvvisamente Fini, laico e
anticlericale, ha gelato le simpatie della Chiesa ed ora
appare poco affidabile al centro ed a destra.
Quel 6% mi pare
troppo. Più concreto dimezzarlo. Ma forse Fini ricucirà
con Berlusconi e resterà con lui nella speranza, che a mio
giudizio è assolutamente priva di fondamento, di
succedergli.
29 novembre 2009
Poveri figli!
L'idiozia del nome
inventato
di Senator
Ancora una volta
Verissimo supera se stesso e getta nello scompiglio la
gente normale, quella che ha come nome quello del nonno o
della nonna o di qualcuno degli amici di famiglia o,
magari, quello di un uomo illustre della storia della
letteratura o dell'arte, quasi sempre il nome di un santo
o di una santa.
Da tempo va di moda
il nome... di moda, con la conseguenza che, poiché la moda
cambia abbastanza rapidamente, quel nome indica anche, più
o meno, l'anno di nascita che, specie per le signore
diventa difficile nascondere. Non oggi, naturalmente, ma
quando gli "anta" cominceranno a pesare.
A Verissimo,
dunque, intervistata dalla Tofanin si esibisce un ospite
ricorrente, quella Lory Del Santo, della quale poco dicono
le cronache artistiche, molto di più quelle mondane.
Ebbene la Lory racconta di aver scelto per il figlio due
nomi di fantasia e ride alla grande quando racconta che
alla domanda del figlio sul significato del nome la tenera
mammina non ha saputo rispondere. E giù a ridere, mentre
l'altro ospite fisso, un manierato signore che dirige
Chi, del quale non riesco a ricordare il nome, mi
sembra Alfonso Signorini, si sganascia dalle risate
dicendo che ormai Giuseppe, Marco, Antonio, ecc. li
portano i cani.
Da notare che
Canale 5, dove va in onda Verissimo, è una delle
reti del Presidente del Consiglio, quel signore che parla
sempre della famiglia, dei suoi buoni rapporti con la
Chiesa, del culto della tradizione e, per questo, riceve
il voto delle mamme e delle nonne, entusiaste di questo
disinvolto personaggio che domina con la sua pesante
presenza televisiva e giornalistica l'opinione pubblica,
spesso raccontando barzellette.
Guarda le sue
televisioni il Presidente del Consiglio? Dubito ne abbia
tempo, ma farebbe bene a seguire ogni tanto gli spettacoli
che propina agli italiani.
Nel dubbio
rimandiamo ogni giudizio, ma solo per carità di patria
perché non credo che non abbia avuto ritorni su certi
spettacoli a dir poco discutibili, sul piano del costume e
della morale. Il che non vuol dire "viva i bacchettoni" ma
semplicemente che un po' di buon gusto dovrebbe escludere
di sghignazzare su nomi che portano centinaia di migliaia
di italiani in ricordo di virtuosi uomini di fede.
Ma il buon gusto da
tempo ha lasciato il posto alla volgarità, negli
spettacoli come in politica.
29 novembre 2009
Nei servizi di interesse
comunitario
Pubblico: perché non
funziona
di Salvatore Sfrecola
Mi sono sempre
chiesto cosa voglia dire "meno Stato più mercato" e perché
privato sia "bello" anche nei servizi di interesse
comunitario, da ultimo i servizi idrici. "In paesi in cui
l'amministrazione è inefficiente e non corrotta, i
monopoli privati regolati funzionano meglio dei monopoli
pubblici: la proprietà privata aumento l'efficienza,
mentre il regolatore limita i prezzi", scrive Luigi
Zingales su L'Espresso in edicola in questi giorni.
E'ì certamente vero
ma perché il pubblico è inevitabilmente sintomo di
inefficienza. Non dovrebbe esserlo. La funzione pubblica
dei servizi di interesse comunitario, l'acqua, la nettezza
urbana, il trasporto pubblico su gomma e su rotaia
possono, e in alcuni momenti storici ed in altre realtà
sono, efficienti, hanno disponibilità di risorse e le
destinano all'esercizio dell'attività cui sono
preordinati. Il personale "sente" l'orgoglio di essere al
servizio dello Stato, cioè della comunità, e risponde alle
sollecitazioni dei governanti con l'efficienza.
Quando questo non
accade non è colpa del pubblico in quanto tale. E' colpa
della classe politica che trascura di destinare risorse a
questi servizi, pone al vertice delle strutture
amministratori incapaci ma fedeli che non sanno governare
le realtà e gestire nel rispetto dei principi di
economicità, efficienza ed efficacia.
E' proprio nel caso
della gestione del servizio idrico che questa situazione
si manifesta in tutta la sua drammaticità. In un Paese
ricco di acque, che, infatti, vengono esportate in tutto
il mondo, con acquedotti che perdono oltre il 50 per cento
della loro capacità, spesso per fare gli interessi di
privati che "gestiscono" la risorsa, con tariffe ridicole
nella logica, sbagliata, che l'acqua non debba costare che
pochi spiccioli è evidente che si arriva presto, come è
accaduto da noi, al collasso del sistema, per cui è
necessario privatizzare per restituire un minimo di
efficienza al sistema.
Ora si teme
l'aumento delle tariffe. Sarà inevitabile. Un gestore
privato che si propone di ricavare un utile
dall'investimento deve in qualche modo acquisire risorse
dall'utenza che, per parte sua, deve entrare nell'ottica
che un servizio va pagato se vuole il controllo delle
falde e l'igiene degli impianti.
E qui ancora una
volta torna il ruolo del pubblico. In funzione di
regolazione, innanzitutto, delle tariffe e dei servizi, e
di controllo del buon funzionamento del complesso della
gestione in relazione all'interesse pubblico presente nel
settore in modo prepotente.
Pubblico e privato
a confronto dunque. L'esperienza insegna che vi sono
state strutture pubbliche efficientissime ed altre ve ne
sono ancora quando manager capaci sono stati messi al
posto giusto, quando la politica ha fatto buone scelte,
cioè vere scelte politiche, nell'interesse comunitario.
Anche
l'espressione "meno Stato più mercato" va vista alla luce
delle varie esperienze nelle quali i due elementi si
combinano in forme diverse. Ad esempio nella fase della
rinascita dell'economia italiana dopo il primo ed il
secondo dopoguerra è stato essenziale l'apporto delle
imprese pubbliche nello sviluppo di produzioni che un
privato non sarebbe stato in grado di portare avanti con
lo stesso impegno e nella realizzazione di lavori che
esigevano grossi investimenti. Si pensi ad ITALSTAT che ha
realizzato anche all'estero grandi opere pubbliche aprendo
la strada anche ai nostri imprenditori.
Questo equilibrio
pubblico-privato è saltato nell'orgia antistatalista che
non ha compreso le ragioni di una sinergia che in altre
realtà continua a dare sicurezza a settori importanti
della produzione e del lavoro e ad assicurare occupazione
consistente e qualificata.
Al tempo del
Fascismo, quando fu creato l'Istituto pr la Ricostruzione
Industriale (I.R.I.) e nella prima Repubblica a quelle
imprese sono stati preposti manager di valore che, anche
quando erano di stretta osservanza politica avevano
professionalità e dignità nell'esercizio della funzione.
C'è stata anche corruzione, è vero, ma non a scapito
dell'efficienza delle imprese. Una corruzione che oggi
continua in un clima di vasta inefficienza. E in un
contesto di impunità per i processi che si prescrivono e
che si prescriveranno ancor di più se saranno stabiliti
tempi di durata dei processi incompatibili con le
condizioni dell'apparato giustizia.
28 novembre 2009
Napolitano: basta
tensioni
Un monito autorevole ma
che (forse) rimarrà inascoltato
di Senator
Ancora un "monito"
di Napolitano, come oggi si legge nelle prime pagine dei
giornali, un richiamo a tutti ad abbassare i toni. E'
l'interesse
del Paese, "che deve affrontare seri e
complessi problemi di ordine economico e sociale" e
"richiede - dice il Capo dello Stato - che si fermi la
spirale di una crescente drammatizzazione, cui si sta
assistendo, delle polemiche e delle tensioni non solo tra
opposte parti politiche ma tra istituzioni investite di
distinte responsabilità costituzionali".
Una
dichiarazione evidentemente preoccupata,
resa ai giornalisti dal Presidente al termine dell'udienza
con l'Anmil. "Va ribadito - ha continuato il Capo dello
Stato - che nulla può abbattere un governo che abbia la
fiducia della maggioranza del Parlamento, in quanto poggi
sulla coesione della coalizione che ha ottenuto dai
cittadini-elettori il consenso necessario per governare".
"E' indispensabile che da tutte le parti venga uno sforzo
di autocontrollo nelle dichiarazioni pubbliche, e che
quanti appartengono alla istituzione preposta
all'esercizio della giurisdizione, si attengano
rigorosamente allo svolgimento di tale funzione E spetta
al Parlamento - ha concluso il Presidente Napolitano -
esaminare, in un clima più costruttivo, misure di riforma
volte a definire corretti equilibri tra politica e
giustizia".
Un monito che forse
rimarrà inascoltato. Infatti in prossimità delle elezioni
Berlusconi è convinto che vestendo gli abiti del
perseguitato riuscirà a convogliare voti sulla coalizione.
Ma attenzione, non si possono trascurare le tensioni
interne al Partito della Libertà che qualcuno
potrebbe essere indotto ad accrescere ed enfatizzare,
anche a rischio di una sconfitta elettorale che potrebbe
costituire occasione per la resa dei conti all'interno del
Partito tra ex di Forza Italia ed ex di Alleanza
Nazionale, anche in vista del possibile rafforzamento
della Lega.
Che la resa
dei conti sia iniziata lo dimostra l'azione di Fini che
ogni giorno alza sempre più il tono della polemica
entrando nella battaglia politica a gamba tesa per un
evidente desiderio di riprendere un ruolo politico che ha
perduto all'atto della confluenza di AN nel PDL e
della sua ascesa alla Presidenza della Camera.
Va notato che il Capo
dello Stato nel suo messaggio ai contendenti ha detto che
nulla può abbattere il governo
"in quanto poggi sulla coesione della
coalizione",
proprio quello che Fini si appresta a mettere in forse con
la sua azione un po' maramaldesca nel momento in cui
Berlusconi è in evidente difficoltà nei suoi rapporti con
la magistratura gestiti malissimo fin dal 1994, quando la
proposta, boccata da Scalfaro, di portare al Ministero
della giustizia l'avvocato Cesare Previti è stato un
innegabile segnale del timore del Premier che la sua
pregressa attività di imprenditore fosse occasione di
inchieste giudiziarie sul modo con il quale la sua
ricchezza si era consolidata nel tempo.
Mal consigliato dai
suoi avvocati Berlusconi, ragionando da imprenditore che
deve affermare le sue ragioni ad ogni costo, ha attaccato
a fondo e ripetutamente con toni che non si addicono ad
una persona delle istituzioni ottenendo come risposta
l'arroccamento della categoria a difesa anche delle
minoranze chiassose e politicizzate. Invece di isolarle il
Cavaliere ha dato loro l'aura del martirio. Un errore che
ho ripetutamente segnalato invitando il Premier a
licenziare i suoi consulenti in materia di giustizia per
riprendere con le toghe un dialogo dai toni propri di un
confronto istituzionale.
Niente da fare.
Escluso che Berlusconi sia uno sciocco è evidente che
teme, più esattamente che ha qualcosa da temere. Di serio.
Per questo è
probabile che il monito di Napolitano rimarrà privo di
conseguenze pratiche. Non crede nell'effetto positivo
neppure il Presidente che con quel
"in quanto poggi sulla coesione della
coalizione" sembra prevedere una faida interna i cui
sviluppi potrebbero far cadere il governo.
28 novembre 2009
Al Ristorante "Sangallo"
Gli autori festeggiano
con amici e colleghi il nuovo libro
(la responsabilità della
P.A. e dei suoi dipendenti)
Fiammetta Palmieri,
magistrato di Tribunale, Salvatore Sfrecola,
Viceprocuratore generale della Corte dei conti, e Paola
Maria Zerman, Avvocato dello Stato, Autori del libro "La
responsabilità della P.A e del pubblico dipendente", edito
da Il Sole 24 Ore nella collana Enti Locali, in libreria
da qualche giorno, hanno incontrano amici e colleghi per
un brindisi al Ristorante “Sangallo”, in via dei Coronari,
a Roma.
Notati tra i presenti, Don Sforza Ruspoli, Principe di
Cerveteri, Pasquale de Lise, Presidente aggiunto del
Consiglio di Stato, Luigi Giampaolino, Presidente
dell'Autorità sui contratti pubblici di lavori e
forniture, accompagnato dal Consigliere Giuseppe Borgia e
dal Capo di Gabinetto Luigi Caso, con la Signora Valeria
Procaccini, Magistrato di Tribunale, la dottoressa
Donatella Palma, Dirigente del servizio risorse umane e
tecniche dell'Autorità, il Presidente di Sezione del
Consiglio di Stato Giuseppe Faberi, una folta
rappresentanza di Avvocati dello Stato, colleghi della
coautrice e coordinatrice del testo, Paola Zerman,
Giancarlo Mandò, Avvocato Generale aggiunto, il Vice
Avvocato Generale Glauco Nori, il Segretario generale
dell'Avvocatura Generale, Ruggero Di Martino, gli avvocati
Alessandro De Stefano, Vittorio Cesaroni, Francesco
Meloncelli, con il padre, Professor Achille, Consigliere
di Cassazione, Angelo Venturini, Rosario Di Maggio,
dell'Avvocatura distrettuale di Palermo, ed i praticanti
che collaborano con l'Avv. Zerman, Maria Vittoria Grazini
e Pietro Sabelli, il Consigliere di amministrazione
della RAI, Angelo Maria Petroni, il Presidente di Fintecna
e Direttore dell'Agenzia del Demanio, Maurizio Prato, i
magistrati della Corte dei conti, Consigliere Antonio
Frittella, i vice procuratori generali Lucio Alberti,
Marco Smiroldo, Massimo Di Stefano, Massimiliano Minerva,
Roberto Benedetti, il Procuratore regionale delle Marche,
Maurizio Mirabella e Signora Gabriella, il Presidente di
Borsa Elettrica Alfonso Maria
Rossi Brigante, con la
moglie Anna Maria Rita Lentini, Consigliere della Corte
dei conti, Donatella Scandurra magistrato alla Corte di
Ancona, il dottor Emilio Croce, Presidente dell'ENPAF e
dell'Ordine dei farmacisti di Roma, Beatrice Meniconi,
avvocato, fresca vincitrice del Consorso a referendario
della Corte dei conti, Ada Vitanza, magistrato ordinario,
Maria Monteleone, Sostituto procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di Roma, Elisabetta Viviani,
musicista, il giudice Daniele Cenci, del Tribunale di
Perugia,
i
componenti del Consiglio Superiore della Magistratura
Cosimo Ferri e Giulio Romano, Salvatore Italia, Presidente
di Arcus s.p.a., la società che gestisce la valorizzazione
della cultura, con il Direttore Generale, Ettore
Pietrabissa, e l'Avvocato Cinzia Circi, il
Professor Emanuele Itta, già consigliere economico dei
Vice Presidenti del Consiglio Fini e D'alema, la
dottoressa
Marina Gileno, dirigente
della Procura regionale della Corte dei conti del Lazio,
la dottoressa Licia Grassucci, dirigente del Consiglio di
Stato, la dottoressa Giuseppina Panunzio del Ministero
dello Sviluppo Economico, con il marito Igino De Angelis,
la Signora Lina Aglietti, assistente del Consigliere
Sfrecola, la Signora Doriana Petrozzi, con il marito Ing.
Maurizio Ciccone, dirigente ISPF dell'Autorità di
vigilanza sui contratti pubblici,.
Amici dei tre autori
anche il
Consigliere di Cassazione Umberto
De Augustinis, il
Consigliere della Corte dei conti, Massimo Amato Lasalvia,
entrambi vice capo del Dipartimento per gli affari
giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei
Ministri, il Consigliere di Stato Ermanno Di Francisco, i
giudici Corrado Bile, Maria Teresa Poli, anch'essi al DAGL,
Giuseppina Leo e Debora Sulpizi, magistrati, l'avvocato
Cristina Piga, il Professore Arnaldo Morace Tinelli, di
Tor Vergata, Paolo Papadia dell'ISVAP.
Tra le autorità militari il Colonnello Vito
Augelli, Comandate del
Nucleo di polizia tributaria di Roma,
il Tenente Colonnello Fabio Pisani, Comandante del Gruppo
Tutela Spesa Pubblica, il Generale di Corpo d'armata dei
Carabinieri Goffredo Mencagli, Consigliere del Ministro
della difesa, il Generale Sergio Filipponi, il Colonnello
Pierluigi Vestrucci, Comandante dei Carabinieri della
Corte dei conti.
Tra i
rappresentanti dell'Avvocatura, l'Avvocato Stefania Ricci,
della Regione Lazio,
l'Avvocato Gianclaudio Picardi, dell'ANAS,
e per il libero Foro, i Professori Filippo de Jorio,
Giuseppe Gugliuzza e Pietrangelo Jaricci,
l'Avvocato
Andrea
Altieri, legale della
Consip, l'Avvocato Laura Lunghi, di BancaIntesa, cultore
di Diritto amministrativo europeo nella Facoltà di
giurisprudenza della LUMSA.
Tra gli
amici degli autori che operano nel settore industriale, la
dottoressa Rossana Berini, delle relazioni esterne di
FINMECCANICA con il marito
Professor Edmondo Terzoli, l'avvocato Vincenzo Cappiello,
Amministratore delegato di FINTECNA Immobiliare, con la
Signora Anna Maria, avvocato.
l'Ing.
Leonello Del Signore, di Finmeccanica,
l'Ing. Adriana Elena, di Astrall, il Direttore generale
dell'INSEAN, Grande, il dottor Roberto Ramelli di Celle,
ex dirigente di ALITALIA, con il figlio, Ing.
Filippo, l'ing. Matteo D'addetta, con la moglie,
dottoressa Giovanna Scittarelli, psicologa e
psicoterapeuta, e la figlia avvocato Valeria, di Wind, il
Prof. Giulio De Rossi, Primario ematologo dell'Ospedale
Romano Bambino Gesù con la Signora Anna Maria, il Prof.
Armando Calzolari con la moglie, Signora Cola Villani,
docente di Scienza delle finanze alla Sapienza, il Prof.
Adalberto Thau, la Professoressa Dina Nerozzi,
neuropsichiatra E poi Anna Maria Ramazzotti, un passato
nelle pubbliche relazioni di Banca Fideruram,
l'editore Luciano
Lucarini con la Signora
Grazia, Marco Bufacchi, Francesca Caneva, Demetrio
Crucitti, Ingegnere RAI. Fabrizio Giulimondi, della
Segreteria del Sindaco di Roma, la dottoressa Angela De
Giorgio, Capo della Segreteria del Vice Ministro alle
infrastrutture, Castelli,
il dottor Giovanni Di Leo, Commercialista, Nives Severo e
il Marito Vito,
la dottoressa Rossella
Tangredi, della Presidenza del Consiglio dei Ministri,
Giovanni Battista, brooker assicurazioni con la Signora
Roberta Alasia, prossimi sposi, Giuseppe Girone,
dell'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di
appalti e forniture, già collaboratore del Consigliere
Sfrecola al Gabinetto del Vicepresidente del Consiglio,
Gianfranco Fini, e segretario di redazione della Rivista
"Amministrazione e Contabilità dello Stato e degli Enti
pubblici", il dottor Fabrizio Marconi Fabrizio, Banca
d’Italia
Per il Sole 24 Ore,
editore del libro, la Dottoressa Irene Chiappalone ed il
dottor Gianluca Pergolo.
Numerose foto sono
state scattate da
Enrico Para, di Imperofotografico, fotografo ufficiale del
Presidente della Camera dei deputati.
Per le famiglie degli
autori Raffaele Palmieri e Maria Teresa Caiazzo, il papà e
la mamma di Fiammetta Palmieri, con la sorella Giovanna.
magistrato anch'essa, le figlie del Consigliere Sfrecola,
Elena, con il Marito Mario Pirozzi, di Selex, e Maria
Elisabetta, alle prime esperienze di lavoro presso
l'Avvocatura della Regione Lazio, il fratello, dottor
Paolo e la cugina Andreola Rufo, il fratello dell'Avv.
Zerman, ingegnere Antonio consulente di Enav e del
Ministero delle infrastrutture.
27 novembre 2009
La morte del
transessuale Brenda
Un rogo sospetto
di Senator
Spetta all'autorità
di pubblica sicurezza ed alla magistratura chiarire con
rapidità cause ed eventuali responsabilità della morte del
transessuale Brenda, all'attenzione della cronaca dopo le
rivelazioni sul caso Marrazzo.
Non è la sola
morte. Anche Gianguarino Cafasso, lo
spacciatore indicato da uno dei carabinieri arrestati come
"confidente", è morto a settembre per una crisi cardiaca
addebitata ad una overdose, in un hotel sulla via Salaria.
Cafasso, scrive l'ANSA,
"legato a un transessuale di nome Jennifer, che era
presente al momento della sua morte, era molto conosciuto
negli ambienti dei viados di via Gradoli. Secondo i
carabinieri sarebbe stato Cafasso nei primi giorni di
luglio a segnalare la presenza di un 'festino'
nell'appartamento di via Gradoli".
Morti misteriose,
quelle di Cafasso e Brenda? Forse no. Ma spetta alla
magistratura chiarire tutti i dubbi. Perché le voci che
indicano nei "clienti" di Brenda e delle sue "compagne"
personaggi della politica devono essere smentite
dall'inchiesta, raspidamente. Altrimenti ci terremmo per
anni il sospetto che quelle morti siano da addebitare a
chi non vuole che si sappia qualcosa di compromettente.
L'Italia non può
permetterselo. Ne va della democrazia.
22 novembre 2009
Se il docente richiede
prestazioni sessuali in cambio di un buon voto.
Quando l'immagine pubblica non è tutelata
di Salvatore Sfrecola
Ore 15,15, Rai Uno,
Domenica in, Massimo Giletti, che la conduce insieme a a
Pippo Baudo, porta in trasmissione due episodi nei quali
l'immagine della scuola, per l'esattezza dell'università,
viene gravemente lesa dal comportamento di due docenti.
Uno a Catania, che conduce esami a porte chiuse, l'altro,
a Matera, che si intrattiene con le studentesse nel suo
studio promettendo un buon voto in cambio di effusioni e
palpeggiamenti. Una non ci sta, interviene la Polizia che
predispone un sistema di sorveglianza con telecamere. I
fatti vengono accertati e il docente denunciato. In sede
penale viene condannato a seguito di patteggiamento.
E' lesa l'immagine
dello Stato e dell'università, luogo di cultura nella
quale chi insegna giura fedeltà alla Repubblica ed alle
sue leggi. Il danno è gravissimo agli occhi dei cittadini,
indotti a perdere fiducia nelle istituzioni. Si sa come
ragiona la gente. Non sarà l'unico episodio. Magari mezzo
voto strappato per simpatia umana, senza alcuna
contropartita, diventa un fatto sul quale si mormora.
Ebbene un episodio
come quello di Matera, che danneggia l'immagine di una
pubblica istituzione, sarebbe stato oggetto dell'azione di
risarcimento del danno "all'immagine", appunto, da parte
del Procuratore regionale della Corte dei conti. Cosa
c'entra direte. Invece c'entra il giudice contabile in
quanto l'immagine è un bene, sia pure immateriale, che la
Pubblica Amministrazione ha nel suo patrimonio, un bene
che, una volta leso, esige un risarcimento. Ebbene il
risarcimento del danno prodotto allo Stato o ad un ente
pubblico è, secondo la Costituzione (art. 103, comma 2) di
competenza della Corte dei conti.
Ma forse si doveva
dire era, quantomeno nel caso di specie. Infatti con un
decreto legge dell'agosto di quest'anno (il n. 103 del 4
agosto) è stato stabilito che il danno all'immagine è
perseguibile solo in caso di delitti contro la Pubblica
Amministrazione (peculato, corruzione, concussione, ecc.)
ovvero per un altro reato che abbia causato un danno
erariale segnalato dal Procuratore della Repubblica al
collega Procuratore della Corte dei conti. Ebbene in un
caso come questo è dubbio che il P.M. penale nel momento
in cui esercita l'azione con la richiesta di rinvio a
giudizio ne darebbe notizia al Procuratore regionale della
Corte dei conti per l'ovvia ragione che quel
comportamento, come l'abuso sessuale, ma possiamo fare
l'esempio del docente pedofilo, non appare ai suoi occhi
produttivo da solo di un danno all'erario.
Quel che appare
irrazionale ed è stato nel breve tempo di vigenza della
norma già segnalato alla Corte costituzionale è che il
danno all'immagine è inscindibilmente collegato ad un
illecito penale, mentre la giurisprudenza della Corte dei
conti ha affermato, in ciò trovando il consenso della
Cassazione, che il danno all'immagine prescinde
dall'eventuale profilo penale della condotta illecita ed
attiene al pregiudizio che l'azione o l'omissione
gravemente colposa del dipendente provoca allo Stato.
Un altro caso di
ridotta tutela dello Stato indotta da leggi ad personam
perché non è dubbio che dietro l'iniziativa vi sia
qualche processo intentato a carico di uno dei tanti
intoccabili della politica.
15 novembre 2009
Signor Preside, si
vergogni!
Un cencio sporco la
bandiera nazionale del liceo Virgilio
di Salvatore Sfrecola
Un tempo era uno
dei licei classici più prestigiosi di Roma,in via Giulia
38, nel cuore della Città barocca. Contendeva al Visconti
ed al Tasso, il mio liceo, la palma della migliore
istruzione superiore. Mi auguro che la scuola attinga
ancora quei livelli di eccellenza.
Dove non eccelle,
invece, è nel rispetto del tricolore nazionale, la
bandiera della Patria, che fa pessima mostra di se,
accanto al vessillo dell'Unione Europea, ai lati del
portone d'ingresso. Ridotta ad un cencio sporco, lì
evidentemente da molto tempo.
Non si vergogna il
Preside di quella bandiera così maltrattata? Quale
insegnamento offre ai suoi studenti, i futuri cittadini
italiani, con quella bandiera vilipesa? Cosa devono
pensare i giovani romani che frequentano la scuola e
quanti passano accanto al palazzo? Che il simbolo
d'Italia, dello Stato, non merita alcun rispetto?
Si vergogni
Preside! La sua scuola impartisce non solo nozioni, ma
avvicina alla cultura, ai "saperi" come con brutto
neologismo si usa dire. Tra questi è importante tutto ciò
che viene dalla tradizione umanistica del nostro Paese, da
quello spirito nazionale, coltivato da poeti, filosofi,
storici, letterati, che attraverso i secoli ha mirato
all'unità della Patria, quella che ci apprestiamo a
celebrare tra poco meno di due anni.
Quella bandiera,
Preside, anche se lei evidentemente la disprezza, è il
simbolo di un Paese e della sua storia e merita rispetto
per i giovani che si apprestano ad entrare nel mondo del
lavoro come cittadini e professionisti, e per tutti coloro
che passano in via Giulia, per gli stranieri che affollano
una delle strade più belle di Roma e che sono abituati,
nei rispettivi paesi, a ben altro rispetto per la
bandiere.
Vergogna, Preside,
lei mantenendo in quelle condizioni la bandiera d'Italia,
offende l'immagine stessa del Paese e della Scuola, quella
con la "S" maiuscola, laddove l'insegnamento diventa
cultura, ereditata dal passato e protesa verso il futuro.
15 novembre 2009
Dalla tutela alla
violenza delle minoranze
di Salvatore Sfrecola
Canale 5, ore 10 di
oggi, domenica 15 novembre, va in onda la replica di
Verissimo, trasmissione condotta da Silvia Tofanin,
una bella ragazza, disinvolta e simpatica, se da qualche
tempo non ci bombardasse con messaggi che esaltano
l'omosessualità.
Non seguo la
trasmissione per cui m'imbatto in essa solo quando faccio
zapping. Inevitabilmente incappo delle divagazioni
omosessualistiche della Tofanin il che significa,
statisticamente, che il tema è ricorrente, ossessivamente,
direi.
Ora non è dubbio
che in un Paese civile massimo deve essere il rispetto per
le persone per le loro idee, quindi anche per le loro
tendenze sessuali. E' il tema della non discriminazione,
della tutela delle minoranze, sul quale si sono versati
litri d'inchiostro, espressione consueta anche nell'era
del computer, per dire che nessuno deve essere emarginato
per le proprie idee politiche e religiose e per i gusti
personali seguiti. Lo dice la nostra Costituzione, è
regola fondamentale della Carta dei diritti europea.
Tuttavia dev'essere
chiaro che la non discriminazione non può trasformarsi in
imposizione nei confronti delle maggioranze. In una
parola, stiamo passando dalla tutela delle minoranze,
giustissima, alla violenza delle minoranze, del tutto
intollerabile, con pericoli di reazione non auspicabili.
Credo che sia
evidente a tutti questa situazione certificata dal
tentativo di introdurre nell'ordinamento giuridico
italiano una norma cosiddetta antiomofobia che vorrebbe
punire chiunque in qualche modo critichi le tendenze
omosessuali. Con evidente limitazione del diritto di
opinione.
L'iniziativa, nella
quale si riconoscono vasti settori del Parlamento (la
tirannia della ricerca del consenso!) sta proprio a
significare che gli ambienti gay si sono resi conto di
aver tirato troppo la corda e di essere passati dalla
difesa dei diritti all'imposizione di un costume che
continua, fortunatamente, ad essere di una minoranza,
chiassosa ma sempre minoranza. E corrono ai ripari con una
norma chiaramente illiberale, che nega la libertà di
manifestazione del pensiero.
Spiego il
"fortunatamente". Liberi tutti di pensare come vogliono e
di praticare tutte le tendenze sessuali che desiderano, ma
è certo che la società, come dice la Costituzione, si base
sulla famiglia formata da un uomo e da una donna, come si
deduce, se non altro, dal fatto che la Carta fondamentale
valorizza la procreazione, l'educazione e l'istruzione dei
figli. E le coppie omosessuali sono naturalmente sterili.
Ripeto, massimo
rispetto per tutti, ma nessuna violenza delle minoranze.
15 novembre 2009
Palazzo Chigi e dintorni
Rumors sul Governo:
Letta Vicepresidente,
Catricalà
Sottosegretario?
di Senator
Dopo i malesseri
che nel Partito della Libertà hanno accompagnato e
seguito l'annuncio della riduzione dell'IRAP, ennesimo
scoop elettoralistico del Premier subito ridimensionato
dal suo Ministro dell'economia (se ne parlerà più avanti)
e le polemiche prese di posizione di Bossi, strenuo
difensore di Tremonti, Berlusconi ha compreso che non
poteva dare la Vicepresidenza al timoniere di via XX
Settembre, già troppo forte nel governo per via della
disponibilità dei conti pubblici che gli danno un potere
assoluto sui cordoni della borsa.
Così il Cavaliere
ricorre al Gran Mediatore, a quel Gianni letta che dal
1994 gli assicura un efficace coordinamento dell'azione di
governo negli ultimi tempi compresso dalla prepotente
personalità del Ministro dell'economia che nelle vicende
di contenuto economico e finanziario domina la fase
preparatoria del Consiglio dei Ministri, da sempre in mano
a Letta ed al Capo del Dipartimento per gli affari
giuridici e legislativi, il Consigliere di Stato Claudio
Zucchelli.
Per riequilibrare i
poteri all'interno del Governo Berlusconi vuole dare la
Vicepresidenza a Letta e portare a Palazzo Chigi Antonio
Catricalà, Presidente dell'Autorità per la vigilanza
sul mercato, Consigliere di Stato, Grand Commis,
già suo diretto collaboratore come Segretario Generale
della Presidenza del Consiglio, che sente da tempo il
desiderio di passare ad un importante incarico politico.
Giovanissimo Consigliere di Stato Catricalà appartiene a
quell'area di intellettuali di area socialista, allievi di
Giuliano Amato e Franco Bassanini che con l'Avvocato
dello Stato Antonino Freni e Franco Frattini hanno
occupato vari posti del potere ministeriale ed a Palazzo
Chigi dove Amato e Bassanini sono stati Sottosegretari,
Freni e Frattini Segretari generali.
Si ricostituirà
così un team già efficacemente sperimentato per gran parte
della legislatura 2001-2006 (memorabile lo scontro
Fini-Catricalà sul funzionamento dell'Ufficio del
Commissario straordinario del Governo per il coordinamento
delle politiche antidroga, allora retto del Prefetto
Pietro Soggiu, quando Catricalà incassò l'appoggio
incondizionato di Berlusconi). L'intesa tra Letta e
Catricalà è stata sempre ottima. Grande capacità di
coordinamento delle varie realtà ministeriali Catricalà si
avvale di uno staff di fedelissimi che senza dubbio
riporterà a Palazzo, soprattutto Luigi Fiorentino al quale
aveva affidato l'importante Dipartimento del personale e
Paolo Troiani, Consigliere di Stato, che già svolge
funzioni di vicesegretario generale con Manlio Strano,
prossimo al pensionamento ma che sarà certamente ripescato
come Consigliere di Stato o della Corte dei conti. Per
lunghi anni Capo della segreteria del Consiglio dei
Ministri Strano è stato insignito proprio da Letta del
premio dell'eccellenza. Tra i due l'intesa è perfetta.
Con un team di
ferro Berlusconi spera di riprendere in mano quel
coordinamento dell'azione di governo che la Costituzione
gli assegna ma che, di fatto, è in mano a chi conosce le
questioni della finanza e può dare l'ok su tutte le scelte
che implicano impegni di spesa.
Più tranquillo sul
versante del Governo Berlusconi può dedicare più tempo
alle questioni politiche, a cercare di esorcizzare
l'incubo Fini. Il Presidente della camera è partito
all'attacco, sente che il Cavaliere potrebbe essere
disarcionato presto dai giudici che gli sono addosso per
le sue pregresse attività d'imprenditore, mentre la sua
immagine, deteriorata all'estero, rischia anche in Italia,
in un Paese che un po' ammira un po' invidia i furbi e gli
spregiudicati, quando hanno il potere. Con la conseguenza
che se quel potere vacilla tutti voltano le spalle. La
vicenda politica e umana di Mussolini deve essere un
incubo per il Cavaliere che oggi teme anche per le sue
sostanze che hanno avuto una espansione geometrica da
quando è sceso in politica. I maligni dicono proprio per
salvarsi dai suoi guai giudiziari preannunciati e dalle
banche creditrici.
"Chi troppo in alto
va cade sovente", dice un vecchio proverbio. Lo sa anche
Berlusconi, come tutti i potenti che però sembrano
accecati dal loro potere e si ritengono invincibili e
immortali. E inevitabilmente credono che la storia sia
stata scritta per gli altri.
15 novembre 2009
La responsabilità della
P.A.
Brindisi per un libro
Fiammetta Palmieri,
Salvatore Sfrecola e Paola Maria Zerman, Autori del libro
"La responsabilità della P.A e del pubblico dipendente",
edito da Il Sole 24 Ore nella collana Enti Locali, in
libreria da qualche giorno, incontrano gli amici per un
brindisi al Ristorante “Sangallo”, in via dei Coronari
(angolo Piazza San Salvatore in Lauro), 180, dalle 18 alle
20 del 26 novembre 2009.
14 novembre 2009
Lascia perplessi la
proposta di legge sulle intercettazioni
di Davide Steccanella
*
E’ vero che
continua “a cambiare” (mi pare di avere già contato 3 o 4
diverse stesure.) ma l’ultima proposta di legge per
modificare le norme processuali in materia di
intercettazioni telefoniche presta il fianco a fondate
censure, al punto che sorge il sospetto che pur partendo
da una giusta esigenza di riformulazione (troppi, in
effetti, i riscontrati abusi.) si voglia di fatto
eliminare tale mezzo di ricerca della prova.
Due in particolare
le “novità” che meriterebbero di essere più compiutamente
rivisitate, una di “merito” e l’altra di “organizzazione
pratica”, la prima infatti attiene ai presupposti
autorizzativi da parte del Giudice, e la seconda invece
alle modalità di tale autorizzazione.
La dizione
prescelta “ sussistenza di gravi indizi di reità” al posto
di “gravi indizi di reato” infatti sembra imporre al Pm
richiedente di dovere reperire gravi indizi a carico di un
soggetto prima di potere sottoporre ad intercettazione
telefonica la sua utenza , con il che non si capisce la
necessità di ricorrere a tale mezzo giacché un Pm che ha
già raccolto gravi indizi di reità a carico di un soggetto
ne chiede o l’arresto o il rinvio a giudizio.
Viceversa la
precedente dizione che parlava di gravi indizi d i reato
era assai più logica, perché imponeva al Pm richiedente di
individuare aliunde gravi indizi in ordine al fatto
che un certo reato era stato commesso (magari da altri)
prima di richiedere al Giudice di intercettare le
conversazioni private di un certo soggetto.
Peraltro la nuova
dizione risulta assai pregiudizievole per lo stesso
indagato “autorizzato”, giacché sarà tutt’altro che facile
in seguito di indagine liberarsi del fardello di una tale
pronuncia incidentale in materia di gravi indizi a proprio
carico, in tutto e per tutto equiparabile ad una pronuncia
negativa del Tribunale del riesame in relazione all’art.
273 Cpp.
La seconda anomalia
è quella che imponendo ogni volta una delibazione
collegiale in sede autorizzativa (3 Giudici) si finirebbe
con il rendere in breve “incompatibili” al successivo
Giudizio di merito tutti i Giudici in forza ad un
determinato distretto, visto che eccezion fatta per i
Tribunali di Milano, Roma e Napoli, non è che l’organico
dei Magistrati penali altrove dislocati sia poi così
nutrito, in pratica il Pm si troverebbe di fronte alla
scelta concreta se intercettare o processare un
determinato Tizio, il che stride con i più elementari
principi del nostro Ordinamento penale finalizzato
ovviamente più al Giudizio di merito da parte del Giudice,
piuttosto che alla “sacralità” della indagine del Pm.
Tra l’altro non è
chi non veda la assurdità di prevedere il controllo di ben
3 Giudici per la mera autorizzazione alla intercettazione
e magari la valutazione finale di merito del contenuto di
tale intercettazione in capo ad un solo Giudice
monocratico (sic !!!)
Senza contare che
anche la previsione di un materiale trasbordo dell’intero
fascicolo di indagine dalla Procura richiedente al
competente Tribunale distrettuale del capoluogo, per la
valutazione indiziaria della richiesta appare destinata a
creare non pochi problemi organizzativi di personale e di
spesa.
In conclusione così
come formulata la citata riforma assomiglia tanto ad una
“abolitio legis”, scelta magari pure legittima, ma forse a
quel punto sarebbe stato meno ipocrita. dirlo !
* Avvocato, del Foro
di Milano. Intervento tratto
dal blog Postilla delle Riviste IPSOA
www.avvocatosteccanella.com
Gli equivoci del
politichese
Serve una Giustizia per
il cittadino non per il Palazzo
di Iudex
C'è un equivoco che
alimenta il dibattito di questi giorni sulla Giustizia.
"Non faremo nessuna riforma contro i magistrati", dicono
gli uomini del potere, soprattutto quelli che sono
all'opera per cambiare i codici e la Costituzione.
Non c'è dubbio che
dicano la verità. La riforma non sarà "contro" i giudici,
per il semplice fatto che non può essere per definizione
contro chi amministra la giustizia. I magistrati applicano
la legge, quella che il Parlamento sovrano approva nelle
forme previste dalla Costituzione.
Da questo punto di
vista chi dice quelle cose è sincero.
Infatti, la riforma
annunciata che le associazioni dei magistrati e molti
esperti giuristi temono non è "contro" giudici e pubblici
ministeri ma "per" politici e imprenditori, come
dimostrano le iniziative assunte negli ultimi anni in tema
di prescrizione, di appellabilità delle sentenze, di
ridefinizione di alcune fattispecie criminose, come il
falso in bilancio. Sono leggi ad personam, come si
dice polemicamente, leggi fotografia che anche quando
sembrano generali e astratte in realtà servono solo ad
alcuni, tutti personaggi che hanno problemi seri con la
giustizia.
Sono leggi che non
interessano il cittadino. In questo senso sono leggi
"contro" il cittadino comune, cioè contro la stragrande
maggioranza degli italiani che saranno pure disordinati e
irrispettosi del Codice della strada, nel senso che non
mettono le cinture di sicurezza e usano il cellulare
mentre guidano, lasciano la macchina chiusa in seconda
fila, magari davanti ai cassonetti, ma non sono né
corrotti né corruttori, non frodano il fisco (spesso
perché non ne hanno la possibilità, come i lavoratori
dipendenti) e viaggiano avendo obliterato il biglietto
dell'autobus.
Quelle leggi sono
contro il cittadino perché impediscono non solo il
perseguimento dei reati contro la pubblica
amministrazione, che essendo "pubblica" è di tutti, uno
strumento dello Stato per governare, ma perché rendono
l'azione dei pubblici ministeri e dei giudici inadeguata
alle esigenze. Per tutti la questione delle
intercettazioni telefoniche, strumento essenziale non solo
nella lotta alla corruzione ed alla criminalità
organizzata, che da qualche parte si vorrebbero
drasticamente limitare per un problema di soldi, che si
potrebbero risparmiare se, ad esempio, lo Stato non
appaltasse il servizio ma lo gestisse in proprio.
Un'attività
corruttiva non si accerta con qualche ora di ascolto.
Esige maggiore impegno, considerato che i concorrenti nel
reato temono di essere controllati e sono prudenti,
diluiscono le conversazioni, spesso dirette solo a
stabilire occasioni di incontro.
Questa legge, se
fosse approvata come è stata immaginata ed abilmente
illustrata dal Presidente del Consiglio in un convegno di
imprenditori che lo hanno freneticamente applaudito
(chissà mai perché!), ridurrebbe drasticamente le capacità
investigative delle procure e le impedirebbe per alcuni
reati particolarmente odiosi, quello di pedofilia, ad
esempio, o di sequestro di persona, se non fosse possibile
attribuirli all'iniziativa della criminalità organizzata.
Il mio non è un
processo alle intenzioni, non solo perché molte leggi
"singolari" dalla c.d. "Cirielli" al c.d. "Lodo Alfano"
costituiscono un precedente specifico sotto gli occhi di
tutti, ma perché tutto il dibattito sulla Giustizia è
indirizzato verso l'affermazione di modifiche normative,
di carattere sostanziale e processuale, che non giovano
assolutamente al cittadino il quale, per il processo
penale vuole decisioni rapide perché, se persona offesa
dal reato, desidera che il responsabile sia condannato e,
se è imputato ma innocente, sollecita ugualmente una
pronuncia in tempi brevi perché sia riconosciuta la sua
innocenza. Ugualmente nel settore della giustizia civile
l'attore, chi chiede il riconoscimento di un diritto, non
vuole lasciarlo in eredità a figli e nipoti. La lentezza
della giustizia civile è "contro" gli imprenditori seri,
soprattutto gli stranieri che per le disfunzioni dei
nostri tribunali rinunciano ad investire in Italia.
Di tutte queste
cose non si parla mai. Il Presidente del Consiglio e
leader del Partito di maggioranza vuole spuntare le unghie
ai pubblici ministeri ed immagina riforme a misura dei
suoi interessi. "Senso dello Stato zero", direbbe ancora,
come ha detto frequentemente, Gianfranco Fini che,
infatti, frena sulla riforma, vuol, vederci chiaro. Anche
lui, come tutti i politici, ha qualche amico con problemi
giudiziari ma sa distinguere tra le vicende di queste
persone e la Giustizia che deve assicurare un servizio al
cittadino, uno dei primi e dei più importanti, da quando
esistono gli ordinamenti generali, quelli che dal '500
abbiamo cominciato a chiamare "stati".
7 novembre 2009
P.S. Mi sia consentita
un'annotazione al bell'editoriale di Iudex che
potrebbe essere accusato di fare un processo alle
intenzioni rispetto a dichiarazioni di rispetto della
magistratura e della sua indipendenza che esponenti della
maggioranza non si stancano di ripetere ad ogni piè
sospinto.
Il fatto è, per
riassumere brutalmente il pensiero del nostro
editorialista, che l'indipendenza della magistratura forse
non sarà toccata ma certamente i magistrati, soprattutto
quelli del Pubblico Ministero, saranno messi in condizione
di non nuocere (ai delinquenti), perché saranno "rivisti"
alcuni reati ed i Procuratori della Repubblica,
ribattezzati "Avvocati dell'accusa", saranno privati di
alcuni significativi poteri investigativi.
E' presto fatto. Ed
è certo che qualcuno dirà che è una riforma "liberale"!
A questo proposito,
e sempre per chiarire che non facciamo un processo alle
intenzioni, vale la pena di ricordare una recentissima
norma, voluta dalla maggioranza, con l'assenso del
Governo, che limita la possibilità per le Procure della
Corte dei conti di esercitare l’azione per
il risarcimento del danno all’immagine, prevedendola ai
soli casi e nei modi previsti dall’articolo
7 della legge 27 marzo 2001, n. 97, che si riferisce
ai
delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel
capo I del titolo II del libro secondo del codice penale
(peculato, corruzione, concussione, ecc.). Forse che il
docente pedofilo o quello che violenta l'alunna non ledono
gravemente l'immagine ed il prestigio
dell'Amministrazione?
Ma non sono
tecnicamente delitti contro la P.A. Per cui il P.M. della
Corte dei conti non potrà chiedere il risarcimento del
danno all'immagine, un bene, è bene ribadirlo, che
appartiene allo Stato e agli enti pubblici, come diritto
personalissimo la cui lesione evidentemente determina un
danno patrimonialmente valutabile
Salvatore Sfrecola
Fini si smarca da
Berlusconi e Il Giornale lo bacchetta
di Senator
Di tanto in tanto
Gianfranco Fini si smarca da Berlusconi. Lo ha fatto
all'indomani del discorso "del predellino" quando il
Cavaliere preannunciò la nascita del Partito della
Libertà. "Siamo alle comiche finali", sentenziò il leader
di Alleanza Nazionale bocciando l'iniziativa. Poi dovette
fare marcia indietro e schierarsi e avviare la
dissoluzione del suo partito nel nuovo soggetto politico.
Ma cosa cerca Fini?
Quali obiettivi intende perseguire? L'analisi è complessa
come il personaggio. A Fini Alleanza Nazionale andava da
tempo stretta, troppa nostalgia, poca cultura, in genere e
politica in specie, troppi avvezzi al piccolo cabotaggio,
soprattutto negli enti locali, dove gli ex missini,
arrivati al potere, spesso sono stati attratti dalle
lusinghe del potere economico. E che dire dei
"colonnelli", un "grado" troppo elevato per alcuni di
essi. Ex attivisti di base, picchiatori, spesso con
modesti titoli di studio, senza professione che non sia
l'iscrizione all'albo dei giornalisti per aver scritto su
qualche foglio del partito o della sezione, questi
personaggi Fini li ha tollerato, ma non li ha mai amati .
Un po' per la sua
naturale freddezza, un po' perché costruire l'immagine di
uomo delle istituzioni esige il distacco dalle scorie dei
camerati della prima ora, Gianfranco Fini ha assunto via
via un tono intellettuale, un look nuovo, buone letture,
soprattutto nei week end invernali quando non può uscire
per le immersioni, qualche prefazione acuta ai libri di
Sarkozy, pubblicati dal fedelissimo editore Lucarini, uno
che ci tiene a fare l'Einaudi della Destra, che ha creato
una casa editrice ad hoc, Nuove Idee, che ha
rilevato Il Borghese, che diffonde i suoi libri
attraverso una distribuzione capillare efficientissima.
Rimasto
praticamente solo, con uno sparuto di finiani che
proprio in questi giorni si vanno contando, il Presidente
della Camera approfitta della sua visibilità per difendere
le istituzioni, il Parlamento soprattutto, costretto ad
una vita grama dall'impossibilità di varare leggi di spesa
per la mancanza assoluta di risorse da destinare a
copertura delle nuove iniziative.
Non che lo faccia
strumentalmente. Fini crede nelle istituzioni. E' il
retaggio della sua cultura di destra, è il fastidio che
sente alle iniziative di Berlusconi in tema di riforme.
"Senso dello Stato zero" ripete da anni ad ogni incontro
con il Cavaliere e il leader padano. Anche di Bossi Fini
farebbe volentieri a meno.
Con Berlusconi, in
particolare, c'è anche una reciproca antipatia, un
fastidio che solo l'educazione e la convenienza non fa
emergere che di tanto in tanto. A Fini dà fastidio quello
che Montanelli chiamava "il bottegaio", cioè
l'imprenditore che non riesce ad andare al di là dei
propri interessi, che non diventa uomo "dello Stato", che
semmai tenta di piegare in ogni modo alla sua volontà
tutti coloro che vengono in contatto con lui. Che ove
trovi contrasti piega le istituzioni. Non lo ha fatto
neppure Mussolini che aveva un grande rispetto per
l'amministrazione dello Stato, in particolare per gli
organi di garanzia, dalla Ragioneria Generale alla Corte
dei conti. Ugualmente per la magistratura. Tanto che
quando ha voluto prevaricare l'opposizione e gli
oppositori ha creato il Tribunale speciale per la
difesa dello Stato, lasciando fuori gli organi della
giustizia ordinaria.
Ma anche Berlusconi
non sopporta Fini. Quel giovanotto alto, lui che soffre
per i centimetri che lo separano dalla media degli
italiani, Berlusconi lo trova decisamente indigesto. Lo
vede come un potenziale successore e teme che possa mirare
a scalzarlo anzitempo, magari flirtando con l'opposizione.
Oggi addirittura con il Capo dello Stato che Fini ha
ripetutamente difeso dalle intemperanze del Cavaliere.
Soprattutto
Berlusconi non riesce a vederci chiaro nelle mosse di
Fini. Oggi il Giornale titola a tutta pagina "caro
Fini, adesso parla chiaro". Quel "corsaro" della politica
non va giù all'inquilino dio Palazzo Chigi, troppa guerra
di movimento, troppo estro in questa o in quella
dichiarazione che contraddice ciò che aveva detto il
giorno prima e che contrasterà con quel che dirà più
avanti.
L'imprenditore non
capisce il politico di razza, che sconcerta, cambia
posizione, rivendica le radici cristiane dell'Europa in
sede di Convenzione Europea, ma poi vota "no" al
referendum sulla legge 40, fa lavorare i suoi sul tema
della famiglia, in una commissione con i più bei nomi del
settore, e poi l'abbandona, che se ne esce sull'ora di
corano e poi critica Strasburgo per la sentenza sul
crocifisso.
Dove vuole andare
Fini, si chiede Berlusconi. Non vuole la leaderschip del
Partito della Libertà che sa non potrà mai avere.
Punta al Quirinale? E' probabile. Il ruolo è adatto a lui,
che non si vuole assumere responsabilità di gestione del
potere, cui sarebbe costretto se volesse andare a Palazzo
Chigi. Comprende che la sua posizione può conquistargli
simpatie a sinistra. E poi la Presidenza della Repubblica
lo porterebbe anche fuori dell'agone partitico. Potrebbero
giovarsene i Tremonti, i Formigoni, gli Scajola e tutta
quella pletora di "delfini" scalpitanti che osservano
attentamente le immagini del Cavaliere per lo scrutano per
vedere se mostra i segni del tempo e della stanchezza.
Insomma, stanno sulla riva del fiume in attesa che passi
la barca che porterà il Presidente imprenditore in
vacanza, magari in un'isola lontana a leccarsi le ferite
di uno scontro con la magistratura che con un po' di senso
delle istituzioni avrebbe evitato fin dal 1994 e che,
invece, ha accentuato su suggerimento dei suoi avvocati.
6 novembre 2009
Guida pratica
RESPONSABILITÀ
della P.A. e del pubblico dipendente, di
Fiammetta Palmieri,
Salvatore Sfrecola, Paola Maria Zerman,
a cura di Paola Maria
Zerman, Il Sole 24 Ore, € 49
Da ieri nelle librerie,
aggiornato alla L. 69/2009 (risarcimento danno da
ritardo), alla L. 99/2009 (azione collettiva) e alla L.
141/2009 (correttivo “anticrisi”), questo volume, edito da
Il sole 24 ore nella collana Enti Locali,
costituisce un esempio di strumento a carattere pratico ma
completo ed aggiornato.
"Se dietro ogni libro c’è una filosofia - ha scritto
Paola Maria Zerman, avvocato dello Stato, curatrice del
lavoro, nella presentazione del volume - , questo testo
potrebbe rinvenirla nelle parole di Göethe: «se hai
esperienza devi renderti utile».
"Forti di una lunga esperienza di lavoro e di studio
sui temi della responsabilità civile, penale e
amministrativa della pubblica amministrazione, oggetto
quotidiano della nostra attività professionale - scrive
ancora la curatrice - abbiamo voluto mettere a punto un
volume che fosse un utile strumento di orientamento nelle
varie tematiche non solo per una vasta gamma di operatori,
amministratori e funzionari pubblici, avvocati,
magistrati, ma anche per tutti coloro che si preparano a
partecipare a concorsi nelle pubbliche amministrazioni o
in organismi privati che con quelle intrattengono
relazioni commerciali, spesso di rilevante interesse
economico. Siamo infatti consapevoli di come il giurista
si trovi, non di rado, disorientato nel labirinto di una
normativa poco chiara, risultato di una stratificazione di
modifiche e integrazioni, spesso parziali, se non persino
contraddittorie".
Per questo motivo gli autori hanno cercato una
formula fortemente innovativa, utilizzando delle «mappe
concettuali» che fossero una guida nei complessi e, a
volte, tortuosi meandri delle varie fattispecie di
responsabilità: da quella medica, alla lesione degli
interessi legittimi, alle varie ipotesi di responsabilità
penale, contabile e contrattuale in materia di appalti
pubblici. Nella convinzione che schematizzare non
significhi banalizzare. "La sintesi richiede precisione,
immediatezza e, forse, un approfondimento anche maggiore
rispetto all’esposizione
analitica (a volte oscura) delle diverse posizioni di
dottrina e giurisprudenza. Ed è
quest’ultima che abbiamo privilegiato, nelle sue più
recenti pronunce, per dare contezza dei vari istituti
nella loro struttura e funzionamento ai fini
dell’individuazione delle varie fattispecie di colpa o
danno.
Gli Autori ritengono di aver fatto un utile lavoro,
"offrendo un contributo di chiarezza, che non esimerà
comunque i nostri lettori dall’impegno di ulteriori
approfondimenti, con l’augurio che il testo li incoraggi
in tal senso".
5 novembre 2009
La sentenza della Corte
“dei diritti dell’uomo”
L’Europa delle culture
negate
di Salvatore Sfrecola
Lascia attoniti la
sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che
condanna l’Italia per l’esposizione del crocifisso nelle
scuole. Lascia attoniti ed inquieti, perché la sentenza
nega il valore della tradizione del nostro Paese della
quale quel simbolo è parte essenziale ed ha accompagnato
la storia culturale dell’Italia dall’Impero romano ad
oggi, attraverso secoli ricchi di straordinario fervore
nei quali il diritto, la letteratura, la filosofia e la
scienza hanno irradiato la Penisola e il mondo.
Simbolo religioso,
ma anche civile il crocifisso, se quell’Uomo che vi è
stato appeso per espiare un delitto che non era un delitto
(l’essersi proclamato figlio di Dio), che per i cristiani
è figlio di Dio e Dio anch’egli, per tutti è Colui che ha
condannato una volta per sempre le società ordinate sulla
distinzione tra liberi e schiavi. E, fatti uguali dinanzi
a Dio, identica uguaglianza gli uomini hanno rivendicato
dinanzi al potere civile, in un percorso doloroso nel
quale il riconoscimento dei diritti è giunto con molto
ritardo e lotte cruente, sostanzialmente con lo stato
costituzionale prodotto della rivoluzione francese.
Sempre chi lottava
per l’uguaglianza dei diretti si è riferito a quell’insegnamento
lontano, nel tempo e nello spazio, secoli addietro quando
in Palestina in un percorso tra Galilea e Giudea il
Nazareno andava predicando uguaglianza e pari dignità tra
gli uomini, ebrei e gentili.
Quell’insegnamento
è alla base della cultura occidentale, anche di quella
parte più laica, illuminista e libertaria che ritrova
l’origine dei diritti nella natura ma che deve fare i
conti con la parola del Vangelo. Né può negare che i
valori religiosi concorrono con quelli civili nello
sviluppo di un idem sentire che rappresenta le radici
culturali dell’Europa.
Ebbene, quelle
radici sono negate dalla sentenza di Strasburgo, nel
momento in cui la pronuncia della Corte dei diritti
dell’uomo esclude la rilevanza della cultura dei singoli
paesi, le tradizioni attraverso le quali quelle comunità
si sono formate e sono giunte ai nostri giorni con un
bagaglio di istituzioni che incarnano valori ampiamente
condivisi e li tutelano. In sostanza nega che l’Europa sia
un’unione di Stati ma anche di culture, di tradizioni, di
esperienze che vanno salvaguardate se non vogliamo che la
mortificazione delle nazionalità metta in pericolo la
stessa unità politica del Continente.
In Italia tra i
valori nazionali, culturali e della tradizione popolare,
c’è il Crocifisso. Va dunque tolto dalle aule scolastiche
dove i giovani sono educati ad apprezzare tutte le
espressioni del pensiero per farne patrimonio della loro
personalità? Strasburgo vuole negare parte essenziale
della nostra storia? Cosa direbbero allora questi giovani
guardando una cattedrale, ammirando la statua di un
Pontefice o di un Santo di quelle che adornano strade e
palazzi o quadri nelle pinacoteche, se l’arte che ci
distingue nel mondo è innegabilmente soprattutto
religiosa. Dovremmo chiudere i musei e le sale concerto,
considerato che gran parte della musica è di ispirazione
religiosa?
L’assurda sentenza
della Corte che nega i diritti della cultura dell’uomo si
commenta da sola.
4 novembre 2009
Politica e Costituzione
di Salvatore Sfrecola
Non poteva non
reagire. E così il giornale "di famiglia", cioè Il
Giornale, ha bacchettato il Professor Giovanni Sartori
che in un editoriale sul Corriere della Sera del 31
ottobre,
“La costituzione immateriale”, aveva contestato che
Berlusconi possa rivendicare una sorta di primazia
istituzionale per essere, come il Presidente del Consiglio
ripete spesso, l'unica autorità pubblica eletta
direttamente dal popolo.
La risposta,
con un titolo a nove colonne Il "Corriere" licenzia
Berlusconi, è affidata alla penna effervescente di
Marcello Veneziani, notista forbito, scrittore facondo,
ideologo della Destra tradizionale e, pertanto, inviso a
Fini. Uno scrittore-giornalista che leggo sempre con
piacere, anche se talvolta non condivido una certa
populistica berluscomania, per la quale certo il Cavaliere
ha di ben altri "scrittori".
Ragionevole
e ragionata l'impostazione di Veneziani per controbattere
le tesi di Sartori sull'ampiezza del consenso e sulle
motivazioni che spingono la gente a votare a Destra come a
Sinistra. Un voto, a volte, stanco, quasi per abìtudine,
perché non si trova qualcuno di meglio, un voto a volte
"contro". Ma tant'è. Sulla scheda c'era scritto Berlusconi
e quel voto è per il partito e per il suo leader.
Questa
analisi del voto non mi entusiasma e non mi convince ai
fini del nostro approfondimento sulle tematiche
costituzionali che Sartori affronta tra Costituzione in
senso formale e Costituzione in senso materiale, cioè tra
testo scritto e sua concreta attuazione nella realtà della
vita istituzionale.
La tesi non
ha convinto neppure Senator che ha navigato tra le
acque burrascose delle opposte tesi, per giungere alla
conclusione che il problema è mal posto. Infatti, il nodo
centrale della questione politico costituzionale va
individuato nella circostanza che
l'elezione popolare "non fa del Presidente del Consiglio
un soggetto legibus solutus, non processabile per
reati che la Procura della Repubblica ritiene abbia
commesso nella sua vita privata e professionale". Una
disciplina che ammettesse questa diversità in forza del
consenso elettorale determinerebbe una gravissima
disparità di trattamento non ammissibile in un regime
liberale, in uno stato di diritto nel quale, per
definizione, tutti sono uguali dinanzi alla legge.
La tesi che vorrebbe il Presidente del Consiglio non
processabile per poter svolgere le funzioni proprie della
sua carica, in quanto eletto dal popolo, confonde consenso
politico e regole del diritto. In nessun paese il consenso
giustifica un regime giuridico singolare, nel senso che la
persona non possa essere assoggettato alle regole che
valgono per tutti i cittadini.
E' stato già detto ma vale la pena di ricordarlo.
L'"anomalia" italiana, secondo la quale il Presidente del
Consiglio è sottoposto a procedimenti giudiziari, va
ribaltata nel senso che è anomalo che un soggetto
sottoposto ad accertamenti giudiziari possa ricoprire la
carica di capo del Governo. Infatti in ogni paese chi
incappa in guai giudiziari non si candida, a volte non è
neppure candidabile, e se l'"incidente" capita quando è in
carica di solito si dimette, se non riesce a dimostrare in
tempi brevi la sua innocenza.
E' un problema di moralità pubblica.
Qui, invece, i politici pretendono di essere
superiori alla legge. Che, se possono, la modificano.
Che Paese è mai questo?
3 novembre 2009
Possibile ma improbabile
La politica estera
dell'Europa la guiderà D'Alema?
di Erasmus
I giornali lo
hanno chiamato Ministro degli Esteri dell'Unione Europea.
In realtà si chiamerà Alto Rappresentante
dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di
sicurezza: così il Trattato di Lisbona definisce il
responsabile europeo della politica estera il quale
ricoprirà anche il posto di vicepresidente della
Commissione. Nell’esercizio di entrambi questi ruoli potrà
avvalersi dell’istituendo Servizio europeo per l’Azione
esterna, una diplomazia comune. Un ruolo importante per
una Unione che a piccoli ma sicuri passi si avvia verso
una dimensione più politica, per contare nel concerto
delle nazioni, pere dire la sua sulle grandi questioni
della politica della pace e dell'economia internazionale.
Così in questa
vigilia fervida di iniziative e di proposte si cominciano
a delineare compromessi, come quello che vorrebbe che
quella prestigiosa carica fosse ricoperta da un esponente
della sinistra europea rappresentata dal PSE. Si fanno dei
nomi e spunta quello di D'Alema, ex Presidente del
Consiglio e Ministro degli esteri. E subito Berlusconi e
Frattini manifestano apprezzamento per l'ipotesi. Fuori
dai confini nazionali, con quel carattere che non gli
permette di conquistare soverchie simpatie l'ex entant
prodige del Partito Comunista Italiano, passato
con cauta attenzione attraverso la sua metamorfosi, fino
all'attuale Partito Democratico, darebbe lustro al
nostro Paese ed al suo partito senza pesare sul Governo.
Immagino anche che ne sarebbe lieto Bersani che certo non
gradisce un alleato-sponsor ingombrante come il Presidente
di ItalianiEuropei.
Ha speranze D'Alema?
Un nome fatto troppo presto rischia di entrare nel
tritacarne delle correnti che in Europa non sono meno
insidiose di quelle nostrane.
C'è un inglese
sullo sfondo
Miliband, ma non è escluso un outsider. Tony Blair
è stato impallinato dai suoi, dai tedeschi e da tutto il
Benelux. Potrà tornare ad essere un concorrente credibile?
La candidatura inglese è forte per definizione. Se
l'Europa vuole fare significativi passi avanti anche nei
rapporti con gli Stati Uniti un inglese è il candidato
ideale ad Alto Rappresentante dell’Unione per gli
Affari esteri e la politica di sicurezza. Il Regno
Unito, da sempre alla finestra potrebbe essere indotta
dalla prestigiosa carica offerta ad una personalità
d'oltre Manica ad un impegno più significativo nella fase
complessa dell'avvio del dopo Lisbona.
D'altra parte Blair
è una personalità di grande prestigio internazionale, con
solide relazioni in tutte la capitali d'Europa. Stiamo a
guardare. Per parte sua
il presidente Napolitano,
parlando a
Madrid
pochi giorni fa si è augurato che i leader europei
sappiano scegliere “personalità adeguate”, capaci di
rafforzare le istituzioni Ue, un identikit, è stato fatto
notare, al quale D’Alema corrisponde come ex premier, ex
ministro degli Esteri, vice presidente dell’Internazionale
socialista.
Intanto le
diplomazie sono al lavoro.
3 novembre 2009
La “questione morale” in
Italia
di Roberto de Mattei
Il “caso Marrazzo”,
dopo il “caso Boffo” e le vicende legate al nome del
presidente Berlusconi, ha riproposto con forza
all’attenzione dell’opinione pubblica la gravità della
“questione morale” in Italia.
Per i
mass-media la rilevanza dello scandalo Marrazzo non
deriva dal fatto che l’ex presidente della Regione Lazio
fosse un frequentatore abituale di transessuali, ma
dall’estorsione di cui egli è stato vittima, e forse
complice. Nella vita privata infatti, secondo i mezzi di
comunicazione, ognuno è libero di comportarsi a proprio
piacere
Con ciò l’Italia si
avvia a celebrare degnamente i 150 anni della propria
unificazione (marzo 2011). La classe politica
risorgimentale predicò infatti il principio “libera Chiesa
in libero Stato”, che sancisce la separazione della sfera
religiosa da quella politica; negò, di conseguenza,
l’esistenza della morale religiosa come fondamento del
nuovo Stato unitario, anche se affermò la necessità di una
morale “laica” a cui avrebbe dovuto ispirarsi la vita
pubblica. Il romanzo Cuore di Edmondo de Amicis è
lo specchio di questa concezione ottocentesca, che cercava
di conservare il trinomio Dio, Patria e Famiglia,
dissociandolo dalla Chiesa cattolica, che ne costituisce
la fonte naturale.
I regimi politici
cambiarono: all’Italia liberale succedette quella fascista
e a questa l’Italia repubblicana e resistenziale; ma i
regimi e le ideologie di volta in volta dominanti non
riuscirono a sradicare i buoni sentimenti e principi degli
italiani. Poi, a partire dagli anni Sessanta del
Novecento, accaddero tante cose nella vita politica e
religiosa del nostro Paese: l’apertura a sinistra, il
Concilio Vaticano II, il Sessantotto. Da allora l’Italia
ha vissuto una Rivoluzione nei costumi e nella mentalità
più devastante di una guerra mondiale
La guerra del
1915-1918 fece in Italia 600.000 morti; quella del
1940-1945 ne provocò 450.000. Quante sono le vittime
dell’aborto, della droga, della Rivoluzione sessuale,
della depressione conseguente alla crisi della famiglia e
alla perdita dei valori tradizionali? Si contano a milioni
e sono vittime non solo fisiche, ma morali. Ciò che esse
hanno perduto non è solo il corpo, ma l’anima, la ragione,
la speranza di vivere con dignità e la fiducia in una vita
futura felice, oltre la morte. La crisi è spirituale e non
è solo italiana, ma europea e mondiale. Non è in frantumi
soltanto la morale della Chiesa, ma anche quella laica,
fondata sul diritto naturale.
Il caso Marrazzo è
esemplare. Nessun commentatore ha osato pronunciare un
giudizio sul comportamento dell’ex presidente della
Regione dal punto di vista della morale, religiosa o laica
che sia. Si parte dal presupposto che la vita privata
degli uomini politici sia una sfera intoccabile, del tutto
scissa da quella pubblica. L’azione pubblica è certamente
più importante di quella privata. Per questo, lo abbiamo
scritto, è preferibile un uomo politico immorale, ma
contrario alla legalizzazione dell’immoralità, ad un altro
uomo politico virtuoso nella vita privata, ma favorevole
ad istituzionalizzare l’immoralità nelle leggi e nel
costume.
Tuttavia, i
cittadini hanno il diritto ad essere rappresentati da
uomini totalmente integri e a conoscere e valutare la vita
privata dei loro rappresentanti, per potere fare comunque
le proprie scelte, alla luce dei principi morali in cui
credono. E anche la trasgressione morale conosce diversi
livelli di gravità. Oggi però si è perso il metro di
giudizio e, ancora prima, si è smarrita l’idea stessa del
Bene e del Male, del vizio e della virtù, del lecito e
dell’illecito. L’unica cosa importante è non infrangere la
legge. Purché non vi sia reato tutto è permesso. E’ la
legge positiva, frutto della volontà mutevole degli
uomini, a stabilire le leggi della convivenza civile. Non
esistono, e guai ad evocarle, regole immutabili, principi
assoluti, valori non negoziabili. L’unico peccato, nella
società permissiva, è il moralismo, ovvero l’atteggiamento
di chi ritiene che la morale non cambia, perché stabile e
permanente è la natura dell’uomo.
Oggi il continuo
divenire e trasformarsi della morale è incarnato dalla
figura del transessuale. Si tratta di una negazione
dell’immutabilità della natura e delle sue leggi vissuta,
ostentata, imposta, se è vero che il ministro delle Pari
Opportunità Mara Carfagna vorrebbe includere
esplicitamente nel reato di omofobia la categoria
transessuale, criminalizzandone la critica.
Con transessuale,
si badi, non si intende chi, con un intervento chirurgico
ha voluto definire un’incerta identità sessuale e conduce
poi una vita coerente e regolata, ma chi sceglie una
condizione sessualmente ambivalente per mercificare il
proprio corpo. Quale giustificazione può darsi per chi
fruisce di questo mercato? E se questa giustificazione
esiste, magari riconducendola alla libertà di
autodeterminazione, come negare analoga giustificazione a
chi volesse consumare un atto sessuale con un fratello o
una sorella, con un animale o con un cadavere? Nella
perversione umana non c’è fine ed il marchese de Sade ha
già teorizzato tutte le possibilità.
I mezzi di
comunicazione ignorano le leggi morali e spesso le
combattono. I cattolici però, di fronte agli scandali, non
possono restare in silenzio, come oggi sembra accadere.
Non si tratta di accusare l’ex presidente Marrazzo, ma di
stigmatizzare la natura del peccato che lo ha portato alla
sua uscita di scena. Ci vorrebbe la voce di un profeta
dell’Antico Testamento, di un san Francesco di Assisi o di
una santa Caterina da Siena per gridare ai quattro venti
che se il transessuale è un fratello per il quale, come
per ogni altro uomo, Gesù Cristo ha versato il suo sangue,
la filosofia e la pratica transessuale sono un abominio,
frutto del coerente processo di degradazione della società
contemporanea.
Una società che
rinnega la natura umana e si abbandona alle tendenze
sregolate è condannata ad essere spazzata dalla storia,
come tante volte è accaduto. E’ per evitare
l’annientamento delle nazioni europee, di cui parla il
messaggio di Fatima, che occorre risvegliarsi,
ricomponendo la frattura tra politica e morale che
costituisce il peccato di origine dell’Italia
risorgimentale.
3 novembre 2009
P.S. L'articolo di
Roberto de Mattei, Professore ordinario di Storia del
Cristianesimo nella Facoltà di Storia dell'Università
Europea di Roma e Vice Presidente del Consiglio
Nazionale delle Ricerche, diffuso da Corrispondenza
Romana, è un pezzo "forte", che richiama valori e
principi largamente condivisi dalla gente, anche se troppo
spesso tenuti nell'intimo e non esternati.
Non fa moderno, è
politicamente scorretto richiamare valori morali, come
quello che de Mattei pone a fondamento della sua analisi
dei fatti che si snodano lungo anni di storia tormentata
della società italiana. Tuttavia il richiamo alla morale
cattolica, che personalmente condivido, non può escludere
che una larga condivisione di valori accomuni credenti e
non in una visione della vita e della società che la
tradizione ci ha consegnato come espressione di un
insegnamento morale che la gente rispetta perché
intimamente condiviso. E spesso consegnato nelle norme
giuridiche che disciplinano diritti e doveri.
Ad esempio, poiché
de Mattei ha parlato della morale sessuale, ricordo ancora
una volta che nell'antica Roma, nella quale era
abbondantemente tollerata l'omosessualità, la legge romana
ammetteva solo il matrimonio tra un uomo ed una donna, Per
cui Modestino (III sec. d.C.) insegnava che "nuptiae sunt
coniunctio maris et feminae et consortium omnis vitae
divini et umani iuris communicatio" (D. 23,2,1).
Quanto alla non velata critica antirisorgimentale che
percorre l'articolo di de Mattei desidero ricordare che
nell'Italia laica e liberale nessuna tolleranza venne mai
ammessa nei confronti di corrotti e corruttori e che
mentre destava scandalo tra politici e cittadini il crac
della Banca Romana, in Parlamento, al grido di "bigamo",
Francesco Crispi subiva le conseguenze della sua vita
privata sregolata.
Per dire che gli
italiani sono migliori della loro classe dirigente e di
come li dipingono giornali e televisioni vittime di una
pruderie che insegue solo l'auditel.
Salvatore Sfrecola
I poteri che ha e quelli che vorrebbe avere
Berlusconi e la Costituzione
di Senator
Continuerà certamente a tenere banco, e già oggi
si registra la reazione stizzita del Giornale, la
riflessione di Giovanni Sartori su “La costituzione
immateriale”, con la quale ieri, sul Corriere della
Sera, ha detto, come sempre, la sua sulla tesi del
Presidente del Consiglio che assume di essere l’unica
autorità pubblica eletta direttamente dal popolo e quindi
meritevole di una speciale considerazione anche sul piano
costituzionale, in atto non riconosciuta dalla vigente
Costituzione ma delineata dalla realtà del consenso
popolare.
In sostanza, per completare la definizione delle
tesi, si vorrebbe delineare una netta distinzione tra
Costituzione formale, quella scritta nel documento
approvato dall’Assemblea costituente a fine 1947, e la
Costituzione "materiale", come la Carta fondamentale viene
in concreto applicata
sulla base delle indicazione di un insieme di forze
operanti nella società le quali siano portatrici di una
visione della società e dello stato "e riescano a farla
prevalere" (Mortati).
Sartori ricorda che la tesi di Berlusconi è stata
delineata dai suoi avvocati anche in occasione della
discussione dinanzi alla Corte costituzionale in sede di
giudizio sul c.d. “lodo Alfano”. In pratica nel confronto
tra le tesi che vorrebbero il Presidente del Consiglio un
primus inter pares oppure un primus super pares
Berlusconi sarebbe, in forza dell’investitura popolare, un
primus super pares o, forse qualcosa di più.
Riassume Sartori che, secondo il Presidente del
Consiglio e leader del partito della libertà, egli avrebbe
“il diritto di prevalere su tutti gli altri poteri dello
Stato (questione di diritto), perché lui e soltanto lui è
"eletto direttamente dal popolo" (questione di fatto)”.
Con la conseguenza che “se l’asserzione di fatto è falsa,
anche la tesi giuridica che ne deriva risulta infondata”.
La conclusione non mi convince e comunque il
ragionamento è male impostato e, in fin dei conti, giova
al Cavaliere.
Sartori, infatti, si diffonde in calcoli che
dimostrano come la reclamata investitura popolare non ci
sia, ma è dubbio che, ancorché ci fosse, il Presidente del
Consiglio potrebbe ritenersi legittimamente destinatario
di una norma che lo esentasse dai processi. Tanto è vero
che, nella ricostruzione di Sartori, secondo la quale
“viene diffusa l’idea che la costituzione formale sia
oramai superata da una "costituzione materiale" per la
quale Berlusconi incarna la volontà della maggioranza
degli italiani; il che gli attribuisce il diritto, in nome
del popolo, di scavalcare, occorrendo, la volontà degli
organi che non sono eletti dal popolo (tra i quali la
Corte costituzionale e il capo dello Stato)”, il “lodo
Alfano” ha ricompreso nel privilegio processuale le
massime quattro cariche dello Stato, Presidente della
Repubblica, Presidenti delle Camere e Presidente del
Consiglio, delle quali le prime tre sono elette dal
Parlamento, cioè dai rappresentanti del popolo. Lo stesso
popolo del quale Berlusconi incarnerebbe la volontà in
virtù di un’elezione nella quale il suo partito lo
designa, in caso di successo elettorale, futuro leader del
Governo.
Tuttavia essere eletto dal popolo non fa del
Presidente del Consiglio un soggetto legibus solutus,
non processabile per reati che la Procura della Repubblica
ritiene abbia commesso nella sua vita privata e
professionale. Non lo stabilisce la Costituzione formale
non potrebbe desumersi da una Costituzione materiale che
non può alterare il sistema della ripartizione dei poteri.
Sicché giudicare spetta ai giudici e non è consentito che
nell’ordinamento vi siano soggetti, perdonatemi il
bisticcio, “non soggetti” alla legge. In virtù del
principio fondamentale in uno stato di diritto secondo il
quale tutti sono uguali dinanzi alla legge. E di una
regola della democrazia secondo la quale la volontà della
maggioranza non è comunque idonea a sovvertire le regole
dello stato di diritto, a meno di voler uscire da questa
configurazione costituzionale dell'assetto dei poteri.
In sostanza non è tanto importante accertare se
Berlusconi è stato votato o meno dalla maggioranza degli
italiani, perché “il voto per Berlusconi è in realtà
soltanto il voto conseguito dal Pdl. Che ha ottenuto nel
2008…il 37,4% dei voti validi, ma il 35,9% dei votanti e
il 28,9% degli aventi diritto”, e perché sono inclusi i
voti di An e il voto in un sistema “bipolare” non è solo
“per” ma anche “contro”. Per cui non è necessariamente un
voto sulla persona e soprattutto non è un voto dal quale
si può desumere che l'elettore abbia voluto
l’irresponsabilità del Presidente del Consiglio. Anche io
ho votato la maggioranza, contro un centrosinistra dalle
idee confuse, che arruolava Prodi e Bertinotti, Fioroni e
Salvi, Binetti e Ferrero, irresoluta e priva di idee, ma
non ho mai pensato di offrire un salvacondotto al Premier
per fatti che avrebbe commesso da imprenditore. In
sostanza, per me quella in favore di Berlusconi è stata
una scelta di necessità, il "male minore". Nella
considerazione che comunque votavo un movimento politico
nel quale c'è di tutto e il contrario di tutto, quindi
anche più d'uno che la pensa come me.
Per l’ovvia considerazione che coloro i quali
assumono compiti di direzione della comunità devono essere
rispettosi delle leggi la cui osservanza impongono ai
cittadini. Né si può ammettere che la volontà popolare,
che esprime un voto a favore di una certa maggioranza e di
un determinato leader, costituisca implicito assenso ad
una impunità che nessun ordinamento democratico ha mai
consentito. Basti ricordare le inchieste giudiziarie sul
potentissimo Presidente degli Stati Uniti d'America Bill
Clinton e sul premier israeliano Olmert, costretto alle
dimissioni.
1° novembre 2009