FEBBRAIO 2019
La deriva antiscientifica del Gender
di Dina Nerozzi, Neuropsichiatra
Per qualcuno ”la teoria del gender” non esiste è una
bufala inventata da qualche sovversivo reazionario.
Esisterebbero solo i gender studies che sono studi di
tipo letterario, culturale, sociale, scientifico e
niente più. Si può capire l'incredulità perché la
rivoluzione di genere è talmente estrema da risultare
poco credibile. Quella in corso è una guerra culturale e
in guerra bisogna conoscere il nemico.
Era il 1992, tre anni dopo la caduta del muro di Berlino
e un anno dopo la dissoluzione dell’URSS, quando il
politologo economista americano Francis Fukuyama
pubblicava il suo best seller “The End of History and
the Last Man” in cui veniva annunciato al mondo che
l’umanità era in procinto di raggiungere l’apice del suo
progresso e il raggiungimento della società ideale. Con
la fine dell’esperimento dell’Unione Sovietica il mondo
si avviava a dar vita alla società globalizzata e
perfetta dove nessuna ideologia avrebbe avuto diritto di
cittadinanza.
Secondo Francis Fukuyama, e secondo quanti molto si
erano impegnati per decretare il successo dell’idea,
l’essere umano era stato liberato da ogni vincolo che
non fosse quello della scienza in cui bisognava credere
ciecamente, come l’unica verità degna dell’uomo moderno.
Tutti dovevano essere convinti che le ideologie del
passato, foriere di guerre e distruzioni, erano state
riposte negli armadi della storia, si era ormai alle
soglie di un mondo nuovo. Si sa che se si ripetono le
cose un numero sufficiente di volte anche i più
scettici, prima o poi, verranno convinti, salvo poi
doversi ricredere di fronte alle evidenze che dimostrano
il contrario.
Per ideologia si intende un sistema di idee, coerente e
strutturato, ipotizzato a livello filosofico e proposto
come interpretazione totale ed arbitraria della realtà.
Ogni ideologia ha come obiettivo l’utopia della società
perfetta e, dato il fine nobilissimo che si intende
raggiungere, tutti i mezzi sono giustificati.
L’ideologia di genere è il nuovo volto dell’ideologia
marxista e rappresenta il tentativo di cancellare le
leggi della Biologia, della Genetica, delle Scienze
Naturali, ritenute obsolete a fronte dell'avanzare della
Tecno-scienza, e la loro sostituzione con artifici
Bio-giuridici inventati dall'uomo. È dunque
un’Ideologia che dichiara guerra non solo alla natura ma
anche alla scienza e utilizza il potere giudiziario per
imporre una nuova visione del mondo e una precisa agenda
politica di stampo totalitario.
Anche se l’irruzione dell’idea che l’anatomia, la
fisiologia, la genetica siano realtà malleabili e
soggette alla volontà umana sembra un fenomeno spuntato
all’improvviso come un fungo dopo le piogge d’agosto, il
terreno di cultura e il reticolo sotterraneo che lo
hanno consentito sono stati presenti per centinaia di
anni in attesa del momento favorevole per poter
emergere.
Il reticolo sotterraneo è rappresentato dal processo di
secolarizzazione della società che aveva lo scopo di
liberare le istituzioni, la cultura e la prassi
dall’influenza nefasta della Chiesa considerata come
fonte di superstizioni e pregiudizi intollerabili
nell’era moderna. Se l’obiettivo cercato era creare una
società in armonia con i tempi moderni e con la scienza,
bisogna dire che il risultato ottenuto è stato
esattamente l’opposto.
La Rivoluzione filosofica
Il primo ad avviare il processo di distruzione dei
principi fondanti per l’agire scientifico, oggettività e
non contraddizione, fu il filosofo francese René
Descartes (1596-1650) con il suo “Cogito ergo Sum”
il quale, in buona sostanza, afferma che la realtà non
esiste se non come costruzione della mente umana.
Il passo successivo venne effettuato dal filosofo
inglese John Locke (1632-1704) con la sua teoria della “Tabula
Rasa” che portò avanti l’idea della inesistenza di
una natura umana predefinita per cui è la cultura ad
avere il ruolo predominante nel plasmare l’individuo.
L’altro punto di passaggio fondamentale fu quello messo
a punto da Jean J. Rousseau (1712-1778) che riuscì
nell’impresa di modificare il principio di
responsabilità che da individuale si trasformava in
collettivo, dato che, a suo giudizio, l’individuo è
buono mentre la società è cattiva.
In tutte queste posizioni filosofiche esiste una piccola
parte di verità che però non basta per scardinare la
realtà oggettiva delle cose.
In poco più di un secolo il pensiero filosofico del
mondo occidentale era stato letteralmente capovolto.
Accantonato il principio di realtà, era stata imboccata
la nuova esaltante via dell’autodeterminazione, mentre
il principio di responsabilità andava a ricadere sulle
spalle dell’intera società che doveva essere considerata
la vera malata e colpevole, ben sapendo che là dove
tutti sono colpevoli non può esistere alcuna colpa.
A dare man forte alla nuova impostazione filosofica,
culturale e sociale sul finire del ‘700 giunse l’opera
del pastore protestante Robert Malthus (1766-1834) con
il suo saggio “An Essay on the Principle of Population
as it affects the Future Improvement of the Society” del
1798 in cui venivano riportate le sue previsioni
apocalittiche sul destino dell’umanità se non fosse
stato posto un freno all’eccesso della natalità. Per
salvare il pianeta e l’intera società da un futuro gramo
era necessario attuare un rigido controllo della
popolazione da conseguire attraverso il ritardo, o
meglio, l’abolizione del matrimonio e ponendo un freno
all’attività sessuale. Solo in un secondo momento egli
sponsorizzò l’avvento di un individualismo radicale che
prevedeva che ognuno dovesse provvedere alle proprie
necessità il che significava, nella pratica, la legge
della giungla, ovvero la sopravvivenza del più forte,
esattamente come si verifica nel mondo animale.
Entra in campo la Scienza
In un mondo in cui la scienza rappresentava l’unico faro
nel mare dell’esistenza, era indispensabile dare una
spiegazione scientifica della creazione del mondo e
della vita che contrastasse la narrativa mitologica
messa in campo dalla religione. Questo compito fu
portato a compimento con l’entrata in scena di Charles
Darwin e con la sua pubblicazione “On the Origin of the
Species by means of Natural Selection or the
Preservation of Favorite Races in the struggle for life”
del 1859.
L’opera di Darwin è stata monumentale e affascinante è
stato il suo tentativo di comprendere l’origine delle
specie, ma il suo ragionamento partiva con una lacuna
insanabile: l’impossibilità di dare una dimostrazione
scientifica di come fosse sorta la scintilla della vita,
quella proteina da cui si sarebbe, poi, sviluppato tutto
il resto. Si dovrebbe ammettere, per onestà mentale, che
non sono state ritrovate quelle evidenze che avrebbero
dovuto confermare la veridicità dell’assunto di base,
infatti gli studi successivi non hanno potuto dimostrare
l’esistenza di quelle specie intermedie che si sarebbero
dovute reperire nei fossili come prova dell’evoluzione
da una specie all’altra. (per una review esaustiva
sull’argomento vedi Harun Yaya “L’inganno
dell’evoluzione” contro cui si è mobilitato perfino il
Consiglio d’Europa con la Risoluzione 1580/2007 contro
“I Pericoli del Creazionismo nell’Istruzione”).
Il mondo progressista che ha impostato tutta la sua
ragion d’essere sull’ipotesi evoluzionista darwiniana,
considerato il trionfo del materialismo dialettico, si
trova nell’impossibilità di accettare la verità pena il
crollo di tutto l’edificio costruito nel corso di un
secolo e mezzo in nome della scienza e per contrastare i
pregiudizi religiosi. E pur di far trionfare la sua idea
è disposto anche a fabbricare l’uomo di Piltdown, un
reperto archeologico rimasto per più di cinquant’anni
in mostra al museo di Storia Naturale di Londra come
prova scientifica del famoso ”anello mancante” prima di
venire smaschero come clamorosa frode a danno degli
ignari visitatori del museo.
Nel tentativo di difendere una la teoria costruita sulle
sabbie mobili, gli ideologi progressisti hanno inventato
tutto un percorso pseudoscientifico in modo da creare
una cortina fumogena indispensabile per continuare a
contrabbandare la menzogna nascosta dietro una parte di
verità.
La Microevoluzione all’interno della specie è un dato
di fatto incontrovertibile che nessun essere
razionale si sogna di contraddire. La Macroevoluzione
Darwiniana, quella che serve per far avanzare
l’ideologia progressista sotto l’egida della scienza, è
un mito che deve essere smascherato.
Non va dimenticato che il prodotto politico
dell’evoluzionismo Darwiniano è stato un regime che ha
fondato la sua ragion d’essere sull’esistenza di una
razza superiore che avrebbe dovuto dominare le altre,
anche se si tende a cancellare la matrice ideologica
posta alla base del nazional-socialismo che sta
ritornando prepotentemente.
Se l’impostazione ideologica su cui si è costruita
un’azione politica si rivela errata come si fa a
difendere l’indifendibile? Chi ci aiuta a capire come il
mondo progressista affronti una realtà contraria alla
sua impostazione ideologica, è Gyorgy Lukacs, uno dei
rappresentanti più autorevoli della Scuola di
Francoforte, e politicamente orientato verso il
comunismo, l’altro mostro che ha insanguinato il ‘900.
“Tutta la scienza e tutta la letteratura devono servire
esclusivamente alle esigenze propagandistiche formulate
dall’alto, dallo stesso Stalin… La comprensione ed
elaborazione autonoma della realtà…. era bandita per
sempre” (Gyorgy Lukacs “Marxismo e Politica
Culturale” 1959 Il Saggiatore)
La “verità” politicamente corretta ha bisogno del
sostegno costante della propaganda perché non essendo
fondata sulla roccia dei dati di fatto non ha altra
scelta. Gyorgy Lukacs, infatti, dice chiaramente come la
questione non sia la ricerca della verità delle cose
bensì il potere e con esso la capacità di ricreare il
mondo secondo i propri desideri, anche contro le leggi
della natura, dato che la natura è solo un’invenzione
della religione e dei populisti bigotti.
A tal proposito Lionel Trilling, critico letterario
newyorkese, scrisse un articolo illuminante subito dopo
la pubblicazione del Rapporto Kinsey, che segnò l’avvio
della rivoluzione sessuale, in cui si legge:
“Coloro che asseriscono e praticano le virtù
democratiche ….prenderanno come assunto che, a eccezione
delle difficoltà economiche, tutti i fatti sociali
devono essere accettati non solo a livello scientifico,
ma anche sociale. Non si dovranno esprimere giudizi su
di loro e sarà considerata anti-democratica ogni
conclusione tratta da coloro che recepiscono valori e
conseguenze”
(Lionel Trilling: The Kinsey Report in “Partisan Review”
del 9 Aprile 1948)
Nello stesso periodo in cui le virtù cardinali
(prudenza, giustizia, fortezza e temperanza) venivano
sostituite con le virtù democratiche (tutti i fatti
sociali devono essere accettati senza pregiudizi), il
mondo progressista innestò il pilota automatico per far
avanzare la sua visione utopica della società con il
cambiamento della definizione di salute effettuato
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, guidato dal
maggior-generale Brock Chisholm, che dalla pragmatica
dizione “assenza di malattia e disabilità” veniva
trasformata in:
"uno stato di completo benessere fisico, mentale e
sociale e non la semplice assenza dello stato di
malattia o infermità".
Questa definizione utopica di salute era un passaggio
indispensabile per poter avviare la rivoluzione
culturale e sociale nel campo della sessualità e della
riproduzione che era nella mente di “coloro che
asseriscono e praticano le virtù democratiche”, infatti
sarebbe stato impossibile con la precedente definizione
considerare la condizione fisiologica della gravidanza
come una malattia e l’aborto, garantito dallo stato, la
sua terapia.
Un ausilio importante alla nuova impostazione culturale
era giunto dall’opera di Sigmund Freud (1856-1939) che
aveva scardinato il pilastro portante della civiltà
giudaico-cristiana rappresentato dal controllo delle
pulsioni. A giudizio dell’inventore della psicanalisi,
il contenimento della pulsione sessuale era nocivo per
la salute mentale ragion per cui dar libero sfogo alle
pulsioni sessuali diventava una sorta di medicina
preventiva che bisognava favorire.
Ogni volta che viene messo in discussione un principio
basilare dell’edificio della civiltà si ricorre
all’escamotage della tutela della salute, un argomento
che trova sempre convinti sostenitori. Altro argomento
principe che viene invocato quando è necessario
scardinare i principi di base della civiltà
giudaico-cristiana è quello della pace, oltre,
naturalmente, quello della libertà e dell’uguaglianza.
Se il principio portante della civiltà è il controllo
delle pulsioni, non si può fare eccezione per la
pulsione sessuale pena il crollo dell’intero edificio
perché la pulsione è, per sua natura, in conflitto con
la parte razionale dell’uomo, quel Logos che lo rende
simile a Dio. Cancellato Dio dall’orizzonte dell’uomo,
scompare anche il Logos e l’uomo si trasforma in un
animale che risponde unicamente agli istinti, con
riflessi condizionati stile Pavlov, esattamente come
accade nel mondo animale.
Il Ritorno del Darwinismo Sociale
Se l’Evoluzionismo Darwiniano è un fatto reale, come
sostengono i progressisti, e se la specie umana è
inserita in un continuum evolutivo per meglio adattarsi
all’ambiente, ne consegue che, con l’acquisizione delle
attuali conoscenze scientifiche e capacità
tecnologiche, l’essere umano è in grado di dirigere in
autonomia il processo evolutivo della specie nel modo
ritenuto più utile per l’individuo e per la società. La
decisione spetta alla Politica sempre più
ostaggio delle esigenze dell’Economia e della Finanza.
Da Malthus in poi l’eccesso della popolazione è
diventato uno spettro che aleggia sul pianeta destinato
a minarne l’esistenza, dal momento che gli esseri umani
sono paragonati alle cavallette che devastano la santa
Madre Terra. Inizialmente la catastrofe incombente era
da imputare alla penuria di cibo, ora l’allarme si è
spostato sulla carenza d’acqua e sui cambiamenti
climatici che sarebbero una conseguenza della
sovrappopolazione e dell’azione umana. Anche in questo
caso la verità parziale è che l’uomo è sicuramente in
grado di devastare alcune aree del pianeta, anche vaste,
quando a guidarne l’agire sono l’incuria e il profitto,
ma sembra difficile che possa essere in grado di
influenzare l’attività solare dato che a dettare il
clima sul pianeta non sono gli esseri umani bensì il
sole, fino a prova del contrario. Né l’uomo è in grado
di fermare il vento che soffia dove vuole e porta le
nuvole e la pioggia, il caldo e il freddo, a seconda da
dove tragga origine indipendentemente dalla volontà
umana.
Per seguire un’impostazione irrazionale dell’uomo che
pretende di sostituirsi a Dio, nel bene come nel male,
stiamo assistendo alla devastazione di una civiltà
plurimillenaria costruita sul Principio di Realtà
oggettiva e al suo posto vediamo sorgere
un’organizzazione artificiale e utopica della società
che si materializza attraverso un’operazione di
ingegneria sociale che spaventa data la sua manifesta
irrazionalità .
Nel nuovo mondo secolarizzato la realtà non esiste, è la
politica che decide cosa sia il bene e il male, il vero
e il falso per cui si può scegliere il genere di
appartenenza indipendentemente dal sesso biologico, non
esiste una sessualità “naturale” mirata alla
conservazione della specie e l’apparato genitale,
perduta la sua funzione riproduttiva, serve solo a
soddisfare le pulsioni sessuali. Nel nuovo mondo la
diversità va celebrata come una “virtù democratica” e un
comportamento moralmente superiore così come si può
programmare la fecondazione artificiale eterologa a
spese di un Sistema Sanitario Nazionale al collasso che
fa fatica a garantire le cure per i malati di cancro.
Nel meraviglioso mondo nuovo ipotizzato da Francis
Fukuyama, dopo la dissoluzione dell’URSS, non esistono
più destra e sinistra, liberali e conservatori, marxisti
e capitalisti, tutti collaborano al “progresso”, la
sinistra con le sue derive utopiche e la destra con il
suo spirito imprenditoriale per cui tutto si trasforma
in mercato dove ogni cosa ha un prezzo e niente ha un
valore.
In questo scenario il nemico numero uno del compromesso
storico liberal-progressista è la natura umana e la sua
abbondanza. L’obiettivo ultimo della rivoluzione di
genere è quello di rendere sterile la capacità
generativa dell’essere umano e trasformare il dono di
natura della vita in un prodotto da commercializzare. In
questo modo solo chi ha a disposizione i mezzi materiali
potrebbe permettersi il lusso di procreare, per gli
altri gli organi genitali dovrebbero servire solo a
scopo ricreativo con buona pace dell’uguaglianza e della
libertà tanto sbandierate.
Un governo inadeguato
di Salvatore Sfrecola
Inadeguato. Non
c’è altra parola per definire il governo gialloblù la
cui strategia Aldo Cazzullo ha indicato sul Corriere
della Sera di oggi essere quella del “rinvio”. Di
tutto, dalle grandi opere, TAV in testa, alla questione
dell’autonomia delle regioni che l’hanno sollecitata,
alla legittima difesa, questione modesta sul piano
giuridico ma bandiera antica della lega.
Non solo, al di
là delle enunciazioni, degli slogan, ai quali pure ci
aveva abituato Matteo Renzi, questo governo,
all’evidenza, non ha una strategia adeguata all’attuale
momento storico. Ad esempio, per contrastare la
recessione incombente, una situazione destinata ad
aggravare un malessere sociale al quale non può certo
mettere riparo il “reddito di cittadinanza” o la manovra
pensionistica (quota 100). Il primo è destinato a
rimanere confinato in un ambito limitato. In ogni caso
le manovre redistributive possono creare equità sociale
ma non generano ricchezza perché trasferiscono capacità
di spesa da una categoria di cittadini ad altre. Con
effetti vicini allo zero. Soprattutto quanto all’aumento
dei consumi e, quindi, dell’occupazione che è evidente
obiettivo di una politica di sviluppo.
La strada è,
invece, quella classica che ci consegna l’esperienza e
la dottrina economica, di immettere risorse in
iniziative che determinano l’impiego di capitali e
l’occupazione e che abbiano un valore nella creazione di
utilità per l’economia dei territori. Tipici di questa
condizione gli investimenti in infrastrutture delle
quali, in ogni caso, il Paese ha estremo bisogno, sia
per quanto riguarda ferrovie, strade, porti e aeroporti
ma anche per acquedotti e fognature, i parametri della
civiltà come insegna la storia di Roma che ancora oggi
si ricorda ovunque nel bacino del Mediterraneo per le
opere che hanno assicurato alle popolazioni annesse alla
Repubblica e all’Impero condizioni di vita e di
prosperità spesso mai più raggiunte, come nel caso di
alcune aree costiere del Mare Nostrum.
Ed a questo
proposito occorre poca fantasia per capire che l’Italia
ha una posizione geografica privilegiata, che ne fa una
piattaforma straordinaria protesa in un mare che mette
in contatto l’Europa e il Medio e l’Estremo Oriente.
L’Italia porta dell’Europa sul mondo. Non solo porta
d’ingresso, come dimostra l’immigrazione della quale
abbiamo subito le conseguenze negli ultimi anni, ma
porta di uscita verso i mercati verso una parte
rilevante del mondo. L’Italia che, erede di Roma, ha una
visibilità un appeal culturale che non possono
vantare altri paesi europei rivieraschi, soprattutto la
Francia che ha esercitato in Africa e Medio Oriente un
colonialismo dai tratti predatori. Non la Spagna, che ha
guardato soprattutto all’America Latina, non la Grecia,
per troppo tempo mortificata dalla occupazione ottomana.
Idee, dunque, per
un programma di governo, coraggioso e pratico, che al
seguito di investimenti pubblici ampiamente condivisi
dalla popolazione potrebbe mobilitare ingenti risorse
private. Una prospettiva che, tuttavia, è difficile
realizzare finché al Governo ci sarà il Movimento
Cinque Stelle, di scarse idee e di assoluta mancanza
di cultura politica, amministrativa e di esperienza.
27 febbraio 2019
“Il vento è cambiato” diceva il Sindaco Raggi.
È rimasta l’incuria per il patrimonio arboreo della
Città
di Salvatore Sfrecola
Scherzava sul vento, Virginia Raggi, convinta che il suo
fosse uno slogan efficace. “Il vento è cambiato”,
ripeteva ad ogni pie’ sospinto, cercando di convincere i
romani, che nulla di nuovo vedevano, che stesse
amministrando la Città in modo diverso dai suoi
predecessori, di Destra e di Sinistra, dai quali aveva
ereditato l’abbandono di uffici e servizi, compreso
quello che si occupa dei parchi e dei giardini. Così il
vento che, nella sua immaginazione, doveva essere quello
“del cambiamento”, come ama dire il leader del suo
movimento, Luigi Di Maio, si è trasformato in un suo
nemico e, con raffiche possenti, ha fatto strage di
alberi secolari, orgoglio dei romani e straordinaria
attrattiva per i turisti che visitano la città.
Tuttavia sui colli “fatali” di Roma non è stato il Fato
a decidere sulla sorte dei pini maestosi dei parchi e
dei viali come delle più modeste alberature delle strade
dei quartieri dei colli e della Valle del Tevere. La
caduta degli alberi, che già in passato avevano superato
indenni le più violente sollecitazioni di Eolo, è
dovuta, nella maggior parte dei casi, alla evidente
mancanza di manutenzione del verde cittadino, alla
inadeguata verifica delle condizioni di salute delle
piante, alla potatura insufficiente e spesso sbagliata,
che non di rado ha squilibrato le piante più alte,
tagliando rami essenziali alla statica dei tronchi,
senza la necessaria cura delle ferite inferte alla
pianta dalle motoseghe impietose. Ferite che hanno
spesso ammalorato il legno offerto all’insulto dei
fattori atmosferici e all’aggressione degli insetti.
Quegli alberi abbattuti hanno ferito anche il cuore dei
romani da sempre abituati a ricomprendere nell’immagine
splendida della città, con i suoi palazzi ed i suoi
monumenti, i maestosi pini secolari delle varie specie (pinea
e marittima) che da sempre ornano i viali ed i
parchi. Quei romani, che oggi si interrogano sulla
politica della Giunta 5Stelle e di quelle che l’hanno
preceduta, non hanno dubbi: il “Servizio giardini”, che
era una struttura di eccellenza dell’amministrazione
capitolina, è stato progressivamente privato di uomini e
mezzi al punto da essere l’ombra silente di quello che
era un prezioso tutore dell’immenso patrimonio arboreo
dell’Urbe.
Non è evidentemente solo un problema di risorse del
bilancio capitolino ad impedire la cura sistematica e la
potatura delle piante di vie, piazze e viali. È
trascuratezza organizzata che mostra i suoi effetti:
ovunque rami secchi a terra e sulle automobili
parcheggiate, un pericolo per la circolazione dei mezzi
e delle persone. Per cui a Prati, nel centro della
Città, in viale Mazzini, tra l’ufficio postale ed il
Palazzo sede della Corte dei conti, un maestoso pino
marittimo ha seminato terrore tra i passanti, con danni
gravi a persone e cose. Poteva essere una strage lì dove
centinaia di persone affollano ad ogni ora l’ingresso
dell’ufficio postale, uno dei più importanti dell’area,
tra l’altro frequentato dagli addetti agli uffici legali
che vi si recano per gli adempimenti connessi alla
notifica degli atti processuali. Ed è un avvocato il più
grave dei feriti dal fusto di quel pino, alto 30 metri,
del quale vale la pena di segnalare che, in un servizio
televisivo mandato in onda da RAI News24, un agronomo
intervistato sul posto dall’inviato del giornale ha
segnalato le radici del pino, assolutamente
insufficienti a reggere quell’imponente alberatura, ed
ha fatto notare che tra le radici era presente una
conduttura idrica il cui inserimento, ha fatto intendere
l’intervistato, potrebbe aver danneggiato le radici. O
potrebbero averle tagliate gli operai all’opera.
All’indomani della giornata nella quale il vento ha
abbattuto oltre 300 piante si sente dire che dovranno
esserne abbattute molte altre. Si è fatto il numero di
50.000. Speriamo che si tratti di una cifra buttata là a
caso, tanto per dare la misura della gravità della
situazione. Ma se così fosse sarebbe una vera tragedia.
Al punto che la cura del verde sarebbe affidata di fatto
non ad un servizio specializzato, come era il “Servizio
giardini”, ma alle imprese incaricate di abbattere le
piante, cioè di fare legna, ed a quelle che dovranno
sostituirle. In sostanza non vorremmo che il vento che,
secondo l’immaginifico Sindaco di Roma sarebbe
“cambiato”, oltre a mettere in risalto l’insufficienza
dell’amministrazione capitolina, desse il via ad
un’altra stagione degli affari che l’esperienza ci dice
essere spesso fonte di illeciti.
Da ultimo, per non farsi mancare nulla questo Sindaco
che candidandosi non ha avuto il senso della misura, che
non ha tenuto conto della propria inadeguatezza rispetto
alla complessità dei compito che avrebbe dovuto
affrontare, se ne è uscita con una affermazione che non
possiamo non richiamare pur senza infierire. Gli alberi
sono stati impiantati dal Fascismo! Dimenticando che
gran parte di quelli di Villa Borghese sono stati messi
a dimora quando c’era ancora il Papa Re?
27 febbraio 2019
Circolo di Cultura e di Educazione Politica
Rex
“Il più antico
circolo culturale della Capitale”
71º ciclo di
conferenze 2018-2019
***
“siamo tornati
orgogliosi della nostra sovranità, fieri delle nostre
istituzioni o siamo solo insofferenti di regole,
liberamente accettate, che sembrano limitare la nostra
autonomia e le nostre decisioni?”
Su questi temi
parlerà
domenica 3 marzo
alle ore 10.30
il Professore
Avvocato Riccardo Scarpa
“sovranità o sovranismo”
Sala Roma, presso
“Associazione Piemontesi a Roma”
Via Aldrovandi 16
(ingresso con le scale) o 16 B (ingresso con ascensore)
raggiungibile con
le linee tranviarie 3 e 19 ed autobus 910, 223, 52 e 53
Considerazioni su talune reazioni al caso Formigoni
Il corrotto non può essere mio amico
di Salvatore Sfrecola
La notizia della condanna definitiva pronunciata dalla
Corte di Cassazione a carico di Roberto Formigoni,
riconosciuto responsabile di corruzione, ha fortemente
diviso lettori e commentatori sui giornali e sui social
network. Per alcuni la condanna è giusta, per altri
troppo severa, perché da Presidente della regione
Lombardia avrebbe comunque ben amministrato nei molti
anni nei quali è stato al vertice della Giunta. Così si
sono distinti nemici politici ed amici, intesi come
coloro che abitualmente hanno votato per l’area politica
nella quale Formigoni ha militato o che condividono
l’ala cattolica (Comunione e Liberazione) alla quale si
dice facesse riferimento.
Non conosco i fatti se non per come la stampa li ha
raccontati e non ho letto le sentenze che nei vari gradi
di giudizio hanno ritenuto provati gli illeciti
addebitati all’ex Presidente della Regione Lombardia.
Ritengo, tuttavia che ci sia una buona dose di faziosità
nelle posizioni assunte dai colpevolisti e dai
giustificazionisti, nel senso che gli uni e gli altri si
schierano in una fazione che, in buona misura, altera il
giudizio morale e politico sulla persona. E se è
comprensibile il senso della condanna dei colpevolisti,
che sono anche avversari politici, non mi convince
l’idea che si possa in qualche modo valutare la gravità
del reato in relazione al buono che ha fatto nella sua
attività al vertice del governo regionale. Non mi
convince perché la corruzione è reato gravissimo,
effetto di una condotta che piega ad interessi personali
o di parte (ci si può far corrompere per finanziare il
partito) l’esercizio della funzione pubblica cui
un’autorità politica è chiamata dal consenso popolare.
In questo senso che un soggetto si sia fatto corrompere
per 1000 euro o per 100 milioni è indifferente sul piano
morale, anche se può variare la gravità dell’illecito e
della relativa sanzione. Insomma il corrotto, come il
corruttore del resto, non può essere per definizione
“mio amico”. E se manifesta le mie idee politiche vuol
dire che mente, che non è vero, perché io sono abituato
ad una morale politica nella quale l’idea, la filosofia
che guida un partito e quanti vi aderiscono comprende
necessariamente il rigoroso rispetto della legge e
dell’interesse pubblico, quell’interesse che viene
violato dal corrotto il quale “per compiere un atto del
suo ufficio, riceve per sé o per un terzo, in denaro od
altra utilità, una retribuzione che non gli è dovuta, o
ne accetta la promessa”, come si esprime il codice
penale all’art. 318. Il che significa che il pubblico
ufficiale viene compensato per compiere un atto dovuto
ma anche illecito o illegittimo nell’interesse del
corruttore. Insomma, è necessario, perché si configuri
la corruzione, un qualsiasi comportamento che
costituisca un concreto esercizio di poteri inerenti
all’ufficio che sia in rapporto di causalità con la
retribuzione non dovuta.
Fin qui il diritto. Sul piano della moralità politica
non è ammissibile nessuna giustificazione qualunque
altro comportamento positivo o encomiabile possa essere
riconosciuto al corrotto. Anzi devo dire che mentre in
qualche modo mi attendo da un mio avversario politico
una condotta illecita mi indigna profondamente che
questa sia opera di uno che dice di pensarla come me. La
cosa mi offende, mi indigna perché in qualche misura mi
sento coinvolto nel giudizio che la gente riserva
all’autore dell’illecito e se fossi io a giudicarlo
applicherei il massimo della pena. Senza sconti. Perché
si affermi sempre la moralità della funzione pubblica
nel rispetto di tutti perché “i cittadini cui sono
affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di
adempierle con disciplina ed onore”, come si legge
nell’art. 54 della Costituzione. È il minimo che si
richiede ad un uomo pubblico, come ad una donna,
come alla “moglie di Cesare” che “deve non solo essere
onestà, ma anche sembrare onesta”. Caesaris coniugium
non esse honestum, sed etiam honestate videntur, per
quanti conservano il gusto della lingua dei nostri
padri.
25 febbraio 2019
Alla vigilia delle decisioni sull’autonomia differenziata
Cavour tradito: le ferrovie non hanno unificato l’Italia
e non ne hanno fatto la porta dell’Europa verso Oriente
di Salvatore Sfrecola
Monta la protesta
delle regioni del Sud di fronte all’ipotesi di attuare
quell’autonomia “differenziata” di Lombardia e Veneto,
auspicata dai referendum popolari, e
dell’Emilia-Romagna, di cui si è cominciato a discutere
in sede di Governo. Come al solito vi sono ragioni da
entrambe le parti. E se al Nord chi chiede nuove
attribuzioni può rivendicare il lato virtuoso del
regionalismo, al Sud non si riesce a farne un motivo di
efficienza, neppure in Sicilia dove quell’autonomia è
ancor più sviluppata, tanto da farne una sorta di stato
autonomo da sempre, dacché lo statuto regionale, che
riserva al territorio il 90 per cento delle entrate
erariali, precede addirittura la Costituzione della
Repubblica.
È dunque un
passaggio estremamente delicato quello di mettere a
punto i disegni di legge che dovranno attribuire a
quelle regioni “ulteriori forme e condizioni particolari
di autonomia”, ai sensi dell’art. 116, comma 3, della
Costituzione, nelle materie di legislazione concorrente
previste dal terzo comma dell’art. 117, dall’ambiente
alle infrastrutture, dalla sicurezza del lavoro alla
ricerca scientifica e tecnologica e al sostegno
all’innovazione, alla sanità, per fare qualche esempio,
assumendone le relative responsabilità e le risorse per
le funzioni che lo Stato non svolgerà più.
Contestualmente vanno definite regole nazionali quanto
ai livelli essenziali di erogazione dei servizi
essenziali (ad esempio sanitari) ed ai costi standard,
al fine di verificare da parte dello Stato e degli
elettori come quelle risorse vengono utilizzate.
Resta un problema
generale, che non va trascurato se vogliamo mantenere
l’unità del Paese e non tornare al 1859,quando l’Italia
era formata da sei staterelli. È l’assenza dello Stato
in alcune regioni. Dico spesso che se “Cristo si è
fermato ad Eboli”, come nel famoso romanzo di Carlo
Levi, l’alta velocità si è fermata a Salerno, escludendo
regioni ricche di potenzialità economiche,
dall’agricoltura, alla manifattura, all’industria, al
turismo, fortemente penalizzate dalla insufficienza
delle infrastrutture viarie e ferroviarie, necessarie
tanto per il trasporto delle persone quanto delle merci.
Differenze antiche alle quali lo Stato nazionale non è
stato capace di porre rimedio, molto per l’incapacità
delle élite meridionali, nonostante ai vertici del
Governo e dei ministeri si siano insediati, dal 1861
importanti politici meridionali. E qui torna utile, per
dimostrare l’incompiutezza dell’unità d’Italia dal punto
di vista economico e sociale, rileggere Camillo di
Cavour che nel maggio del 1846 scrive un articolo
pubblicato su una parigina Revue Nouvelle nel
quale dimostra non solo lo spirito apertamente nazionale
di questo straordinario statista ma la capacità di
intravedere i motivi dell’unità e dello sviluppo. “Dal
punto di vista commerciale – scrive - l’Italia può
nutrire grandi speranze dalle ferrovie. Rendendo pronte,
economiche e sicure le vie di comunicazione interna,
facendo sparire in qualche modo la barriera delle Alpi
che la separano dal resto dell’Europa e che sono così
difficili da valicare per una parte dell’anno, nessun
dubbio che l’afflusso di stranieri che vengono ogni anno
per visitare l’Italia aumenterà in maniera prodigiosa.
Quando il viaggio da Torino, Milano, Firenze, Roma e
Napoli richiederà meno tempo e minor fatica di un giro
di un lago svizzero, è difficile calcolare il numero di
persone che verranno a cercare in queste contrade, piene
di attrattive, un’aria più salubre e più pura per la
loro salute malferma, ricordi per la loro intelligenza o
anche solo semplici distrazioni dalla noia che
sviluppano le brume del Nord. I profitti che l’Italia
trae dal proprio sole, dal suo cielo privo di nubi,
dalle sue ricchezze artistiche, dai ricordi che il
passato le ha lasciato, cresceranno certamente in una
proporzione considerevole”. E prosegue: “quando la rete
ferroviaria sarà completa, l’Italia godrà di un
considerevole commercio di transito. Le linee che
uniranno i porti di Genova, Livorno, Napoli con quelli
di Trieste, Venezia, Ancona e la costa orientale del
regno di Napoli, porteranno attraverso l’Italia un
grande movimento di merci e di viaggiatori, che vanno e
vengono dal Mediterraneo all’Adriatico. In più, se le
Alpi saranno perforate, come c’è motivo di credere, tra
Torino e Chambery, il Lago maggiore, il lago di
Costanza, Trieste Vienna, i porti italiani saranno in
grado di condividere con quelli dell’Oceano e del mare
del Nord, l’approvvigionamento dell’Europa centrale in
derrate esotiche. Infine se le linee napoletane si
estenderanno sino al fondo del regno, l’Italia sarà
chiamata a nuovi e alti destini commerciali. La sua
posizione al centro del Mediterraneo, o, come un immenso
promontorio, sembra destinata a collegare l’Europa
all’Africa, la trasformerà incontestabilmente, quando il
vapore la attraverserà in tutta la sua lunghezza, il
cammino più breve è più comodo dall’Oriente
all’Occidente. Non appena ci si potrà imbarcare a
Taranto o a Brindisi, la distanza marittima che ora
bisogna percorrere per recarsi dall’Inghilterra, dalla
Francia e dalla Germania in Africa o in Asia, sarà
abbreviata della metà. È dunque fuor di dubbio che le
grandi linee italiane serviranno allora a trasportare la
maggior parte dei viaggiatori e alcuni merci più
preziose che circoleranno in queste vaste contrade.
L’Italia fornirà anche il mezzo più veloce per recarsi
dall’Inghilterra all’India e in Cina cosa che
rappresenterà ancora una fonte abbondante di nuovi
profitti”.
La citazione è
lunga, ma essenziale: c’è tutto in queste parole di
Cavour, le infrastrutture ferroviarie e portuali
dell’intera Italia, il commercio ed il turismo e la TAV,
con buona pace del M5S, una missione per l’Italia, si
direbbe, sulle orme di Roma. E si spiega perché Clemente
Lotario di Metternich, il potente Cancelliere austriaco,
diceva di Cavour “è il più grande statista d’Europa”. Ed
aggiungeva “peccato che sia un nostro nemico”. Morto
troppo presto e, purtroppo, senza effettivi eredi, nel
Regno e nella Repubblica.
FRAMMENTI DI RIFLESSIONI
del Prof. Avv. Pietrangelo Jaricci
Giustizia amministrativa
L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con una
convincente sentenza, ha affrontato lo spinoso problema
relativo all’impossibilità di esecuzione in forma
specifica del giudicato amministrativo, enunciando una
serie di principi di diritto, tutti sorretti da adeguata
motivazione, che meritano di essere integralmente
riportati.
1. Dal giudicato amministrativo, quando riconosce la fondatezza
delle pretesa sostanziale, esaurendo ogni margine di
discrezionalità nel successivo esercizio del potere,
nasce
ex lege, in capo all’amministrazione,
un’obbligazione, il cui oggetto consiste nel concedere
“in natura” il bene della vita di cui è stata
riconosciuta la spettanza.
2. L’impossibilità (sopravvenuta) di esecuzione in forma
specifica dell’obbligazione nascente dal giudicato – che
dà vita in capo all’amministrazione ad una
responsabilità assoggettabile al regime della
responsabilità di natura contrattuale, che l’art. 112,
comma 3, c.p.a. sottopone peraltro ad un regime
derogatorio rispetto alla disciplina civilistica – non
estingue l’obbligazione, ma la converte,
ex lege, in una diversa obbligazione, di natura risarcitoria,
avente ad oggetto l’equivalente monetario del bene della
vita riconosciuto dal giudicato in sostituzione della
esecuzione in forma specifica; l’insorgenza di tale
obbligazione può essere esclusa solo dalla insussistenza
originaria o dal venir meno del nesso di causalità,
oltre che dell’antigiuridicità della condotta.
3. In base agli articoli 103 Cost. e 7 c.p.a., il giudice
amministrativo ha giurisdizione solo per le controversie
nelle quali sia parte una pubblica amministrazione o un
soggetto ad essa equiparato, con la conseguenza che la
domanda che la parte privata danneggiata
dall’impossibilità di ottenere l’esecuzione in forma
specifica del giudicato proponga nei confronti
dell’altra parte privata, beneficiaria del provvedimento
illegittimo, esula dall’ambito della giurisdizione
amministrativa.
4. Nel caso di mancata aggiudicazione, il danno conseguente al
lucro cessante si identifica con l’interesse c.d.
positivo, che ricomprende sia il mancato profitto (che
l’impresa avrebbe ricavato dall’esecuzione
dell’appalto), sia il danno c.d. curricolare (ovvero il
pregiudizio subìto dall’impresa a causa del mancato
arricchimento del
curriculum e dell’immagine professionale per non poter
indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto).
Spetta, in ogni caso, all’impresa danneggiata offrire,
senza poter ricorrere a criteri forfettari, la prova
rigorosa dell’utile che in concreto avrebbe conseguito,
qualora fosse risultata aggiudicataria dell’appalto,
poiché nell’azione di responsabilità per danni il
principio dispositivo opera con pienezza e non è
temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di
annullamento (ex art. 64, commi 1 e 3, c.p.a.),
e la valutazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226
cod. civ., è ammessa soltanto in presenza di situazione
di impossibilità – o di estrema difficoltà – di una
precisa prova sull’ammontare del danno.
5. Il mancato utile spetta nella misura integrale, in caso di
annullamento dell’aggiudicazione impugnata e di certezza
dell’aggiudicazione in favore del ricorrente, solo se
questo dimostri di non aver utilizzato o potuto
altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, in quanto
tenuti a disposizione in vista della commessa. In
difetto di tale dimostrazione, può presumersi che
l’impresa abbia riutilizzato o potuto riutilizzare mezzi
e manodopera per altri lavori, a titolo di
aliunde perceptum vel percipiendum (Cons. Stato,
Ad. plen., 29 marzo – 12 maggio 2017, n. 2, con commento
di D. Ponte, in Guida dir., n. 24/2017, 95 ss.).
La
sentenza in oggetto risolve un problema di carattere
generale al quale i giudici amministrativi non sempre
hanno riservato la dovuta, preminente attenzione, quello
cioè di impedire che siano comunque disattese le
legittime aspettative del cittadino specie in presenza
di un giudicato.
* * *
Elezioni europee
“Diventeremo anche post europeisti dopo essere
stati post tutto? Le elezioni europee del 23
maggio sono elezioni speciali in un tempo speciale.
Rispetto alle precedenti la tensione è diversa, la
confusione imperversa. Secondo i sondaggi non è previsto
un sovvertimento degli equilibri, molto peggio. Potrebbe
essere una rivoluzione… Il compromesso storico
all’europea è a forte rischio” (D. Pardo, Il
Parlamento UE sarà una maionese, L’Europeo,
n. 3/2019, 17).
Ma
non sarebbe forse opportuno parlare anche di possibile
rischio di ingovernabilità che potrebbe coinvolgere
parte degli Stati europei?
* * *
Palazzo Spada: venti di tempesta
È
apparso su il Fatto Quotidiano del 4 febbraio
2019 (pagg. 6, 7) l’articolo “Consiglio di Stato, una
catena di affetti”, a firma di Giorgio Meletti, con
annesso eloquente materiale iconografico, che non può
non aver provocato generale sdegno e disgusto più che
giustificati.
La
massima magistratura amministrativa viene definita “un
piccolo mondo antico dove poche decine di persone
detengono la più impressionante concentrazione di potere
oggi esistente in un Paese moderno”.
Vengono, quindi, forniti nominativi di personaggi
coinvolti a vario titolo in episodi di estrema gravità
che gettano ombre sinistre sul già dissestato Palazzo
Spada, “un mondo fatato in cui un gruppo di sacerdoti
intoccabili le leggi se le scrive, se le interpreta e se
le applica”, incurante di tutto e di tutti.
Ma da
tempo il cittadino comune si pone necessariamente la
domanda se si può ancora nutrire fiducia nella giustizia
se la stessa viene impunemente gestita da personaggi
adusi ad ogni sorta di compromesso, senza necessità di
attendere, come risposta, “l’ardua sentenza dei
posteri”.
Ogni
ulteriore commento appare a dir poco superfluo.
* * *
In ricordo di Eluana Englaro
Il 9
febbraio 2009 spirava Eluana Englaro, da diciassette
anni in stato vegetativo, vittima delle incongruenze
(chiamiamole pure così!) che sistematicamente affliggono
il nostro Paese.
19
febbraio 2019
C’è un rinoceronte “dimenticato” al Foro Romano
di Salvatore Sfrecola
C’è un rinoceronte nel Foro Romano. Nessuna paura. Lì,
sotto l’arco di Giano, in vista del Tempio di Vesta,
accanto alla Chiesa di San Giorgio al Velabro, l’Rhinoceros
unicornis, il
grosso mammifero, comune all’India ed all’Africa, è
stato collocato in occasione dell’inaugurazione del
Palazzo Rhinoceros, l’immobile storico che la
Fondazione Alda Fendi ha acquistato dal Comune di Roma.
A conclusione della manifestazione, tuttavia, il
rinoceronte è rimasto al suo posto, abbandonato,
nonostante le proteste dei residenti del quartiere per i
quali la presenza di quella sagoma altera la magnifica
armonia del Foro, dove la Roma repubblicana s’incontra
con i ricordi dell’impero dei Cesari.
Si sono rivolti al Comune che sembra incapace di
intervenire. Incredibile, ma la risposta degli uffici,
in puro burocratese, è stata consegnata in un comunicato
nel quale si legge che
“lo scrivente ufficio si è limitato ad autorizzare
esclusivamente il posizionamento di strutture tecniche
funzionali alla realizzazione dell’evento”.
Incredibile, senza il senso del ridicolo e senza timore
di dimostrare crassa ignoranza delle regole del diritto,
perché la rimozione del rinoceronte avrebbe dovuto
essere prevista nell’autorizzazione a collocarlo nel
Foro, come clausola necessaria di riduzione in pristino
di un’area archeologica tutelata della quale veniva
temporaneamente consentita l’utilizzazione da parte di
un privato interessato a godere dello straordinario
ambiente storico artistico.
Sono passati quattro mesi invano. Con una sola
conclusione. Chi di dovere non conosce le regole della
gestione dei beni pubblici e del bilancio del Comune di
Roma sul quale non possono gravare spese non finalizzate
ad interessi dell’Amministrazione capitolina. Pertanto,
se le spese di rimozione non fossero state comprese tra
le clausole del provvedimento di autorizzazione, poche o
tante che siano, e dovessero ricadere sul bilancio
comunale, cioè sui cittadini dell’Urbe, ci troveremmo di
fronte ad un caso di scuola di danno erariale causato
con dolo o colpa grave da un pubblico dipendente,
perseguibile ad iniziativa della Procura regionale della
Corte dei conti per il Lazio.
19 febbraio 2019
CIRCOLO DI CULTURA
E DI EDUCAZIONE POLITICA
REX
“il più antico
Circolo Culturale della Capitale”
71° CICLO di CONFERENZE 2018-2019
***
“La Costituzione, già riformata in peggio dal
centrosinistra corre il rischio di ulteriori
peggioramenti, lesivi delle prerogative del Parlamento e
dei diritti delle minoranze”
Su questi temi parlerà
Domenica 24 febbraio alle ore 10.30
Il Prof. Avv. Salvatore Sfrecola
“RIFORMA COSTITUZIONALE: come, quando, perché”
***
Sala Roma presso “Associazione Piemontesi a Roma”,
via Aldrovandi 16 (ingresso con le scale), o 16/B
(ingresso con ascensore)
raggiungibile con le linee tramviarie “3” e “19” ed
autobus, “910”,” 223”, ”52” e “ 53”
Governo ad alta tensione
di Salvatore Sfrecola
Matteo Salvini
non perde occasione per ribadire che le elezioni in
Abruzzo sono amministrative e non mettono in
discussione l’alleanza di governo. Lo ha detto da ultimo
anche a Porta a Porta intervistato a caldo da
Bruno Vespa, che ha cercato in tutti i modi di fargli
dire che il risultato elettorale non può non contare nel
rapporto tra Lega e Movimento 5 Stelle.
Domenica prossima
ci sarà un nuovo test, in Sardegna, sul quale da tempo
il M5S dice di non fare nessun conto, che prevede
una sconfitta ancora più ampia di quella in terra
d’Abruzzo. Elezioni regionali certamente ma che hanno
assunto un valore di verifica della politica del governo
gialloblù, attestata dall’impegno dei leader nazionali
che si sono spesi senza risparmio durante la campagna
elettorale. Di Maio, Di Battista, Berlusconi e la Meloni
hanno, come Salvini, soggiornato a lungo in Abruzzo per
dar man forte ai candidati dei rispettivi partiti. Meno
presenti i leader del Partito Democratico
impegnati nella campagna delle primarie.
È un dato
importante quello dell’Abruzzo perché dimostra come gli
italiani siano stati convinti all’azione politica di
Salvini in un settore, quello dell’ordine pubblico, che
evidentemente è da tempo sentito dall’opinione pubblica
e strettamente collegato alla immigrazione incontrollata
che genera insicurezza. L’insuccesso del M5S, dice il
sottosegretario agli esteri Di Stefano ad Omnibus,
la trasmissione di approfondimento de La7, è soprattutto
un problema di comunicazione, nel senso che Di Maio e
soci non sarebbero stati capaci di far percepire
dall’opinione pubblica l’importanza delle iniziative che
il governo ha assunto su sollecitazione del Movimento e
che costituiscono espressione tradizionale del suo
programma politico, dal reddito di cittadinanza alla
legge anticorruzione, alla riduzione delle pensioni
“d’oro”, insomma alla lotta alla povertà della quale il
governo tanto si gloria.
Se, tuttavia,
nonostante queste iniziative se le possa, a buona
ragione, intestare, il M5S non passa all’incasso, non ne
trae vantaggi sul piano del consenso elettorale vuol
dire che la sua azione evidentemente non convince, non
rassicura a fronte di una situazione economica pesante,
resa evidente dai dati della produzione industriale e
dalla recessione, pudicamente definita “tecnica”, nella
quale l’Italia è caduta nonostante il proclamato
carattere espansivo della manovra contenuta nella legge
di bilancio per il 2019 riferito soprattutto al reddito
di cittadinanza ed alle pensioni (quota 100) che
dovrebbero mettere soldi nelle tasche di molti italiani,
come si sente dire. Una manovra che, tuttavia, a molti
appare insufficiente, assolutamente inadeguata rispetto
alle esigenze del momento che presuppongono, per
contrastare le spinte recessive, una grande
mobilitazione di risorse pubbliche, le uniche capaci di
realizzare in tempi brevi un incremento dell’occupazione
con effetti positivi sull’economia.
Pur coinvolto nel
governo che denuncia queste inadeguatezze Salvini non ne
risente e continua a riscuotere maggiore apprezzamento,
A destare maggiore fiducia, forse proprio per
quell’equilibrio che anche nella polemica più dura
mantiene, forse perché la Lega, tutto sommato, è
vista come forza di governo perché amministra, con
successo, le regioni più ricche e più efficienti
dell’Italia settentrionale. Perché quel leader che ha
portato il Carroccio dai minimi storici del dopo Bossi
ad essere forza maggioritaria nel Paese merita
considerazione, perché in lui si intravede una
prospettiva politica di lungo termine, da quando ha
abolito la parola “Nord” nella denominazione del partito
che è divenuto di fatto un movimento nazionale come
attesta il rilevante consenso elettorale nelle elezioni
del 4 marzo 2018 anche al Sud ed il risultato del 10
febbraio in Abruzzo.
La strada che
Salvini ha intrapreso è ormai spianata, deve solo
saperla percorrere con determinazione e coerenza. E lo
farà ampliando il programma come si deve ad un uomo di
governo che ambisca ad essere riconosciuto come uno
statista, come uno - per dirla con de Gasperi - che
guarda alle future generazioni, che predica “Sovranismo”
ma che è pronto ad operare in Europa purché questa cambi
e diventi l’espressione dei popoli e delle nazioni del
continente politicamente più antico, culla della
democrazia e della libertà. Nella sfida che la Lega
e tutto il centrodestra si apprestano ad affrontare
quando il 26 maggio saremo chiamati a votare per il
rinnovo del Parlamento europeo dove sarà necessario
mediare tra interessi a volte contrastanti di Stati e di
economie nazionali che devono comprendere che nel mondo
globalizzato non c’è spazio per i singoli, che di fronte
ai colossi dell’economia mondiale, dagli Stati Uniti
alla Cina, dal Brasile all’India solo l’Europa unita può
guadagnare la sua fetta importante di produzioni e
commerci avendo elevata tecnologia, fantasia e volontà
capaci di competere sul mercato globale.
13 febbraio 2019
In Abruzzo un test impietoso per il M5S. Paga errori di Governo e
amministrativi (Raggi)
di Salvatore Sfrecola
Come tutti si attendevano, le elezioni regionali in
Abruzzo non indicano soltanto lo stato dei partiti in
quella regione. L’Abruzzo è regione di confine tra Nord
e Sud, in continuità con Roma, la capitale, dove si fa
politica, parlamentare e di governo, porta sul meridione
dove la Lega è impegnata da tempo a farsi spazio, con
crescente successo. Un successo che Matteo Salvini ha
costruito dal Governo cavalcando il tema della sicurezza
e della immigrazione, che interessa in forme varie tutta
Italia, coinvolgendo il Movimento 5 Stelle che,
tuttavia, soffre perché impegnato sulle questioni
dell’economia, del lavoro e delle grandi opere che ne
offuscano l’immagine erodendo i consensi che avevano
fatto di Luigi Di Maio e dei suoi la novità della
politica soprattutto nelle elezioni del 4 marzo 2018.
Sennonché la novità è stata modesta, il Governo ha avuto
grandi difficoltà nella definizione della legge di
bilancio, l’introduzione del “reddito di cittadinanza”
appare ricco di problematiche attuative, non è alle
viste quel grande investimento in opere pubbliche che
tradizionalmente gli stati mettono in campo per
contrastare la stagnazione dell’economia, evidente nella
timida affermazione dei media sull’Italia in recessione
“tecnica”. Anzi l’opposizione drastica alla ferrovia
Torino-Lione portata avanti con argomentazioni speciose,
facendo finta di ignorare che quella è una tratta di un
corridoio europeo (n. 5) che deve collegare il
Portogallo all’Ucraina, è emblematica di un
atteggiamento astratto, velleitario, vagamente
ecologista ma evidentemente contraddittorio in quanto
trascura l’esigenza di abbandonare il trasporto su gomma
delle merci da e per i grandi porti italiani ed europei,
da Genova a Rotterdam, quelle merci che impegnano
quotidianamente migliaia di TIR carichi di container. No
TAV ma sì alle piccole opere, dicono i 5Stelle, alle
manutenzioni necessarie in un Paese che, a partire dal
ponte Morandi di Genova, ha dimostrato di aver
trascurato per evidente incapacità organizzativa ma
anche per assenza di risorse, mai recuperate in modo
sistematico dalla vasta area degli sprechi. Comunque le
piccole, le tante piccole opere non decollano dando
dimostrazione della incapacità di andare al di là del
dire.
È in questa politica l’immagine deteriorata del M5S,
scarso al Governo del Paese ma anche nella gestione
amministrativa, come dimostra Roma dove il Sindaco
Raggi, al di là delle poche cose che ha fatto, attesta
di una incapacità di guidare una grande città con tutte
le sue molteplici difficoltà, antiche e più recenti,
quotidiane. Lo sentono i romani ed evidentemente l’hanno
sentito i tanti cittadini della capitale di origine
abruzzese, quanti da quella regione lavorano a Roma e
quanti dalle rive del Tevere si spostano per lavorare in
Abruzzo o per passarvi le vacanze invernali ed estive
nelle magnifiche montagne innevate e sulle spiagge
assolate dell’Adriatico.
Per questo dico da sempre che i partiti non devono
trascurare il ruolo politico di Roma, le esperienze e le
sensazioni dei cittadini della capitale, un miscuglio di
provenienze regionali che mantengono rapporti con le
aree di provenienza, soprattutto meridionali. Questi
“romani” di recente generazione trasmettono a parenti e
amici delle regioni del Sud i giudizi che maturano sui
partiti che governano e che amministrano. E questo
inevitabilmente ha penalizzato in passato il Partito
Democratico ed oggi il M5S perché Di Maio e compagni non
vanno bene al Governo, ma vanno malissimo nella gestione
della Capitale.
“Il potere logora”, diceva Giulio Andreotti. Tuttavia
aggiungeva “è meglio non perderlo”, cosa non facile,
perché giorno dopo giorno l’azione politica e
amministrativa è sotto gli occhi dei cittadini che ne
traggono le conseguenze, quando sono chiamati a votare.
11 febbraio 2019
CIRCOLO DI CULTURA E DI EDUCAZIONE POLITICA
REX
“il più antico Circolo Culturale della Capitale”
71° CICLO di CONFERENZE 2018-2019
***
“Mestieri che scompaiono, nuove professionalità,
conquiste scientifiche, progressi o regressi per l’uomo”
Su questi temi parlerà
Domenica 17 febbraio alle ore 10.30
il Professore Avvocato
EMMANUELE F.M. EMANUELE
“L’ INTELLIGENZA ARTIFICIALE E LA ROBOTICA:
IL NUOVO MONDO CHE CI ASPETTA”
***
Sala Italia presso “Associazione Piemontesi a Roma”,
via Aldrovandi 16 (ingresso con le scale), o 16/B
(ingresso con ascensore)
raggiungibile con le linee tramviarie “3” e “19” ed
autobus, “910”,”223”, “52” e “53”
Toninelli indisciplinato. Consegna l’analisi
costi/benefici della TAV a Francia e alla Commissione UE
ma non ai colleghi di governo
di Salvatore Sfrecola
Ha una strana considerazione della collegialità del
Governo il Ministro delle infrastrutture e dei
Trasporti, Danilo Toninelli, il quale ha
consegnato all’ambasciatore di Francia in Italia,
Christian Masset, l’analisi costi/benefici relativi
all’appalto del tratto Torino Lione del corridoio
europeo n. 5, Francia – Ucraina, senza averne prima
informato il Presidente del Consiglio. Né Giuseppe
Conte, infatti, né i vicepresidente Salvini e
Di Maio sanno nulla del rapporto della
Commissione di studio incaricata di analizzare l’impatto
della nuova linea ferroviaria sul bilancio pubblico e
sull’economia del Paese. Al di là del fatto che non si
conoscono i parametri della valutazione rimessi alla
Commissione, è singolare, Salvini lo ha definito
“abbastanza bizzarro”, che quelle valutazioni, sulle
quali il Governo sarà chiamato a decidere se realizzare
o meno la ferrovia o ridimensionare il progetto, siano
note a Parigi ed a Bruxelles e non a Roma, se non nelle
segrete stanze di Piazza di Porta Pia, dove hanno sede
gli uffici di Toninelli.
Anche la Commissione Ue, infatti, “ha ricevuto l’analisi
costi-benefici” da parte dell’Italia e “ora la
analizzerà”, conferma all’Ansa il portavoce del
Commissario Ue ai trasporti Violeta Bulc. Ma in
una relazione internazionale l’Italia doveva essere
rappresentata dal Presidente del Consiglio oltre che dal
Ministro delle infrastrutture, se non altro per quel
garbo costituzionale che è necessario per mantenere il
senso della collegialità e della colleganza.
Non solo, ad aggravare la sensazione di scollamento
nell’Esecutivo giunge l’annuncio del ministero dei
Trasporti che “Il Mit ha condiviso con il Governo
francese, nella persona dell’ambasciatore di Francia in
Italia, l’analisi costi-benefici sul progetto Tav
Torino-Lione, come concordato dai Ministri Borne
e Toninelli, prima della sua validazione e
pubblicazione da parte del Governo italiano”. Insomma,
si rimette a Francia e Commissione UE un documento
ancora da “validare”. Non c’è veramente limite
all’improvvisazione dell’effervescente ministro che
baldanzosamente rivendica la sua competenza “esclusiva”
ed una “prassi”, secondo la quale si informa prima
l’interlocutore francese che il governo italiano,
comunque certamente anomala, soprattutto in
considerazione della valenza politica del confronto in
atto tra alleati di governo. Qualcuno avrebbe dovuto
spiegargli che, se è certamente inadeguata la disciplina
del Governo che si ricava dall’art. 92 della
Costituzione, ha sempre sopperito una “deontologia”
costituzionale che vincola al rispetto dello “spirito”
della propria funzione in rapporto alla collegialità del
Governo assicurata dalla funzione di indirizzo e
coordinamento del Presidente del Consiglio (ex art. 5
Cost.) che peraltro neppure era stato informato.
Non ci vuole altro per destare il sospetto che si sia
voluto evitare di offrire argomenti alla polemica SI
TAV-NO TAV alla vigilia di una importante scadenza
elettorale, come il voto regionale in Abruzzo. Forse che
quella valutazione costi/benefici ha lati deboli? Così
contribuendo ad alimentare la polemica tra Lega, che
vuole la TAV, e M5S che non la vuole, con la speciosa
argomentazione che è meglio fare tante piccole opere
anziché farne una grande. Speciosa, perché in questo
Paese, come non si va avanti con la TAV, è ferma anche
la manutenzione delle opere minori ma certamente
importanti per la sicurezza dei trasporti, perché
sappiamo, come ci dimostrano giorno dopo giorno le
inchieste giornalistiche, che ponti e viadotti sono
spesso in condizioni precarie, che piloni fondamentali
per la loro tenuta sono erosi dalle condizioni
climatiche e dalla trascuratezza dei gestori, quando non
da una inadeguata realizzazione dei lavori. In ogni caso
il più elle volte quelle opere sono state progettate per
sostenere carichi decisamente inferiori a quelli che lo
sviluppo dei mezzi di trasporto registra oggi.
8 febbraio 2019